EN

Gli scogli fatali in gravidanza: come prevenirli

25/01/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Ogni gravidanza, anche la più desiderata e la più normale (“a basso rischio”), ha un lato oscuro che va conosciuto per ridurne l’insidiosità, fin dall’inizio. La mortalità in ostetricia include infatti gli eventi fatali che possono colpire la donna dal momento del concepimento (o della ricerca dello stesso, nella procreazione medicalmente assistita, PMA) a 365 giorni dopo il parto. L’Italia, con Francia e Gran Bretagna, è tra le nazioni con la più bassa mortalità ostetrica materna in Europa: 10 casi ogni 100.000 nati, mentre gli altri Paesi europei si attestano da 20/100.000 in su. Ma dieci donne morte con i loro bambini sono ancora troppe. Dove possiamo migliorare?
Nella procreazione medico-assistita (PMA), con una più rigorosa selezione delle pazienti. Tre su cinque donne morte in Italia negli ultimi due anni erano obese e avevano più di 42 anni. In Gran Bretagna non potrebbero accedere a questo tipo di cure. Discriminazione? No. Solo chiarezza sul fatto che alcune condizioni aumentano nettamente il rischio di complicanze anche fatali. Il diritto al figlio ha dei limiti che dobbiamo rispettare.
Le infezioni fatali sono un’altra causa di morte in gravidanza e nel parto. La gravida è più vulnerabile a infezioni da germi “banali” perché ha una parziale immunodepressione: una riduzione controllata dell’efficienza del sistema immunitario, perché la mamma possa accettare l’embrione, che porta metà del patrimonio genetico del papà. Per questo si dice che il feto è un “allotrapianto”. Il rovescio della medaglia è che la mamma si difende meno bene dalle infezioni: ecco perché germi banali come lo streptococco possono salire dalla vagina, infettare il sacco e il liquido amniotico, causare morte fetale ma anche setticemie fatali. O perché il virus influenzale possa dare forme sistemiche fatali, come è successo lo scorso anno a tre donne. Consiglio pratico: vaccinarsi sempre contro il virus influenzale, soprattutto se si programma una gravidanza. E non sottovalutare le infezioni: attenzione che spetta in primis a noi medici e che va aumentata.
L’età materna dopo i 35 anni triplica il rischio di eventi fatali, con un aumento ulteriore dopo i 40 anni. L’età dell’oro per avere un figlio, quando possibile, è prima dei 35 anni. Dobbiamo ridurre le anomalie di impianto e di sede della placenta, che causano la maggioranza delle emorragie gravi o fatali. Tre sono le strategie: assumere acido folico prima della gravidanza, aumentare l’accuratezza nella valutazione ecografica della placenta stessa (per riconoscere tempestivamente le anomalie di sede e di annidamento, come la placenta accreta) e ridurre i tagli cesarei. Questi ultimi aumentano di 24 volte (!) il rischio di placenta accreta: una ragione in più per fare il cesareo solo su indicazione medica. Con molta attenzione quando poi la donna desideri un secondo figlio: perché è lì che potremmo avere l’anomalia placentare grave. Attenzione anche alle complicanze legate a diabete mal controllato, a ipertensione, a sovrappeso e obesità: dieta e movimento fisico sono essenziali, fin da prima della gravidanza, cercando di limitare poi l’aumento a 10-12 chili complessivi, se si è iniziata la gravidanza con un peso normale.
Cosa devono fare i medici? Informare con cura e seguire al meglio ogni donna, fin dalla visita preconcezionale. Diagnosticare e curare le malattie preesistenti che possono aumentare il rischio di problemi, come il diabete o l’ipertensione, e curarle al meglio in gravidanza. Non devono mai abbassare il livello di attenzione. Devono aggiornarsi sempre, specie per quanto riguarda il trattamento delle emergenze ostetriche e delle anomalie placentari: in questo senso l’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) sta svolgendo un lavoro titanico e capillare. Inviare tempestivamente ai centri di eccellenza (terzo livello) le donne con gravidanze ad alto rischio e/o con anomalie placentari a rischio emorragico. Informando sempre la donna e la coppie delle diverse alternative, anche rispetto ai tempi e ai modi del parto. E concentrando i parti in ospedali che possano avere sempre ginecologo e anestesista di guardia in ospedale, e non solo “reperibili”.
Infine ben 2 donne su 10 che muoiono in puerperio hanno avuto una depressione post-partum che le ha portate al suicidio: deve crescere l’attenzione ai sintomi di allarme, anche da parte dei familiari, oltre che dei medici.
L’Italia ha fatto molto per ridurre i rischi di morte da gravidanza e parto, ma può e deve fare meglio. Ogni vita di donna, e di bimbo, perduta ce lo ricorda con amarezza e dolore.

Fecondazione assistita Gravidanza Morte e mortalità Parto vaginale / Parto cesareo Rapporto medico-paziente Rischi ostetrici e fetali Sport e movimento fisico

Iscriviti alla newsletter

Rimani aggiornato su questo e altri temi di salute e benessere con la nostra newsletter quindicinale

Iscriviti alla newsletter