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Perdita di memoria: quando preoccuparsi

Perdita di memoria: quando preoccuparsi
24/07/2023

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Non mi ricordo dove ho messo gli occhiali…». «Per caso hai visto dove ho lasciato le chiavi dell’auto?». «Faccio fatica a ricordarmi le cose: se non mi segno tutto è un disastro». «I nomi, i nomi! Non me li ricordo più!». La perdita di memoria ci inquieta. Quando dovremmo preoccuparci? E che cosa dovremmo fare per rallentare il declino cognitivo legato all’età, ma anche a stili di vita distruttivi per il nostro cervello?
Cinque sono i sintomi critici che dovrebbero indurci a consultare un medico, secondo il National Institute of Health statunitense (NIH): 1) ripetere più volte le stesse domande (perché ci si dimentica la risposta); 2) perdere l’orientamento in luoghi conosciuti; 3) aver difficoltà a seguire indicazioni stradali, ma anche una prescrizione o una ricetta; 4) essere sempre più confusi riguardo a tempo, date e orari, luoghi e persone; 5) aver meno cura di sé stessi, in termini di alimentazione, cura e igiene del corpo, o con comportamenti rischiosi.
Le strategie per contrastare la tendenza a dimenticare sono tanto più efficaci quanto più sono iniziate tempestivamente e praticate con costanza quotidiana. Imparare qualcosa di nuovo è il primo passo, meglio se con altri e se implica un’attività fisica, come uno sport o una pratica musicale, dal canto al suonare uno strumento, se erano una passione antica o un sogno nel cassetto non ancora realizzato. Tutto ciò che coinvolge in parallelo corpo e mente ha infatti la massima efficacia anti-invecchiamento, anche cerebrale: «Mens sana in corpore sano».
Seguire una routine quotidiana aiuta a creare “autostrade” nel cervello, veri e propri circuiti ben consolidati che, grazie alla manutenzione costante che deriva dal ripeterli, aiutano a migliorare la neuroplasticità, ossia la capacità del cervello di riparare i danni causati dall’età e da stili di vita sbagliati, e di creare nuove connessioni fra le cellule nervose, necessarie per ancorare memoria e autonomia esistenziale.
Fare attività fisica regolare, anche semplicemente camminando di buon passo al mattino, abbassa lo stress, che è devastante per il cervello, e migliora i bioritmi, incluso quello del microbiota intestinale, potente regista anche della memoria. Essenziale è curare l’alimentazione, semplice, sobria e con cibi possibilmente freschi, riducendo al minimo l’alcol, gli zuccheri semplici e i grassi saturi, che sono neurotossici. Dormire il giusto rallenta il deterioramento cognitivo, meglio ancora se si seguono i bioritmi della luce naturale, alzandosi presto il mattino, uscendo e spegnendo la luce la sera senza fare troppo tardi, evitando l’overdose di vita digitale notturna (è invece un segnale di deterioramento grave scambiare il giorno per la notte).
Utile pianificare obiettivi, liste di cose da fare, usando annotazioni, quaderni per appunti e calendari. Tutti ancoraggi positivi, di cui un buon metodo di vita, possibilmente appreso fin dall’infanzia, è garbato garante. Ottimo avere una “mappa logistica”, come la chiamo io, per mettere chiavi, occhiali, telefonini e portamonete così da ritrovarli rapidamente, senza fare la caccia al tesoro tutte le mattine o coinvolgere la famiglia in una ricerca spreca-energia.
Vitale avere una vivace vita sociale, ancor più in un mondo in cui la solitudine è crescente e disperante, soprattutto fra gli anziani, mantenendosi più attivi fuori casa grazie alle camminate in compagnia, allo sport, al volontariato, alla vita spirituale, se si ha fede. L’ossitocina, che si alza nel cervello e nel sangue quando condividiamo un gesto affettuoso, un abbraccio, una carezza, ha un potente effetto antinfiammatorio e ricostruttivo sul cervello, e aiuta a ricordare, a tutte le età.
Importantissimo, infine, prevenire o controllare la pressione alta e il diabete, grandi distruttori di cellule nervose e di memoria, ma anche la sordità, che di fatto ci isola dal mondo, le difficoltà visive, che riducono la lettura e l’autonomia, l’obesità, che ci imprigiona in casa, e la depressione.
Buona notizia: non tutte le iniziali perdite di memoria, che contribuiscono al cosiddetto “deterioramento cognitivo moderato” (mild cognitive impairment, MCI) finiscono in demenza. Segnali precoci di questo tipo iniziale di deterioramento includono il perdere spesso gli oggetti utili, il dimenticarsi di andare ad appuntamenti o eventi importanti, avere più difficoltà della media dei coetanei nel ricordare rapidamente le parole giuste per esprimersi al meglio. Un’accurata valutazione del geriatra, o del neurologo, può meglio aiutarci a definire il reale livello del deterioramento e le misure per ridurlo. Punto chiave: il nostro cervello ha miliardi di cellule inutilizzate, sin da giovani. Ricordiamoci di usarle, presto e bene: più sono attive e ben connesse, migliore è il bagaglio di neuroni attivi con cui proiettarci in una longevità più autonoma, più luminosa e più vivace.

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