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Ovariectomia preventiva: la seconda scelta coraggiosa di Angelina Jolie

24/03/2014

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Meno di un anno fa Angelina Jolie, star splendida e sensuale, a soli 37 anni, aveva scelto la mastectomia bilaterale di fronte ad un rischio dell’87% – geneticamente determinato – di avere un cancro al seno. L’asportazione totale della ghiandola mammaria di entrambe le mammelle (lasciando cute, areole, capezzoli, e applicando poi una protesi bilaterale) non azzera il rischio ma lo porta a un più accettabile 5%.
La sua vulnerabilità al cancro era concreta, perché portatrice di una variante del gene BRCA-1 che porta dal 10 all’87% il rischio di avere un tumore al seno. Di cancro mammario erano morte anche sua madre e sua zia, portatrici dello stesso gene alterato e alle quali il tumore era stato diagnosticato circa dieci anni prima.
Un carcinoma di un centimetro cubo (“piccolo”) contiene circa un miliardo di cellule ed è iniziato 5-8 anni prima della diagnosi clinica (a seconda del tempo di moltiplicazione delle cellule tumorali): la scelta di Angelina era stata “just in time”.
Ora l’attrice ha espresso la decisione di sottoporsi anche all’asportazione di entrambe le ovaie (“ovariectomia bilaterale”), perché quegli stessi geni malati comportano un rischio di tumore ovarico del 50%. Quest’ultimo è un tumore molto aggressivo, difficilissimo da diagnosticare in fase precoce, nonostante ecografie ripetute e ricerca dei marcatori tumorali nel sangue. L’ovaio si affaccia sul peritoneo e la diffusione di eventuali cellule tumorali è rapida ed estesa. Ecco perché, a 5 anni dalla diagnosi, la sopravvivenza è del 90-93% per il tumore alla mammella, ma inferiore al 50 per cento per l’ovaio.
Di fronte a questo altro temibile rischio, di nuovo Angelina Jolie ha scelto la vita. Che cosa le succederà? Senza ovaie, avrà una menopausa precoce causata dall’intervento (“iatrogena”, ossia causata da terapie medico-chirurgiche). Potrà però fare una terapia ormonale su misura, con estradiolo, progesterone (se opterà per tenere l’utero), testosterone ed eventualmente deidroepiandrosterone, per mantenere la sua bellezza, la sua sensualità, il suo profumo di donna (senza ormoni sessuali, anche questo si perde). La ammiro una volta di più per averlo dichiarato al mondo. Perché ha reso pensabile e fattibile una doppia scelta difficile e angosciante, quale è la mastectomia bilaterale associata poi all’ovariectomia bilaterale.
Circa il 10% delle donne che avranno un tumore al seno hanno geni che favoriscono la comparsa di questi due tipi di tumori (mammella e ovaio). Geni chiamati BRCA-2 e Tp53, oltre al BRCA-1, conferiscono un alto rischio, altri un rischio moderato (Check-2, Pten, Atm). Che cosa fanno questi geni? O meglio, cosa non fanno? Si tratta di geni “oncosoppressori”. Quando sono normali, agiscono come mini-medici biologici: intercettano le prime alterazioni che trasformano una cellula normale in tumorale, e le eliminano. Quando i geni sono alterati, questa formidabile protezione viene a mancare: molte più cellule tumorali possono moltiplicarsi indisturbate fino a dare luogo al tumore clinicamente evidente. Per inciso, ricordo che se un uomo è portatore di quegli stessi geni (ereditari) avrà più rischi di avere un tumore alla mammella (altrimenti raro nell’uomo) e alla prostata.
Perché fare un intervento così drastico? Non bastano controlli senologici e ginecologici periodici, con eco e mammografia annuale e con ecografia pelvica per le ovaie? Attenzione: Angelina (e i suoi oncologi che l’hanno così ben consigliata) ha intercettato i due rischi, mammari e ovarici, evitandoli quasi totalmente. Togliendo le due ghiandole mammarie e le due ovaie ha fatto una prevenzione primaria (“intervento profilattico”), prima che comparisse una sola cellula cancerogena. Così si è salvata la vita. La diagnosi precoce, anche di un tumore piccolo, è invece prevenzione secondaria: il rischio cancro si è già realizzato, perché il tumore maligno c’è già. A quel punto si cerca di limitare i danni, sperando che oltre ad essere piccolo sia anche localizzato: ossia non abbia già dato metastasi linfonodali o sistemiche, anche microscopiche, che nel tumore del seno possono dar segno di sé perfino vent’anni dopo l’asportazione del tumore primario. Una scelta difficile: per questo è prezioso parlarne con serenità, prima.

Cancro al seno Cancro dell'ovaio Genetica e fattori genetici Geni oncosoppressori - Mutazione BRCA 1/2 Mastectomia profilattica bilaterale Menopausa iatrogena Salpingo-ovariectomia profilattica bilaterale Terapia ormonale sostitutiva

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