Quarantasette anni, magra, ansiosa e affaticata, la signora è molto spaventata.
«Le mestruazioni come sono?».
«Irregolari, già da due anni. Ora le ho saltate per due mesi».
«E il sonno?».
«Anni che dormo male: mi addormento presto, perché dopo cena mi prende l’abbiocco. Ma il sonno è leggero, mi risveglio spesso, e al mattino sono uno straccio».
«Fa attività fisica?».
«Macché, non ho tempo. Tra casa, figli, marito e lavoro non ho tempo per me. Questa è la verità».
«Stress?».
«Troppo».
«A che età ha avuto l’Alzheimer sua mamma?».
«A 65 anni la diagnosi, ma era già un po’ che aveva perso colpi, che non era più lei. Mia nonna, no, lei più tardi, a ottant’anni».
«E’ sicura che fosse proprio una demenza di Alzheimer, dovuta all’accumulo nel cervello di una sostanza tossica per le cellule nervose che si chiama “amiloide”? Intendo: i medici hanno escluso che fosse un deterioramento cognitivo da cause vascolari, come l’ipertensione o l’arteriosclerosi, da ipotiroidismo o da carenza cronica di vitamina B12? Questi ultimi sono fattori modificabili, e quindi prevenibili e curabili: per questo la diagnosi differenziale sui fattori di rischio e sul tipo di demenza è essenziale».
«Mi informo meglio e le so dire. Però lei mi chiarisca subito questo, per favore: quali sono i primi segni?».
«I primi sintomi interessano la memoria a breve termine: la difficoltà a ricordare i nomi, a concentrarsi, la tendenza a perdere il filo del discorso, fino all’incapacità di ricordare eventi semplici della vita quotidiana: per esempio, ricordarsi che cosa si è acquistato al mattino nel negozio vicino al bar. Poi si estende alla memoria “prospettica”, ad esempio tenere a mente gli impegni della settimana. Successivamente coinvolge la memoria “retrograda”, che ricorda gli eventi del passato, e la memoria “semantica”, che conserva le conoscenze acquisite nel corso della vita. La situazione precipita quando il deterioramento cognitivo riduce la capacità di comprendere le parole degli altri e di parlare appropriatamente (“afasia”), fino a ledere la capacità di compiere azioni finalizzate a un obiettivo: per esempio prendere la bottiglia per versare l’acqua in un bicchiere (“aprassia”)».
«Non è che la storia del formaggio conferma che sono già all’ultimo stadio?», chiede allarmata.
Le sorrido: «No, tranquilla, non ragionerebbe così bene. Era soprappensiero, molto stanca, e a corto di sonno».
Sospira, ma l’angoscia non si scioglie.
«Per ridurre il rischio di demenza deve mettere la sua salute al primo posto, con stili di vita più sani. Dobbiamo ridurre stress e ansia, e migliorare il sonno. Una camminata quotidiana veloce di 45 minuti l’aiuterà a ridurre l’ansia, perché adrenalina e cortisolo sono nemici giurati del cervello. E integrerà l’azione degli ormoni, stabilizzando il sonno: è lui il primo custode di un cervello in forma».
«Va bene, se mi promette che serve».
«Lo vedrà lei stessa: tre mesi per sentire la differenza, sei per stare meglio, anche di cervello. Occorre regolarizzare gli ormoni, inclusi testosterone vegetale e DHEA, che sono bassissimi: chiaro che non ha energia. E integrare la dieta con vitamina D e B12, che sono al minimo”.
«Mens sana in corpore sano?», e sorride.
«Esatto! Contenta?».
Demenza vascolare / Demenza di Alzheimer Diagnosi differenziale Prevenzione Stili di vita