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Menopausa e vulnerabilità all'invecchiamento: quali segni ci dicono che c'è un rischio di invecchiamento accelerato?

10/04/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Introduzione

Da che cosa dipende l’invecchiamento sessuale femminile? In quali ambiti insidia maggiormente la salute? Esistono terapie che consentano di limitare i danni?
L’invecchiamento è un evento “multisistemico” e “multifattoriale”: coinvolge cioè tutto l’organismo, ed è determinato da numerose variabili. Nella donna, in particolare, la menopausa rappresenta un punto di svolta cruciale, perché non solo segna la fine dell’età fertile, ma accelera anche i processi di invecchiamento generale, con ripercussioni significative per la salute nel suo complesso. Fronteggiare adeguatamente l’invecchiamento sessuale – con il giusto stile di vita e, quando indicato, appropriate terapie mediche – consente quindi di prevenire alcuni problemi legati alla vecchiaia in generale.
In questa scheda vedremo che esistono quattro principali fattori di rischio – definiti in termini tecnici “marker di vulnerabilità” – che permettono di valutare se la donna stia andando incontro a un invecchiamento problematico sessuale e generale:
1. l’età in cui inizia la menopausa;
2. la gravità delle vampate di calore;
3. il valore del pH vaginale;
4. il grado di trofismo vulvare.
Gli effetti prodotti da questi fattori possono ridurre la cosiddetta “aspettativa di salute”, cioè l’età in cui – mediamente – una donna inizia ad avere problemi irreversibili legati al trascorrere del tempo o a patologie croniche. L’aspettativa di salute è in genere molto più breve dell’aspettativa di vita (cioè l’età mediamente raggiunta da uomini e donne). Può essere influenzata, in positivo, da fattori biologici, psicosessuali e relazionali [2]. Anche la medicina può ridurre tale divario, diagnosticando con tempestività i quattro fattori di rischio e adottando le opportune strategie terapeutiche.

In che cosa consiste l'invecchiamento sessuale femminile?

L’invecchiamento sessuale si colloca nello scenario più ampio dell’invecchiamento generale: questo, dal punto di vista biologico, è definito come il progressivo deterioramento delle strutture e delle funzioni dei vari organi, non a causa di particolari patologie note ma per effetto del semplice passare del tempo [1].
L’invecchiamento sessuale ha tuttavia alcune caratteristiche peculiari. Nella donna, in particolare, l’età riproduttiva non sempre coincide con l’età cronologica. Già prima della nascita, infatti, una parte della riserva ovocitaria va distrutta: e questo patrimonio si riduce progressivamente fino alla menopausa. La vera e propria capacità riproduttiva, però, si esaurisce circa 10 anni prima della menopausa, perché poco per volta gli ovociti – pur venendo ancora prodotti in quantità accettabili – sono meno capaci sia di essere fecondati sia di evolversi in embrioni vitali. Tutto questo avviene dunque a un’età in cui, per quanto riguarda il resto, la donna può essere ancora perfettamente in salute [1].
Con la menopausa si verificano ulteriori eventi biologici. Oltre all’esaurimento completo e definitivo degli ovociti, infatti, cessa anche la produzione di estrogeni e progesterone, i due principali ormoni sessuali femminili, che non solo predispongono al concepimento e alla maternità, ma costituiscono – insieme con il testosterone (prodotto anche dalla donna e “ormone del desiderio” per eccellenza) – una vera linfa vitale per tutto l’organismo.
Il testosterone, peraltro, va incontro a un destino diverso a seconda del fattore che provoca la menopausa:
- se la menopausa arriva al momento giusto, continua ad essere prodotto, anche se in quantità via via minori in funzione dell’età;
- se la menopausa precoce è spontanea (POF, Premature Ovarian Failure), cioè si verifica prima dei 40 anni in assenza di fattori scatenanti esterni, il testosterone permane e tende a ridursi in modo analogo a quanto avviene nella menopausa naturale;
- se la menopausa precoce è iatrogena (ossia provocata da ovariectomia bilaterale) la donna perde in un colpo solo il 50% del testosterone totale. Una alterazione così improvvisa può anticipare e peggiorare l’impatto dell’età sull’invecchiamento sessuale, anche in presenza di un’adeguata terapia ormonale sostitutiva [2-6]. In caso di chemioterapia, radioterapia pelvica o total body, si ha ugualmente una menopausa iatrogena: in tal caso le ovaie restano sì in sede, ma non sono più funzionanti. La perdita di testosterone è variabile ma può raggiungere il 50% quando il trattamento distrugge tutte le cellule di Leydig, che producono il testosterone e che sono contenute nella porzione centrale dell’ovaio.

Che cosa accade con la perdita degli ormoni sessuali?

Uno studio condotto su 4517 donne in USA, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia, ha evidenziato come i sintomi della menopausa maggiormente correlati agli sbalzi ormonali e più negativi per lo stato di benessere generale siano otto: vampate di calore, sudorazioni notturne, perdita di memoria, insonnia, artralgie a collo e spalle, mal di testa, secchezza vaginale e ridotta capacità di eccitazione [3].
Come si vede, solo alcuni di questi disturbi sono legati alla sfera sessuale, mentre altri investono la qualità della vita nel suo complesso. Facciamo però un passo indietro e vediamo più in dettaglio quali sono i sistemi del nostro organismo a essere più influenzati dagli ormoni.
In generale, possiamo dire che ogni singola cellula del corpo, ogni tessuto è beneficamente nutrito e stimolato dagli ormoni prodotti dalle nostre ghiandole. Non solo dagli ormoni sessuali ma anche, per esempio, dall’insulina, dagli ormoni tiroidei e dagli ormoni surrenalici. Gli ormoni sessuali, però, svolgono una funzione trofica (ossia nutritiva) particolarmente potente su molti diversi sistemi. Il progesterone è funzionalmente legato alla gravidanza, ma gli estrogeni e il testosterone formano davvero una formidabile coppia di alleati su più fronti.
Il primo organo ad essere colpito dalla loro carenza è il cervello. In particolare, essi sono essenziali per il benessere di tre sistemi cerebrali da cui dipendono il tono dell’umore, l’energia vitale, la vivacità della memoria e dell’intelligenza. Il primo, detto “serotoninergico”, utilizza la serotonina; il secondo, detto “dopaminergico”, utilizza la dopamina; il terzo, detto “colinergico”, utilizza l’acetilcolina. Se gli ormoni sessuali vengono a mancare, la quantità di questi neurotrasmettitori si riduce e i tre sistemi lavorano meno bene: ecco spiegate la tristezza, la malinconia, fino alla depressione franca, dovute alla carenza di serotonina; la perdita di desiderio sessuale, di energia vitale, di assertività, di voglia e gioia di vivere, provocata dalla riduzione della dopamina; e la perdita di memoria e di lucidità mentale, dovuta alla perdita di acetilcolina. Quest’ultimo fenomeno non va assolutamente sottovalutato: si pensi solo che la menopausa precoce anticipa mediamente l’insorgenza del morbo di Alzheimer di 2 anni e 3 mesi!
Oltre al cervello, la carenza di estrogeni e testosterone colpisce anche:
- l’apparato urogenitale, con conseguenze sulla vescica e l’ecosistema vaginale; ne risente l’intera struttura fisica della sessualità, con perdita di desiderio, ma anche disfunzioni più generalizzate (tra cui difficoltà di eccitazione fisica e impoverimento dell’intensità dell’orgasmo);
- il sistema cardiocircolatorio: le donne in menopausa hanno più infarti di quelle in età fertile;
- l’apparato osteoarticolare: ossa, muscoli, tendini e articolazioni. Queste ultime sono ricchissime di recettori per gli estrogeni: quando ne sono carenti, la donna ha frequenti dolori e un fastidioso senso di “ruggine” che rende difficili e quasi goffi i movimenti. La perdita di densità ossea aumenta il rischio di osteopenia e osteoporosi, mentre la diminuzione della massa muscolare magra – dipendente anche dalle mutazioni del metabolismo basale dovute all’età – espone all’aumento di peso, dannoso a sua volta per ossa, muscoli, cuore.
Non solo. La carenza ormonale provoca un netto peggioramento della secrezione di tutte le mucose dell’organismo, e ciò comporta effetti talora davvero difficili da collegare alla menopausa! Per esempio:
- si riduce la secrezione lacrimale e così l’occhio diventa più secco, con conseguenze negative per la vista, il senso di benessere e – non dimentichiamolo – la sicurezza;
- si riduce la secrezione salivare, e la donna accusa alterazioni del gusto, difficoltà di masticazione e, a volte, persino di fonazione;
- si riduce la secrezione delle ghiandole del tratto gastrointestinale, e insorgono difficoltà di digestione.
Anche il tatto e l’olfatto vengono investiti da questo terremoto. La donna ha frequenti parestesie, ossia fastidiosi formicolii alle mani. E perde quella finezza olfattiva che, in età fertile, è proverbialmente superiore a quella dell’uomo. Questo, per esempio, significa percepire meno i feromoni, ossia le sostanze che veicolano l’attrattività sessuale, con ulteriore impoverimento di una sessualità già duramente provata su molti altri fronti.

L'età influenza il processo di invecchiamento sessuale?

Certamente: quando si parla di “invecchiamento sessuale”, ci si riferisce non soltanto all’esaurimento degli ormoni, ma anche all’effetto globale dell’età.
Ecco un esempio molto significativo. Dal punto di vista biologico, la funzione sessuale della donna raggiunge il suo culmine intorno ai 20 anni, anche quando siano presenti variabili psicosociali o relazionali negative, come un’educazione sessuale restrittiva. E’ infatti dimostrato che, nella donna, sia il testosterone totale e libero sia il deidroepiandrosterone (iniziatori e modulatori biologici della risposta sessuale) raggiungono il picco attorno a questa età. Intorno ai 40 anni, i livelli plasmatici degli androgeni risultano ridotti del cinquanta per cento, con un ulteriore dimezzamento tra i 40 e i 60 anni: dunque, a 60 anni la donna ha un quarto degli androgeni che aveva a 20, con tutte le possibili ripercussioni sulla salute che abbiamo già esaminato [5].
Anche la probabilità di avere disfunzioni sessuali aumenta con l’età, e sempre a partire dai 20 anni circa [3-4]. La caduta del desiderio sessuale, per esempio, è del 19% nelle donne tra i 18 e i 49 anni, con attività ovarica regolare; sale al 32% nelle donne della stessa fascia di età, ma in menopausa chirurgica; raggiunge il 48% nelle donne tra i 50 e i 70 anni, in menopausa naturale. Queste percentuali possono però variare in relazione a diversi fattori socioculturali: essere sposate o meno, avere un lavoro, un buon reddito, un’alta scolarizzazione, aver vissuto una buona sessualità durante l’età fertile e poter accedere all’assistenza medica.
L’insoddisfazione legata alla riduzione dell’attività sessuale, intesa come perdita del desiderio, è invece inversamente correlata all’età [2-4]. Il fenomeno è abbastanza intuitivo: più la donna è giovane, maggiore è la probabilità che la disfunzione sessuale sia percepita come negativa, peggiorando l’autostima, l’immagine di sé e la qualità della relazione di coppia. Un recente studio europeo ha evidenziato come il 63% delle donne tra i 18 e i 49 anni, in menopausa chirurgica e con conseguente perdita di desiderio sessuale, si sentano in crisi anche per la paura di deludere il partner.
La sessualità della donna risente molto anche dell’atteggiamento del/la partner e di suoi problemi sessuali. Molti studi dimostrano che i problemi di salute generale e sessuale del partner sono importanti fattori “predittivi” dei cambiamenti nella donna nel periodo peri- e postmenopausale, a conferma di quanto l’affettività resti importante nel modulare il vissuto dei fattori biologici.

Quali risposte offre la medicina per risolvere questi problemi?

Dal punto di vista clinico, il medico può influire molto sulla qualità della vita della donna nel suo fisiologico processo di invecchiamento. In particolare può identificare alcune condizioni di maggiore vulnerabilità per un invecchiamento sessuale e generale a rischio nelle donne in età perimenopausale.
Come accennavamo nella premessa, esistono quattro “marker di vulnerabilità” di grande importanza che permettono di valutare se la donna sta andando incontro a un invecchiamento problematico:
1) l’età in cui inizia la menopausa;
2) la gravità delle vampate di calore;
3) il valore del pH vaginale;
4) il grado di trofismo vulvare.
Essi possono essere identificati attraverso un’anamnesi ed un esame obiettivo accurati, e affrontati con terapie mediche adeguate ed efficaci. Vediamoli in dettaglio.

1) Età in cui inizia la menopausa

Più la menopausa è prematura rispetto alla media, peggiore è il suo impatto sullo stato di salute generale e sessuale [2, 6]. In caso di menopausa precoce, sia spontanea che iatrogena, l’invecchiamento generale viene infatti anticipato, e con un effetto potenzialmente ancora più negativo in relazione alla fase della vita riproduttiva in cui questo accade.
L’esaurimento ovarico precoce spontaneo ha un’incidenza dell’1% delle donne sotto i 40 anni, anche se secondo altre casistiche riguarda fino al 7.1% delle donne. La menopausa iatrogena, sia per patologie benigne che maligne, interessa il 3.4-4.5% delle donne sotto i 40 anni e fino al 15% delle donne tra i 40-45 anni [6].
La menopausa precoce è stata messa in relazione ad un rischio aumentato di osteoporosi, malattia coronarica e morbo di Alzheimer, tutti segni di un invecchiamento patologico precoce. Anche i disturbi sessuali sono più frequenti nelle donne con menopausa precoce [2-3], in particolare dopo l’ovariectomia bilaterale [3, 4, 12, 13].
Il rischio di tumore della mammella, nelle donne con menopausa precoce che siano state trattate con terapia sostitutiva ormonale, corrisponde al rischio che corrono le donne di pari età in periodo premenopausale e con normale produzione ovarica. Gli esperti sono concordi nel ritenere che alle donne con menopausa precoce (ad eccezione di quelle affette da tumori ormono-dipendenti, come il tumore della mammella o gli adenocarcinomi del tratto genitale, o altre controindicazioni maggiori) dovrebbe essere proposta la terapia ormonale sostitutiva almeno fino all’età media della menopausa fisiologica, ovvero 51 anni [7-9].
In sintesi: chiedere l’età in cui è iniziata la menopausa è quindi un primo elemento importante che consente al ginecologo o al medico curante di valutare lo stato di benessere generale e sessuale, il rischio di un deterioramento di salute accelerato, e l’eventuale necessità di terapie integrate, ormonali e non ormonali.

2) Gravità delle vampate di calore

Le vampate di calore sono state a lungo considerate un segno a se stante della carenza estrogenica provocata dalla menopausa. Oggi invece vengono considerate un vero e proprio segnale di vulnerabilità del sistema nervoso centrale, ossia come un indicatore di rischio di invecchiamento cerebrale patologico [10].
Gli estrogeni, infatti, sono fattori trofici per i neuroni: migliorano la loro capacità di “autoripararsi” in caso di danno e ne potenziano la naturale tendenza a connettersi fra loro grazie alla formazione delle cosiddette “spine dendritiche”. Queste appaiono come sottili ramificazioni, simili a quelle di un albero, e si sviluppano in proporzione diretta con l’uso e l’efficienza dei meccanismi cerebrali: un fenomeno noto come “neuroplasticità”. Senza estrogeni, questa ramificazione dinamica si riduce in modo drammatico, con gravi conseguenze per le funzioni cognitive e affettive.
Le ricerche hanno dimostrato che intense e frequenti vampate di calore possono essere messe in relazione con disturbi dell’umore (ansietà, depressione), perdita del desiderio, disturbi del sonno, tendenza a perdere la concentrazione o la memoria [2, 3, 10]. Va sottolineato, naturalmente, che non è la vampata in sé che provoca questi problemi: è la perdita di estrogeni che, oltre a causare le vampate, innesca il deterioramento cerebrale. La vampata, essendo un sintomo molto evidente, costituisce un segnale d’allarme importante che deve spingere a verificare anche le condizioni del cervello.
In sintesi: la vampata di calore è un marker di vulnerabilità cerebrale ad un invecchiamento accelerato. La terapia ormonale sostitutiva, se prescritta nei primi anni dopo la menopausa, può ridurre non solo le vampate – ossia la sintomatologia vasomotoria a base neurovegetativa – ma anche il più globale decadimento del sistema nervoso centrale, contribuendo a una migliore qualità dell’invecchiamento mentale e sessuale [10]. La terapia deve però essere prescritta tempestivamente: lo studio Women’s Health Initiative ha infatti provato che una prescrizione tardiva, dopo i 70 anni, non solo non è efficace ma può addirittura peggiorare il quadro clinico [7-10, 15].

3) Valori del pH vaginale

Il pH vaginale è modulato dai livelli di estrogeni presenti nei tessuti. Fisiologicamente, in età fertile, si aggira attorno a 3.5-4.5, ma con la menopausa tende a salire a 7.0-7.39. Tale incremento, a sua volta, rispecchia e segnala la progressiva atrofia dell’intero apparato uro-genitale [2, 6, 13-16]. Calcolarne il valore è facile: basta applicare uno stick in vagina per alcuni secondi, e in breve si avrà una stima “colorimetrica” del pH, ossia basata sul colore assunto dallo stick.
Il pH vaginale è particolarmente importante in quanto:
1) governa l’ecosistema vaginale, caratterizzato da miliardi di microrganismi in equilibrio dinamico. Quando è maggiore di 5.0, il pH espone la vagina alla proliferazione di germi solitamente minoritari, fra cui quelli della famiglia della Gardnerella. Ciò provoca un aumento delle secrezioni vaginali, con odore sgradevole, e segni di infiammazione. L’incremento del pH vaginale esprime inoltre un rischio aumentato per infezioni sia vaginali che uretrali, per esempio da Escherichia Coli o Enterococcus Faecalis, che possono a loro volta causare vaginiti o cistiti recidivanti, soprattutto post-coitali;
2) è un “marker” della capacità di risposta del sistema vascolare genitale agli stimoli sessuali: gli estrogeni – da cui dipende il valore del pH – sono infatti un fattore “permittente” per il VIP (Vasoactive Intestinal Polipeptide), il neurotrasmettitore che trasforma l’eccitazione mentale nella risposta vaginale di congestione e lubrificazione. In pratica, se ci sono gli estrogeni, il VIP lavora meglio; se gli estrogeni mancano, anche il VIP è meno efficace. Con il risultato che la donna inizia ad accusare secchezza vaginale e dispareunia, ossia dolore ai rapporti;
3) è infine un indizio di vulnerabilità postmenopausale a disturbi urinari, sopratutto da urgenza minzionale.
In sintesi: il pH vaginale è una “spia” di vulnerabilità a infezioni uroginecologiche e problemi sessuali. In positivo, una terapia sostitutiva a base di estrogeni – sistemica o locale – è in grado di normalizzare il pH vaginale e limitare tutti i disturbi che abbiamo visto: vaginiti, cistiti ricorrenti, secchezza vaginale, dispareunia e incontinenza da urgenza [7-9, 13-16]. L’assunzione deve essere prolungata, per poter avere risultati evidenti e persistenti: i disturbi tendono infatti a ripresentarsi quando la terapia viene sospesa. Quindi non bisogna avere fretta a interromperla!

4) Grado di trofismo vulvare

Il trofismo della vulva (ossia il suo stato di nutrizione) è un indicatore del trofismo – e quindi della salute – non solo di cute e mucose, ma anche di tutte le strutture vascolari dell’apparato sessuale femminile, in particolare della clitoride e dei corpi bulbo-cavernosi. Si parla di “distrofia” quando il trofismo di un tessuto è alterato. L’invecchiamento dei tessuti vulvari, e il loro minore trofismo (distrofia vulvare), è a sua volta influenzato da:
- età: tra i 50 e i 60 anni, la donna ha nei corpi cavernosi circa la metà del tessuto muscolare liscio che aveva a 20 anni;
- livelli di estrogeni e androgeni presenti nei tessuti;
- stili di vita inappropriati;
- patologie specifiche.
Tra queste ultime, la presenza di auto-anticorpi può provocare la cheratinizzazione (“cheratosi”) dell’epitelio vulvare, che assume un colore biancastro (“leucoplachia”); la conglutinazione delle labbra; l’involuzione della clitoride e una risposta sessuale inadeguata, fino alla totale anorgasmia: un quadro che va sotto il nome di “Lichen Sclerosus Vulvare”.
L’applicazione locale di testosterone propionato può ritardare i segni dell’invecchiamento vulvare e mantenere una buona risposta sessuale, anche se in questo senso mancano ancora studi definitivi [13].
In sintesi: il grado di nutrizione e di invecchiamento della cute e delle mucose della vulva rispecchia le analoghe modificazioni dei tessuti sottostanti, in particolare vascolari (tra cui i corpi cavernosi del clitoride e bulbovestibolari). Un invecchiamento vulvare precoce è associato a accelerata riduzione della qualità della risposta fisica genitale, con secchezza e difficoltà orgasmiche. In positivo, il trattamento locale con testosterone può ridurre i sintomi sia ginecologici sia sessuali.

In conclusione

L’attenzione verso i sintomi legati alla menopausa può migliorare la qualità della vita delle donne in ambito sia sessuale che generale. Molti di questi sintomi, infatti, sono determinati da cause – prima fra tutte la carenza ormonale – che provocano anche altri disturbi sistemici, cioè globali, ma in modo più lento, meno evidente, e anche molti anni dopo l’entrata in menopausa. I quattro “marker” che abbiamo visto sono quindi un utilissimo segnale d’allarme che deve spingere il medico a indagare anche in aree dell’organismo apparentemente non toccate dall’invecchiamento sessuale.
La terapia ormonale sostitutiva, correttamente prescritta, può ridurre gli aspetti negativi della menopausa sul processo di invecchiamento sessuale e generale, tanto più precocemente quanto più la prescrizione è attenta a cogliere le diverse vulnerabilità biologiche, genitali e sistemiche, dopo che siano state correttamente diagnosticate.
Il beneficio non si limita a ridurre i sintomi, ma può portare a un significativo miglioramento della qualità della vita sessuale e del senso di benessere generale.

Approfondimenti specialistici

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Parole chiave:
Estrogeni Invecchiamento sessuale Menopausa e premenopausa Menopausa iatrogena Menopausa precoce Terapia ormonale sostitutiva Testosterone Vampate di calore

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