Questo è il messaggio chiave emerso durante il convegno “La donna e il dolore pelvico: da sintomo a malattia, dalla diagnosi alla terapia”, organizzato venerdì 16 novembre, a Milano, dalla Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna – Onlus, cui hanno partecipato come docenti i migliori specialisti italiani del settore, alcuni di fama mondiale
Il prezzo del ritardo diagnostico? Da segnale amico (dolore nocicettivo) che avverte di un danno biologico in corso, il dolore diventa malattia (dolore neuropatico), con aggravamento dell’infiammazione, lesioni funzionali e organiche, esasperazione del dolore e dei sintomi associati. Inoltre, se all’inizio era interessato un solo organo, dopo anni di ritardo diagnostico l’infiammazione coinvolge anche gli organi vicini, con una comorbilità che aumenta la gravità del danno biologico e del dolore.
Vediamo l’endometriosi: è caratterizzata dalla presenza di endometrio, lo strato interno dell’utero che si sfalda ad ogni mestruazione, in tessuti e organi diversi. Il sangue mestruale, se liberato fuori dell’utero, causa un’infiammazione grave e dolore sempre più intenso. Nel 70% dei casi i sintomi sono presenti prima dei 30 anni, nel 45-50% prima dei 20. Perché 10 anni di ritardo diagnostico? Quasi cinque sono impiegati dalla famiglia per capire che quel dolore non è normale e altrettanti servono a cercare un medico che faccia la diagnosi giusta: per farla sono necessarie in media sei visite specialistiche! Quali sono i sintomi di allarme? Dolore mestruale severo (dismenorrea) e/o ovulatorio, dolore alla penetrazione profonda (dispareunia profonda), dolore pelvico, e dolori specifici, come dolore alla defecazione (dischezia), dolore alla minzione (disuria), sciatalgia, a seconda della localizzazione dell’endometriosi. Questo ritardo comporta un alto costo: quantizzabile, in visite, esami, farmaci, interventi errati. E non quantizzabile, ma immenso, in termini di dolore, di perdita di energia vitale, di infelicità, di ridotta competitività sul lavoro, di crisi sessuali e coniugali, di infertilità.
Perché ci vogliono mediamente sei visite? Perché diamo troppo valore agli esami (se ancora negativi, interpretati come «non c’è niente, vuol dire che il dolore lei se lo inventa») e troppo poco alla clinica (dal greco “klínomai”, che significa: mi chino sul capezzale del malato, per ascoltarlo, per visitarlo, per fare una diagnosi corretta, per confortarlo). Il dolore è un semaforo rosso, acceso dall’infiammazione sulla via della salute. Inascoltato, peggiorerà. Perché gli esami possono essere (ancora) negativi se l’endometriosi c’è già? Perché esiste una fase carsica, in cui le lesioni endometriosiche iniziali, piccole, specie se profonde nei tessuti, possono non essere (ancora) visibili con l’ecografia, la risonanza e nemmeno la laparoscopia. Un centimetro cubo di tessuto ha un miliardo di cellule, 2 millimetri ne hanno duecentomila, sufficienti a dare sintomi ma invisibili con gli attuali mezzi di indagine. Ma è proprio in questa fase che la diagnosi è essenziale. Silenziando la mestruazione, con una pillola in continua, a base di ormoni bioidentici, o con un progestinico, si rallenta la progressione dell’endometriosi, si spegne l’infiammazione. Il dolore scompare in oltre l’80% dei casi. Si torna a star bene, si proteggono la fertilità e la sessualità.
I migliori specialisti sono concordi: la valutazione clinica viene prima di tutto. E il dolore va ascoltato e diagnosticato, sempre. Senza ritardi: perché sono in gioco la salute, la qualità della vita e la fertilità.
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Allegati disponibili:Tutti i temi del convegno
Dolore ai rapporti / Dispareunia Dolore mestruale / Dismenorrea Dolore pelvico cronico Dolore vulvare e vulvodinia Endometriosi / Adenomiosi Sindrome dell'intestino irritabile Sindrome della vescica dolorosa / Cistite interstiziale