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Fibromi uterini: dalla diagnosi alla terapia

14/05/2017

Fibromi uterini: dalla diagnosi alla terapia
Articolo originale per i medici
ATTENZIONE: Il farmaco di cui si parla in questo articolo, l’ulipristal acetato, approvato per la cura della fibromatosi uterina e usato da oltre 800.000 donne nel mondo, è stato ritirato dal commercio per iniziativa del Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC) della European Medicines Agency (EMA), per alcuni casi di epatite grave comparsa in corso di trattamento.

Fibromi uterini, perché non vanno sottovalutati

Sono un disturbo benigno, molto diffuso tra le donne, e solo in casi rarissimi possono degenerare in un tumore invasivo. Possono però causare dolore pelvico, cicli emorragici, anemia, difficoltà durante i rapporti sessuali, sintomi di compressione su vescica e retto e addirittura impossibilità a concepire: in una parola, incidono pesantemente sulla qualità della vita. Stiamo parlando dei fibromi uterini, chiamati anche leiomiomi, fibromiomi o semplicemente miomi, formazioni che si localizzano appunto nel tessuto che costituisce l’utero. Un tempo la soluzione era soltanto una, l’asportazione chirurgica, che comprometteva però la possibilità di avere un figlio esponendo oltretutto ai rischi legati all’intervento stesso. Oggi ci sono sistemi meno invasivi per intervenire, in grado soprattutto di rispettare la funzione riproduttiva.

Un problema molto diffuso

I fibromi si formano nelle cellule muscolari lisce e del tessuto connettivo della parete muscolare dell’utero (miometrio). La loro incidenza varia tra il 20 e l’80% della popolazione femminile, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 30 e i 40 anni. I fibromi interessano 24 milioni di donne in Europa: si registrano oltre tre milioni di casi in Italia, paese con la più alta prevalenza nella fascia d’età 40-49 anni. L’età media alla diagnosi è 35 anni.
Ne sono più soggette le donne di origine afroamericana. I fibromi tendono inoltre a manifestarsi più frequentemente nelle donne di una stessa famiglia, a causa di una predisposizione di tipo genetico. L’età precoce della prima mestruazione, l’obesità, la prima gravidanza in età tardiva sono anch’esse situazioni che favoriscono lo sviluppo dei miomi, perché l’esposizione prolungata agli estrogeni attiva particolari recettori presenti nella membrana del miometrio. La cellula muscolare (mioblasta) prolifera e si forma il fibroma. Le donne con sindrome dell’ovaio policistico hanno maggiori probabilità di sviluppare un fibroma uterino, anche in questo caso per ragioni di tipo ormonale.

Tipologia

I fibromi possono formarsi in vari punti della mucosa uterina e prendono il nome a seconda della localizzazione. Il tipo più diffuso, che riguarda circa la metà delle donne soggette a questo problema, sono i fibromi intramurali. Si sviluppano nella parete muscolare uterina e possono aumentare di volume fino a far percepire alla donna l’utero più grande del normale. Causano sanguinamento abbondante durante il flusso, dolore ai rapporti, infertilità.
Piuttosto frequenti (35% dei casi) sono i fibromi sottosierosi, che si sviluppano nella parete esterna dell’utero e crescono verso l’esterno, sporgendo nella pelvi. Solitamente non incidono sul flusso mestruale né causano eccessivo sanguinamento, ma possono provocare dolore alla penetrazione e anche semplicemente alla pressione, in base anche alla grandezza del fibroma, sul retto e sulla vescica.
La tipologia meno comune sono i fibromi sottomucosi (nel 5% dei casi). Si sviluppano all’interno della cavità uterina e sono quelli che causano i disturbi più seri. Infatti possono provocare mestruazioni abbondanti responsabili di forme di anemia da carenza di ferro e infertilità.
I fibromi sottosierosi e sottomucosi possono essere anche peduncolati, ossia possono essere attaccati alla parete uterina esterna (nel caso dei sottosierosi) o interna (per i sottomucosi) mediante un sottile filamento di tessuto fibroso, chiamato appunto peduncolo. Se un fibroma peduncolato cresce rapidamente, oppure si rompe o, ancora, va incontro a torsione sul peduncolo stesso, possono comparire nausea, vomito, dolore pelvico intenso e improvviso. In questo caso è necessario l’intervento chirurgico per l’asportazione del fibroma stesso. In realtà sarebbe opportuno non arrivare mai a questo punto: una donna alla quale viene scoperto un fibroma uterino deve tenerlo sotto controllo con visite ginecologiche regolari e con l’ecografia transvaginale, per controllare che non si accresca improvvisamente e non sia a rischio di torsione.
Il diametro dei fibromi varia da pochi millimetri a 10-15 centimetri. I più grossi possono arrivare a occupare parte dell’addome. Possono essere singoli o multipli. Un fibroma è comunque sempre una neoformazione benigna: solo in rarissimi casi diventa maligna, trasformandosi in sarcoma uterino.

Come si scopre il problema

Non sempre i fibromi danno disturbi. Quando sono piuttosto piccoli, da qualche millimetro a due-tre centimetri, spesso la donna non si accorge nemmeno di averli. In questi casi i fibromi, soprattutto quelli sottosierosi e intramurali, vengono individuati nel corso della normale visita ginecologica. Per avere la conferma della presenza dei fibromi è possibile effettuare esami come l’ecografia pelvica per via transvaginale. L’isteroscopia diagnostica si rivela utile soprattutto per i fibromi sottomucosi. La risonanza magnetica serve a studiare un fibroma in vista di un eventuale trattamento.

Quando compaiono i disturbi

In circa la metà dei casi si verificano sintomi quali sanguinamento anomalo e perdite di sangue intermestruali, ma anche vere e proprie emorragie in coincidenza con le mestruazioni. Oltre al dolore pelvico e al senso di compressione locale, si verificano disturbi urinari con incontinenza e aumento della frequenza delle minzioni: il fibroma infatti, esercitando una pressione sulla vescica (che è anatomicamente situata davanti all’utero), stimola l’esigenza di urinare anche se la vescica non è ancora del tutto piena.
Conseguenze molto serie sono le difficoltà al concepimento e l’infertilità, perché le dimensioni o la localizzazione di un fibroma possono impedire l’annidamento dell’ovulo fecondato sulla mucosa uterina o addirittura impedire l’incontro tra ovocita e spermatozoo. Un fibroma che si accresce nella tunica sottomucosa, con sviluppo verso la cavità uterina, può causare difficoltà di accrescimento del bambino o predisporre a un aborto spontaneo. Fibromi multipli, o posti sotto l’inserzione della placenta, possono causare parti prematuri e anche emorragie dopo il parto.
Non sempre un fibroma causa problemi per le sue dimensioni: può essere determinante la localizzazione. I fibromi sottomucosi, anche se piccoli, possono provocare flussi abbondanti e prolungati, con perdita di ferro cinque o sei volte più elevata del normale e conseguente anemia, a sua volta associata a stanchezza, rischio di depressione, perdita di desiderio sessuale, difficoltà nel concepimento. I fibromi sottosierosi, invece, possono raggiungere dimensioni di 7-9 centimetri e premere sulla vescica, generando senso di peso sul bacino, minzioni più frequenti, ripetuti risvegli notturni per andare in bagno. Questi segnali devono spingere a richiedere un controllo ginecologico.

L'impatto sulla qualità della vita

Il fibroma uterino, anche se è un problema di tipo benigno, ha un impatto negativo sulla qualità di vita perché coinvolge non solo la sfera intima, ma anche quella relazionale, sociale e lavorativa. Secondo un recente studio, i fibromi uterini hanno un impatto negativo sulla qualità di vita per il 54% delle donne che ne sono soggette. I problemi interessano in particolare la vita sessuale (43%), la resa sul lavoro (28%) e le relazioni interpersonali (27%). Anche attività comuni come lo svolgimento dei lavori domestici (26%) e la pratica dell’attività sportiva (20%) sono rese problematiche dai disturbi dovuti al fibroma. Perfino la scelta dell’abbigliamento rappresenta un momento di difficoltà, perché molte donne tendono a nascondere lo stato fisico non ottimale e il senso di imbarazzo ad esso legato.
I problemi più grossi sono legati alla sfera riproduttiva e sessuale. Se il fibroma causa infertilità, e la donna prova un forte desiderio di maternità, possono nascere forme di depressione in grado di ledere il desiderio e l’eccitazione centrale, sia attraverso una ridotta attività del sistema dopaminergico, sia attraverso la riduzione della motivazione ad avere rapporti sessuali. La perdita di desiderio può anche essere correlata all’anemia sideropenica, dovuta al sanguinamento abbondante e prolungato. L’anemia causa debolezza e predispone anch’essa ad ansia e depressione, che a loro volta hanno un significativo impatto sulla sessualità. Le donne anemiche hanno un rischio doppio di depressione rispetto a chi non ne è affetto. Il ferro contribuisce a un ottimale equilibrio di dopamina e serotonina, neurotrasmettitori che regolano il desiderio e l’interesse sessuale. Anche i sanguinamenti prolungati e abbondanti tendono inevitabilmente a ridurre la frequenza dei rapporti. Inoltre la donna avverte dispareunia profonda e questa sensazione rappresenta una forte inibizione per l’eccitazione. La scarsa frequenza dei rapporti può essere anche dovuto al timore dell’uomo di provocare dolore alla partner. A proposito del lavoro, diversi studi hanno osservato che i fibromi uterini sono associati a più bassi tassi di occupazione, maggiore assenza dal lavoro e relativa perdita di guadagno.

Terapie

Non sempre è necessario intervenire su un fibroma: se non causa disturbi di tipo compressivo, non dà dolore e una donna riesce ad avere una gravidanza, non occorre alcun trattamento. È ovviamente necessario controllare il fibroma con una certa regolarità, per escludere che, con il tempo, possa aumentare di volume. Si decide di trattare la formazione se causa dolore, cicli mestruali emorragici con conseguente anemia e infertilità, incidendo sulla qualità della vita.
Esistono tre possibilità di cura: con i farmaci, con la chirurgia, che può essere tradizionale o mininvasiva, oppure con trattamenti che mirano all’eliminazione o alla riduzione del fibroma con varie tecniche. Un tempo, l’unica soluzione era l’asportazione chirurgica dell’utero, ossia l’isterectomia. Questa soluzione, oltre a comportare una serie di rischi legati all’intervento (sanguinamento post operatorio, dolore, aderenze, incontinenza), eliminava per sempre la possibilità di avere un figlio, anche se la donna era in età fertile e cercava una gravidanza. Oggi i progressi scientifici mettono a disposizione altre soluzioni, che vanno discusse con il ginecologo e che si basano su diversi fattori, tra i quali l’età della donna, il fatto che abbia già dei figli e che cerchi ancora una gravidanza, l’intensità dei sintomi, il desiderio di mantenere comunque l’utero che da molte donne è considerato come un simbolo di femminilità e non soltanto come il “contenitore” del feto.
Oggi, se possibile, si cerca di evitare l’asportazione dell’utero, anche tenendo conto che non è una possibilità che le donne, pur con fibromi sintomatici, prendono volentieri in considerazione. Una survey condotta su circa 1000 donne con fibromi uterini sintomatici (età compresa tra i 29 e i 58 anni) ha riportato che il 79% non è favorevole alla chirurgia invasiva, il 51% desidera preservare l’utero e il 43% desidera preservare la fertilità.

Terapia farmacologica

I trattamenti medici possono aiutare ad attenuare i sintomi prima di un intervento chirurgico o essere utilizzati come terapia di lungo periodo. Quando il fibroma crea dolore ed eccessivo sanguinamento (con conseguente anemia), il ginecologo può prescrivere un trattamento con i farmaci. Questo si basa sulla somministrazione di antinfiammatori e antiemorragici, che alleviano il dolore e riducono il sanguinamento, ma non è in grado di portare alla scomparsa della formazione.
Spesso viene seguita una cura di tipo ormonale, somministrando gli analoghi del GnRH (Gonadotropin-Releasing Hormone): si tratta di una cura che agisce riducendo i livelli di estrogeni e progesterone attraverso l’induzione di uno stato pseudo-menopausale, che blocca la mestruazione determinando una riduzione delle dimensioni del fibroma e un miglioramento dell’anemia. Il trattamento si assume per iniezione, mensile o trimestrale. L’utilizzo degli analoghi del GnRH deve essere però limitato a un massimo di sei mesi, perché può causare perdita di massa ossea e quindi rischio di fratture, vampate di calore, stanchezza, cefalea e riduzione del desiderio sessuale. Al termine del trattamento, quindi, la crescita dei fibromi riprende e i sintomi tendono a ripresentarsi.

Ulipristal acetato

I modulatori selettivi del recettore del progesterone (SPRMs) costituiscono una classe di molecole in grado di modulare l’attività del progesterone con effetto diretto sui fibromi, riducendone le dimensioni, sull’ipofisi, inducendo amenorrea, e sull’endometrio, bloccando il sanguinamento uterino. Al momento, il primo farmaco che fa parte di questa classe è ulipristal acetato 5mg, che è indicato per il trattamento medico a lungo termine dei fibromi uterini.
Ulipristal acetato influenza l’attività del progesterone, che è uno dei fattori di crescita dei miomi uterini. Uno studio, il Pearl IV2, ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza dell’utilizzo prolungato di ulipristal acetato 5mg, che è stato già utilizzato da oltre 300 mila donne in tutto il mondo. Il farmaco riduce rapidamente le dimensioni del fibroma e il sanguinamento, oltre a tutti i sintomi correlati alla compressione. Entro 5-6 giorni dall’inizio della cura l’80-85% delle donne non ha più perdite di sangue. Inoltre è sicuro e ben tollerato anche nel lungo periodo. Possono comparire sintomi simili a quelli della menopausa, come vampate di calore e modificazioni dell’endometrio, ma sono lievi e tendono a risolversi spontaneamente nel corso del trattamento stesso. La cura si effettua assumendo una compressa da 5mg, una volta al giorno, iniziando il primo ciclo di trattamento durante la 1a settimana di mestruazione. Un primo ciclo dura al massimo tre mesi, quindi si sospende due mesi (2 cicli mestruali) e si inizia un secondo ciclo di altri tre mesi. La terapia con ulipristal acetato di due cicli trimestrali intervallati da due cicli mestruali era finalizzata soprattutto a ridurre sintomi e volume dei fibromi in vista dell’intervento. La terapia è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale se il ginecologo curante compila un modulo con nota AIFA 51 con l’indicazione di “fibromatosi sintomatica”. La novità è che ora la terapia può essere ripetuta per 4 cicli di tre mesi ciascuno, intervallati ciascuno da due mesi/cicli mestruali: può essere così efficace nel ridurre il volume dei fibromi e i sintomi da non richiedere più l’intervento chirurgico.
La gravidanza può essere cercata nei mesi successivi alla conclusione del trattamento con ulipristal acetato. I fibromi tendono a ricrescere nei primi mesi di gravidanza ma poi si distendono in modo variabile con la crescita dell’utero. Le possibili complicanze vanno valutate accuratamente, anche con esami preconcezionali. Acido folico, omega 3, omega 6, calcio, magnesio, zinco, iodio e altri integratori vanno assunti per almeno tre mesi prima di concepire.

Terapia chirurgica

Il trattamento con i farmaci non è risolutivo, cioè non porta alla scomparsa del fibroma: per questo può rendersi necessario l’intervento chirurgico. L’operazione viene scelta nel caso in cui la donna presenti disturbi invalidanti a causa del volume del mioma stesso. Si decide di operare anche quando la formazione compromette la fertilità e la donna desidera invece progettare una gravidanza. L’intervento è la via preferenziale anche quando il sanguinamento eccessivo non trae beneficio dalla cura con i farmaci.

Miomectomia

Consiste nell’asportazione chirurgica del solo fibroma. Può essere eseguita per via laparotomica. Oggi però la miomectomia viene effettuata prevalentemente per via laparoscopica. In questo modo non restano cicatrici visibili e la donna si riprende prima e meglio. L’intervento mantiene intatto il tessuto uterino e la sua funzione riproduttiva. In circa il 10-15 per cento dei casi, però, dopo alcuni anni si è costretti a intervenire nuovamente a causa di una recidiva. Può essere eseguita in anestesia spinale o generale.

Isterectomia

E' l’asportazione completa dell’utero, che si effettua quando il fibroma è molto grosso o causa seri problemi come un elevato sanguinamento. Compromette la capacità riproduttiva, con notevole stress fisico e psicologico. Per questo viene eseguita solo se strettamente necessaria. Si esegue in anestesia generale. L’isterectomia è considerata un trattamento definitivo perché, oltre ad asportare il fibroma, elimina il rischio che si riformi. Non è però esente da rischi, ossia sanguinamento, infezioni, dolore post operatorio, incontinenza, disfunzioni sessuali, depressione, nonché lesioni a vagina, vescica, ureteri e retto.

Isteroscopia operativa

E' una tecnica chirurgica mini invasiva conservativa, riservata ai fibromi sottomucosi di diametro massimo di 2-2,5 centimetri, e che mantiene la funzionalità riproduttiva dell’utero pur asportando la formazione. Viene eseguita per via vaginale, in anestesia spinale. Gli strumenti chirurgici raggiungono il fibroma e sezionano il tessuto solo dove è necessario, lasciando intatto l’utero con la sua funzione riproduttiva.

Ultrasuoni

Da alcuni anni si sta affermando in Italia una tecnica non invasiva per la rimozione o la riduzione dei miomi. Si tratta della tecnica “a ultrasuoni focalizzati” (HIFU) e si avvale appunto di ultrasuoni proiettati direttamente sul fibroma da trattare, causandone la progressiva riduzione. I tessuti circostanti non vengono toccati: si tratta quindi di una tecnica estremamente precisa e selettiva. Il ginecologo e il radiologo interventista valutano se il fibroma è operabile con questo sistema attraverso l’ecografia pelvica e la risonanza magnetica. Il trattamento a ultrasuoni focalizzati deve essere eseguito in contemporanea a questo esame, che permette di vedere all’interno dell’utero fornendo immagini in 3D con estrema precisione della zona operata. È possibile effettuare l’operazione con una semplice sedazione, oppure, nel caso di persone particolarmente emotive, in anestesia generale.
La donna viene introdotta in una macchina per risonanza magnetica e gli ultrasuoni sono veicolati dall’esterno sull’addome mentre la donna è sdraiata in posizione prona. Il ginecologo dirige il fascio esclusivamente nel punto centrale del fibroma da trattare. L’esecuzione della risonanza magnetica in contemporanea permette di intervenire solo dove è necessario, lasciando intatti i tessuti uterini circostanti. L’impulso, o sonificazione, ha una durata di circa 15 secondi: durante il trattamento l’operatore ha modo di controllare attraverso la RM come reagisce il tessuto del mioma. Ogni sonificazione tratta una porzione di tessuto molto piccola, quindi per i fibromi più grossi è necessario ripeterla diverse volte, fino a 50 nel caso di miomi più voluminosi. Per questo la procedura può durare anche due o tre ore. La tecnica a ultrasuoni è indicata per molti tipi di fibromi, ma non per tutti. Non vi si può ricorrere se la donna è sovrappeso o francamente obesa, se è minorenne oppure se è risultata positiva al pap-test per l’Hpv, con presenza di lesioni displasiche pretumorali. Anche l’allergia al gadolinio, usato come mezzo di contrasto, e la presenza di clip metalliche rappresentano una controindicazione. Infine, l’intervento non può essere eseguito per i miomi peduncolati perché sono particolarmente mobili. L’intervento va valutato nel caso in cui la donna soffra di claustrofobia o sia portatrice del contraccettivo IUD, che però può essere rimosso preventivamente.

Embolizzazione

E' una tecnica mininvasiva di radiologia interventistica, che si effettua mediante un forellino in una arteria all’inguine, dove si inserisce un tubicino di plastica di 1,5 mm che raggiunge il punto del fibroma e lo rimpicciolisce riducendo l’apporto sanguigno nella zona.
Il resto del tessuto uterino non viene toccato. Il controllo eco-color-doppler o la risonanza magnetica permettono di verificare l’avvenuta chiusura delle vene, con un netto miglioramento o la scomparsa dei sintomi e il ritorno ad una migliore qualità di vita. L’intervento prevede la degenza di un paio di notti. Non rimane nessuna cicatrice, non è necessaria alcuna sutura, non si sente alcun dolore a parte quello della puntura per l’anestesia. Sebbene risolva efficacemente la sintomatologia, questo trattamento non esclude la possibilità che i fibromi aumentino nuovamente di volume in una fase successiva.

Approfondisci l'argomento sul sito della Fondazione Alessandra Graziottin

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