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Papà in sala parto: sì o no?

17/10/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Inutile insistere: per alcuni uomini vedere la nascita del figlio è un'esperienza troppo traumatica. Ma ciò non significa che non saranno buoni padri. E può aiutare fare insieme il corso di preparazione.
“Ho 32 anni e sono al quinto mese della mia prima gravidanza. Sia io che mio marito siamo felicissimi. Tutto sta andando bene per cui spero di fare un parto spontaneo. Io vorrei tanto che mio marito assistesse al parto, ci penso sempre, ma lui mi dice che non se la sente. Che è una cosa troppo traumatica e non vorrebbe che l’esperienza lo bloccasse per sempre. Mio cognato ha assistito alla nascita di sua figlia e dice che è stata una cosa bellissima. Anche i mariti di due mie amiche erano in sala parto e sono stati contenti. Ormai tutti gli uomini vanno in sala parto! Perché solo il mio no? Mia madre mi dice di non forzarlo. Io però sono amareggiata e irritata. Perché non dovrebbe starmi vicino proprio in quel momento? Lei che cosa ne dice: insisto o lascio perdere, come mi suggerisce mia mamma?”.
Annalisa R. (Latina)
Cara Annalisa, le dico subito che sono d’accordo con sua mamma. Quando un uomo non si sente di assistere al parto è bene non insistere. Suo marito può adorarla, aver desiderato immensamente questo bambino, essere un ottimo padre e tuttavia sentire che questa potrebbe essere per lui un’esperienza emotivamente traumatica, negativa, che è meglio evitare. Inoltre, le dico subito che non è affatto vero che “tutti gli uomini vanno in sala parto”. I dati del nostro Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ci mostrano una realtà molto differente, che è bene conoscere, anche per capire che la realtà dei sentimenti e dei comportamenti umani è molto varia, e va compresa e rispettata, specie in un momento così delicato della vita di coppia qual è la nascita del primo figlio.

Quanti sono i padri che assistono alla nascita del primo figlio?

La percentuale varia molto nelle diverse regioni italiane, con una media del 66,1 per cento, sostanzialmente invariata – dato curioso – dal 1999 ad oggi. E’ massima nel Nord-Ovest (con il record italiano dell’87,8 per cento di padri in sala parto) e nel Nord-Est (83,9 per cento), minima al Sud, dove i padri entrano in sala parto solo nel 31,1 per cento dei casi. Nel Centro Italia, dove lei abita, questa percentuale è del 68,9 per cento. Come vede, quindi, diversi fattori possono influenzare la scelta: culturali, emotivo-affettivi, ma anche strutturali. Sempre i dati Istat ci dicono che in molti ospedali, specie al Sud, la presenza del padre non è ancora ammessa in sala parto. Questo per dirle che la realtà è molto varia e che quindi non dobbiamo ritenere né assodata, né obbligatoria, la presenza del papà al momento del parto.

Che cosa può esser percepito come "traumatico" nella nascita del proprio figlio?

Molti uomini dicono di non sopportare la vista del sangue, l’odore dei disinfettanti, l’ambiente molto medicalizzato. Alcuni si sentono male o addirittura svengono in sala parto, come ho visto succedere durante gli anni di lavoro come ginecologa in Ostetricia. Altri si sentono “inutili”, se non addirittura d’impiccio. Qualcuno si sente in colpa, alla sola idea di vedere quanto debba soffrire la propria compagna per partorire. E frustrato al sentire di non poter far niente per alleviare il dolore di lei. Altri vivono come molto traumatico proprio il momento della nascita del figlio, specie se è necessaria l’episiotomia (il taglio che viene fatto per agevolare l’uscita della testa e del corpo del piccolo). E lo shock che ne possono avere può poi bloccare, per esempio, il desiderio sessuale e la capacità di intimità, come ho visto in alcuni casi venuti in consultazione per un blocco della sessualità dopo aver assistito al parto. Molti mi hanno detto, dopo, di averlo fatto per far piacere a lei ma che, tornando indietro, non l’avrebbero più rifatto. Consideri che la vulnerabilità emotiva alla vista del parto non ha nulla a che vedere con il coraggio di un uomo, la sua affidabilità, la sua forza d’animo, o la sua intelligenza. Ci sono uomini di grande qualità che serenamente dicono di non sentirsi di stare in sala parto. E credo sia giusto rispettare quest’intuizione di specifica vulnerabilità personale, senza forzare, come le dicevo all’inizio.

In positivo, che cosa può vivere un uomo che assista al parto?

Un’emozione straordinaria, indicibile. Un senso di grande intimità, tenerezza e gratitudine per la propria donna. Un orgoglio profondo e commosso a vedere il piccolino che si affaccia alla vita. La sensazione che l’essere padre inizi in quel momento di nodo in gola e batticuore. Un senso di sollievo, quando la vista del bambino sano e strillante placa ogni ansia su possibili problemi di salute del bimbo. Un’emozione, anche struggente, di chiusura di un capitolo della propria vita, e di apertura di uno nuovo. Il diventare padre rappresenta infatti una profonda crisi esistenziale, bella, intensa ma anche impegnativa, non sempre agevolissima da integrare nella vita e negli equilibri personali.

E che cosa rappresenta per la donna l'avere il proprio uomo vicino?

Certamente un grande conforto, un motivo di soddisfazione e rassicurazione. Di aiuto sostanziale, se sente nella presenza del suo uomo la calma, la serenità, l’incoraggiamento, la dolcezza ma anche la forza e la protezione. E l’intuizione che quel momento sintetizza e chiude un passato e apre luminosamente la stagione del futuro, in cui la coppia diventa famiglia.

E' possibile mediare tra il desiderio di lei di averlo vicino e quello di lui?

Sì, con due modalità. La prima consiste nel seguire insieme il corso di preparazione al parto (si veda l’approfondimento al termine dell’articolo). La seconda nello stare vicino alla donna durante tutto il travaglio, se l’ospedale abbia stanze singole e autorizzi la presenza di un familiare. Questo consente comunque una condivisione importante di emozioni, di solidarietà, di tenerezza, di intimità, di progettualità, rispettando nello stesso tempo il bisogno di lui di non assistere alla parte più potenzialmente traumatica del parto e il desiderio di lei di avere il partner vicino. Sia saggia e comprensiva, gentile Annalisa.

Approfondimento – Come prepararsi al parto per lei e per lui

Il miglior aiuto è senz’altro la partecipazione ai corsi di preparazione al parto:
- sono in genere organizzati presso gli ospedali regionali, provinciali e, a volte, zonali. Sono gratuiti;
- è bene iscriversi per tempo, fin dal terzo mese;
- ginecologi, ostetriche, psicologi, anestesisti, pediatri si alternano nell’illustrare tutto quanto un coppia può desiderare di sapere sulle ultime fasi della gravidanza, sul parto e sul puerperio. Entrando in contatto con le diverse figure professionali che poi si incontreranno, e conoscendo l’ambiente fisico e logistico in cui avverrà il parto, si placano molte ansie e molte insicurezze scompaiono;
- il training autogeno di rilassamento che viene insegnato alla donna l’aiuta a migliorare la capacità di modulare l’ansia e partecipare più consapevolmente alla nascita del bimbo;
- l’amicizia che si crea fra tante coppie consente infine di condividere ulteriormente e con soddisfazione una fase speciale della propria vita.

Parto vaginale / Parto cesareo Rapporto di coppia

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