Se si considera che un carcinoma di un centimetro cubo (quindi “piccolo”) contiene circa un miliardo di cellule ed è iniziato circa 5-8 anni prima della diagnosi clinica (a seconda del tempo di moltiplicazione delle cellule tumorali), la scelta di Angelina è stata fatta “just in time”. La ammiro per averlo dichiarato al mondo. Perché ha reso pensabile, ipotizzabile, fattibile, una scelta difficile e per molte angosciante, qual è la mastectomia bilaterale. Moltissime altre donne, portatrici dello stesso gene o di altri che conferiscono un rischio alto (BRCA-2, Tp53) o moderato (Check-2, Pten, Atm), penseranno: «Se l’ha fatta lei, così bella e sensuale, così giovane e così star, posso farlo anch’io!». «Se lei non si sente meno donna, allora potrei viverla bene anch’io!».
«E la diagnosi precoce?», diranno in molte: «Perché fare un intervento così drastico? Non resto comunque tranquilla se mi faccio controlli senologici periodici, con eco e mammografia annuale?». Attenzione: Angelina (e i suoi oncologi che l’hanno così ben consigliata) ha intercettato il rischio, evitandolo quasi totalmente: togliendo la ghiandola mammaria ha fatto una prevenzione primaria (“intervento profilattico”), prima che comparisse una sola cellula cancerogena. Così si è salvata la vita, ma anche la possibilità di fare, in futuro, cure ormonali dopo la menopausa per preservare al meglio cervello, salute globale e bellezza. La diagnosi precoce, anche di un tumore piccolo, è invece prevenzione secondaria: il rischio cancro si è già realizzato, perché il tumore maligno c’è già. A quel punto si cerca di limitare i danni, sperando che oltre ad essere piccolo sia anche localizzato: non abbia cioè già dato metastasi linfonodali o sistemiche, anche microscopiche, che possono dar segno di sé perfino vent’anni dopo l’asportazione del tumore primario.
La questione non è solo dimensionale. Nel momento in cui si ha la diagnosi di tumore, si dovranno fare cure complesse: non solo la chirurgia ma anche la radioterapia locale; cure “antiormonali”, di vario tipo e durata a seconda dell’età e dello stato menopausale (inibitori dell’aromatasi, tamoxifen, analoghi), oppure chemioterapiche in caso di assenza di recettori ormonali nelle cellule tumorali. Cure lunghe e pesanti. E, dopo la menopausa, la donna non potrà più assumere ormoni amici (estrogeni, progesterone, testosterone, DHEA), trovandosi a subire tutti i sintomi di un’assenza ormonale che spesso sono di intensità devastante.
Chi può considerare l’intervento profilattico di mastectomia bilaterale? L’American Society of Clinical Oncology (ASCO) indica le donne che abbiano:
- tre o più casi di carcinoma mammario in famiglia prima dei 50 anni;
- due o più casi di carcinoma al seno e uno o più all’ovaio (c’è un rischio geneticamente determinato in comune);
- due sorelle entrambe con carcinoma mammario prima dei 50 anni;
- tumori in età giovane (circa il 25% dei cancri mammari compare prima dei 50 anni) e/o bilaterali;
- un tumore al seno in un maschio di famiglia.
Aggiungo anche le donne con lesioni a rischio istologicamente documentate (per esempio, carcinomi in situ) che vogliano fare in pace le cure ormonali per la menopausa. Opzione di fatto impossibile in Italia, in netta crescita negli USA. Ma una donna che sia ben seguita dal punto di vista oncologico, chirurgico e psicologico, potrà ben decidere che cosa fare del proprio corpo? Anche togliere il seno e farsi una bella protesi, se preferisce scegliere la vita.
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