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Lo spotting - Seconda parte: le cause organiche

18/12/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Introduzione

Lo spotting (dall’inglese “to spot”, macchiare) è costituito da piccole perdite scure di sangue fra una mestruazione e l’altra, spesso durante l’ovulazione, a volte a fine ciclo, a volte nei giorni prima del nuovo flusso (Mauck e Ballagh 2008). Queste perdite indicano sempre che qualcosa non funziona correttamente nell’organismo (Fraser 2008; Fraser et Al. 2007). Una donna sana, infatti, non ha perdite tra una mestruazione e l'altra. Lo spotting va quindi visto come un “sintomo amico”, che ci porta ad ascoltare ciò che nel nostro corpo, in quel momento, non funziona come dovrebbe. Per questo non va sottovalutato né trascurato, e tantomeno “autodiagnosticato”, ma compreso e curato, con il ginecologo/a di fiducia. Sarà lui o lei ad individuarne la causa, e ad escludere la possibilità di gravi malattie.
Lo spotting può essere provocato da due ordini di cause:
- disfunzionali: alterazioni ormonali dovute a stress, premenopausa, disturbi del comportamento alimentare (specie bulimia) e obesità; inserimento scorretto della spirale (Casablanca 2008);
- organiche: cisti ovariche; vaginosi e vaginiti; ectopia del collo dell’utero; polipi e fibromi; endometriosi; lesioni precancerose o tumorali; menopausa precoce.
Lo spotting, inoltre, si verifica nel 10 per cento circa delle donne che iniziano a fare uso di un contraccettivo ormonale, normalmente nel primo mese, quando il dosaggio di estrogeni è troppo basso, l’assunzione è irregolare o il transito intestinale è eccessivamente veloce.
Si tratta dunque di un fenomeno da tenere sotto controllo e che può essere eliminato curando le cause primarie che lo determinano.
Nella prima scheda abbiamo illustrato le cause disfunzionali dello spotting, come le si diagnostica e le principali opzioni terapeutiche.
In questa seconda e ultima scheda prendiamo in esame le cause organiche (Herman et Al. 2007).

Spotting durante l'ovulazione: rischio di cisti ovariche

Quando si verifica in concomitanza con l’ovulazione, quindi circa a metà del ciclo, lo spotting è il segnale di un brusco cambiamento nella produzione ormonale e indica lo sfaldamento dell’endometrio. Si tratta di un segno “disfunzionale”, legato a un’irregolare produzione ormonale. Tuttavia, se il fenomeno si ripete in più cicli, può indicare la presenza di cisti ovariche. In tal caso di tratta di un sanguinamento da cause organiche. Se la visita ginecologica e l’ecografia pelvica confermano questa ipotesi, la terapia viene scelta a seconda del tipo di cisti (Mohsin et Al. 2007).
Le più comuni sono quelle “disfunzionali”, legate a un’ovulazione non ottimale e frequenti soprattutto in giovane età. Tendono a riassorbirsi spontaneamente nel corso di due o tre cicli mestruali; se non regrediscono si interviene con una terapia a base di ormoni (pillola contraccettiva, anello o cerotto).
Altre tipologie di cisti (endometriosiche, dermoidi, sieromucinose), a seconda delle dimensioni e delle cause, possono essere eliminate con un intervento chirurgico laparoscopico (mini invasivo) o laparotomico, con incisione dell’addome e intervento “a cielo aperto”.
Va ricordato anche che, soprattutto dai 40 anni in su, le cisti possono essere segno di alterazioni pretumorali (come nel caso del cistoadenoma) o addirittura di un carcinoma. Una cisti tumorale può restare “silente”, ossia asintomatica, anche per molti anni ed è quindi della massima importanza che ogni donna si sottoponga a una visita ginecologica di controllo annuale, con ecografia:
- transvaginale, se la donna ha già avuto rapporti: si effettua introducendo in vagina una sonda ecografica con cui si osserva l’apparato genitale interno. Non provoca dolore, ma, al peggio, solo fastidio;
- transaddominale, se la donna è vergine: si svolge a vescica piena, collocando e muovendo l’ecografo sul ventre della donna, esattamente come si fa durante la gravidanza per vedere il feto.

Spotting, vaginosi e vaginiti

Lo spotting ripetuto aumenta il pH vaginale, ossia il grado di acidità presente in vagina, facilitando così l’insorgenza di vaginosi e vaginiti. Questi disturbi si sviluppano infatti quando l’alterazione del pH modifica drasticamente l’ecosistema vaginale, ossia l’insieme dei microrganismi che si trovano nella vagina e la proteggono dai germi esterni.
A loro volta, le vaginosi e le vaginiti possono facilitare le microabrasioni della mucosa, specialmente dopo i rapporti, predisponendo la donna all’insorgenza dello spotting.
Le vaginosi sono provocate dalla proliferazione di un germe normalmente minoritario, la Gardnerella Vaginalis, che comporta piccole perdite dal caratteristico odore di pesce avariato. All’origine del problema ci può essere una variazione del livello vaginale di estrogeni (per esempio, in caso di amenorrea; durante il puerperio, se la donna allatta; o in postmenopausa), oppure una prolungata assunzione di pillole a bassissimo livello estrogenico: questa riduzione fa aumentare il pH della vagina, rendendolo meno acido. Facilitano la diffusione della Gardnerella anche un’igiene intima non corretta, la stipsi, l’uso di diaframmi e rapporti sessuali frequenti e promiscui, perché il liquido spermatico, che ha pH 7.39, tende ad innalzare il pH vaginale, tanto più quanto i rapporti sono frequenti, a meno che non siano protetti con profilattico. La cura mira alla normalizzazione del pH vaginale, attraverso:
a) estrogeni locali, se indicati, da applicare in vagina in minima quantità, due volte la settimana;
b) acido borico (in compresse o ovuli vaginali da 300 mg);
c) gel vaginali che liberano ioni H+, che hanno azione acidificante;
d) tavolette di vitamina C, sempre in vagina;
e) irrigazioni vaginali di acqua borica al 3%, sempre su prescrizione medica.
E’ inoltre utile usare sempre, in età fertile, detergenti intimi con pH acido.
La vaginite è un’infiammazione che provoca anche prurito, bruciore, dolore durante i rapporti sessuali e, talvolta, difficoltà ad urinare. La provocano germi e batteri che raggiungono la vagina per via anale, o mediante i rapporti sessuali. La terapia farmacologica è scelta dal medico dopo aver verificato, con un tampone vaginale, l’identità del germe responsabile dell’infezione e, con l’antibiogramma, la sua sensibilità ai diversi antibiotici.

Spotting ed ectopia del collo dell'utero

L’ectopia, o “ectropion”, è una lesione del collo dell’utero, di dimensioni variabili. Innocuo e congenito, è un fenomeno comune a molte donne, che non provoca dolore ma solo fastidio. Tecnicamente si tratta di un’estroflessione della mucosa endocervicale: sotto l’influsso ormonale degli estrogeni, dopo la pubertà e soprattutto in gravidanza, una parte del tessuto di rivestimento della cervice (o “collo” dell’utero) migra verso l’esterno e si impianta sull’epitelio vaginale. Siccome il tessuto endocervicale ha un colore rosso vivo, mentre quello vaginale è rosato, i vecchi medici parlavano di “piaghetta”, termine che è tuttavia inappropriato. Le cellule ectopiche sono più vulnerabili alle infezioni e tendono a causare lo spotting durante i rapporti sessuali. L’ectopia, inoltre, può andare incontro a forme ipertrofiche che causano sanguinamenti più abbondanti. Si può diagnosticare con una semplice visita ginecologica e solitamente è sufficiente tenerla sotto controllo con visite annuali. Tuttavia, quando è molto grande o è causa di spotting associato a ipersecrezione vaginale, la si può asportare con una diatermocoagulazione ambulatoriale: si tratta di un’applicazione di calore, quasi del tutto indolore, che coagula le cellule superficiali ectopiche facilitando la riformazione dell’epitelio vaginale normale.

Spotting da fibromi e polipi

Tra le possibili cause delle perdite di sangue intermestruali ci sono anche i fibromi e i polipi, due diversi tipi di tumore benigno. Il fibroma è un tumore benigno della parete muscolare dell’utero, detta miometrio. I polipi sono invece una proliferazione benigna di cellule della mucosa dell’endometrio o dell’endocervice (Fitzhugh et Al. 2008).
L’iter diagnostico prevede:
- una ecografia transvaginale (o transaddominale, se la donna non ha ancora avuto rapporti);
- una sonoisteroscopia, che consente di visualizzare la cavità uterina iniettandovi della soluzione fisiologica e ripetendo l’ecografia (Verrotti et Al. 2008);
- un’isteroscopia diagnostica, che permette di osservare il collo e la cavità dell’utero.
Se l’isteroscopia evidenza iperplasie, polipi o fibromi sottomucosi, il ginecologo valuterà la terapia più indicata. I polipi vengono sempre asportati con l’isteroscopia terapeutica, perché si preferisce escludere la possibilità che degenerino in forme tumorali maligne. Il fibroma, invece, se è asintomatico, si può anche non togliere. Si asporta generalmente quando supera i 4-5 centimetri oppure se è sottosieroso, ossia verso l’esterno della parete uterina, al di sotto della mucosa “sierosa” che la riveste e la separa dagli altri organi addominali. In ogni caso, il ginecologo sceglierà fra l’opzione farmacologica e quella chirurgica in funzione dei sintomi, delle dimensioni, della sede del fibroma, e a seconda che la donna sia ancora in età fertile e desideri dei figli. Con l’eccezione delle rare situazioni di emergenza (quali la torsione di un fibroma peduncolato, con conseguente addome acuto) o di fibromatosi enormi, la via migliore è sempre quella di effettuare prima una terapia medica, usando farmaci che aiutino a ridurre i sintomi e la crescita del fibroma. Solo in caso di fallimento di queste terapie si ricorre all’intervento chirurgico. In generale, comunque, si cerca di favorire una chirurgia conservativa, lasciando l’asportazione chirurgica dell’utero (isterectomia) come ipotesi ultima.

Endometriosi e spotting

Anche l’endometriosi, malattia poco conosciuta ma molto dolorosa, può avere tra i suoi sintomi lo spotting. Questa malattia si manifesta quando l’endometrio si sviluppa al di fuori dell’utero, per esempio sull’ovaio o nella tuba, ma a volte anche in altri organi addominali (come l’intestino) ed extraddominali. Pur essendo “ectopico”, ossia trovandosi al di fuori della sua sede abituale, questo tessuto risponde agli stimoli ormonali tipici dell’ovulazione, come il normale endometrio: cresce in altezza durante la prima metà del ciclo, si arricchisce di zuccheri e sostanze nutritive durante la seconda, e poi si sfalda nel peritoneo o in altri organi, causando infiammazione e molto dolore (Zupi 2003). L’endometriosi può dare spotting se localizzata a livello del collo dell’utero (cervicale) o della vagina.
L’endometriosi è ancora poco diagnosticata, sebbene il 38% delle donne che ne soffrono abbia i sintomi tipici, ma non riconosciuti, già prima dei 15 anni e il 70% li abbia già prima dei 20 anni. In media viene diagnosticata con un ritardo di oltre 9 anni. E’ quindi importante, in caso di sospetta endometriosi, sottoporsi a una visita ginecologica che includa un’ecografia transvaginale (o transaddominale). Il medico valuterà inoltre se far effettuare l’esame del Ca 125, un marcatore “spia” della malattia, ed eventualmente una laparoscopia o altri esami specialistici (Graziottin 2008).
L’endometriosi è una malattia cronica per la quale non esiste ancora una cura risolutiva. Le terapie, scelte in modo appropriato dal ginecologo fra quelle ormonali, farmacologiche e chirurgiche, hanno lo scopo di:
- rallentare il più possibile la progressione della patologia e prevenire così danni più ampi;
- eliminare o, almeno, ridurre i sintomi, offrendo alla donna una migliore qualità di vita.
Nei casi più fortunati, talvolta, l’asportazione di una cisti ovarica endometriosica o di una placca endometriosica isolata può rivelarsi risolutiva, nel senso che non si verificano più recidive. Resta comunque fondamentale farsi controllare periodicamente dal proprio ginecologo, ed effettuare una terapia con contraccezione ormonale finché non si desiderino figli. L’uso della pillola contraccettiva può infatti ridurre dell’80% il rischio di recidive di cisti endometriosiche, come dimostrato dallo studio del Professor Paolo Vercellini di Milano (Vercellini et Al. 2008).

Spotting e lesioni precancerose e tumorali

Lo spotting può anche essere il sintomo di lesioni più serie. Se ci sono lesioni precancerose, infatti, il primo campanello d’allarme sono proprio le piccole perdite fra una mestruazione e l’altra. Per questo – lo sottolineiamo ancora una volta – è importante non sottovalutare il fenomeno e sottoporsi ogni anno a una controllo ginecologico completo (Bankhead et Al. 2008; Mansour et Al. 2007).
Il pap-test, in particolare, consente di diagnosticare precocemente il tumore al collo dell’utero, che all’inizio non provoca dolore ma solo un irregolare sanguinamento. Il ginecologo preleva una piccola quantità di cellule cervicali, servendosi di una spatolina e un tampone, la stende su un vetrino e la fissa con un apposito spray: il preparato sarà poi analizzato al microscopio da un laboratorio specializzato. Altri esami possibili, a discrezione dello specialista, sono:
- la colposcopia, per visualizzare meglio il collo dell’utero. Si effettua in pochi minuti con uno strumento ottico chiamato “colposcopio”, con cui si osserva la superficie della vagina e dell’esocervice, ossia della porzione del collo dell’utero che sporge verso la vagina, dopo aver usato acido acetico al 3% e una soluzione iodo-iodurata (liquido di Lugol) che consentono di evidenziare meglio eventuali alterazioni della maturazione cellulare. L’esame si effettua in ambulatorio e non provoca dolore ma, al massimo, un po’ di fastidio;
- la biopsia: è un piccolo prelievo di tessuto sospetto che viene poi analizzato al microscopio. Permette di stabilire la natura delle cellule che formano la lesione, e di capire se da precancerose possano evolversi in tumore, o lo siano già diventate;
- l’isteroscopia diagnostica, per esaminare la cavità interna dell’utero: si può effettuare in ambulatorio, senza anestesia, o in day hospital, con una blanda sedazione che annulla ogni sensazione di dolore. Il ginecologo osserva l’interno dell’utero con un “isteroscopio”, un tubicino rigido del diametro massimo di 4 millimetri e che contiene un sistema di lenti (Angioni et Al. 2008).

Spotting e menopausa precoce

Lo spotting, insieme con il peggioramento del dolore mestruale (dismenorrea) e l’aggravamento della sindrome premestruale, può infine essere il sintomo di un’imminente menopausa precoce. In tal caso dipende dalla irregolare produzione ovarica di estrogeni e progesterone, che provoca a sua volta un’irregolare maturazione con sfaldamento dell’endometrio.
La menopausa si definisce “precoce” se compare prima dei 40 anni (l’età media della menopausa fisiologica è 50 anni e 6-8 mesi). Può essere spontanea (su base genetica) o iatrogena, ossia provocata da cure mediche (chemioterapia, radioterapia pelvica o total body, ovariectomia bilaterale). Nella forma spontanea colpisce circa l’1 per cento delle donne italiane; la iatrogena riguarda il 3.5-4.5 per cento. Un ulteriore 11 per cento ha invece una menopausa “prematura”, ossia fra i 40 e i 45 anni.
Ricordiamo anche che, nella fase premenopausale, il ciclo può diventare irregolare (Burger et Al. 2008):
- nel ritmo: cicli troppo ravvicinati (polimenorrea) o troppo lunghi (oligomenorrea);
- nella quantità: flusso troppo scarso o troppo abbondante (metrorragia) (Bricou et Al. 2008);
- nella durata: troppo breve (2 giorni o meno) o troppo lungo (7 giorni o più).

Non solo spotting: gli altri disturbi del ciclo

Lo spotting non è l’unico problema che si possa manifestare in relazione al ciclo mestruale. Gli altri principali disturbi sono:
- la dismenorrea: è uno dei disturbi più comuni del ciclo e colpisce circa il 70% delle giovani. Si manifesta con forti dolori al basso ventre, simili a crampi, prima o durante il flusso mestruale. L’intensità della dismenorrea è in genere direttamente proporzionale alla quantità di flusso mestruale. Se il dolore è molto forte, e peggiora nel corso del flusso, può essere la spia di un’iniziale endometriosi;
- il dolore intermestruale: compare durante l’ovulazione da un lato del basso addome. La localizzazione a destra o a sinistra dipende dall’ovaio che a mesi alterni è coinvolto nella maturazione dell’ovulo;
- la sindrome premestruale: è un termine generico con cui si indica l’insieme di sintomi fisici e psichici che si possono manifestare nei giorni che precedono il flusso mestruale. Tendono a scomparire dopo l’inizio del flusso mestruale. I sintomi fisici più frequenti includono: dolore e tensione al seno, ritenzione di liquidi, gonfiore e pesantezza addominali, spesso accompagnati da cefalea, mal di schiena, nausea, bruciore di stomaco, acne e reazioni cutanee. Tra i sintomi psichici più comuni si osservano invece: nervosismo, irritabilità, stanchezza generale, difficoltà a concentrarsi, sbalzi di umore, depressione, ansia, caduta del desiderio sessuale, aumento dell’appetito per i cibi dolci, grassi o salati.

Conclusioni

Le principali cause organiche dello spotting sono: cisti ovariche; vaginosi e vaginiti; ectopia del collo dell’utero; polipi e fibromi; endometriosi; lesioni precancerose o tumorali; menopausa precoce.
I più importanti esami specialistici includono:
- la visita ginecologica generale;
- gli esami del sangue: a seconda dell’ipotesi diagnostica, possono il dosaggio degli ormoni sessuali, tiroidei e della coagulazione, e anche l’emocromo e la sideremia, se si sospetti un’anemia;
- la misurazione del pH vaginale, in relazione a possibili vaginosi;
- il pap-test, la colposcopia e la biopsia del collo dell’utero, per diagnosticare lesioni precancerose;
- l’ecografia transvaginale (o transaddominale, se la donna non ha ancora avuto rapporti), per studiare l’endometrio, l’utero e le ovaie: non provoca dolore, ma, al peggio, solo fastidio;
- l’isteroscopia diagnostica, per escludere la presenza di polipi, iperplasie o tumori dell’endometrio;
- l’isteroscopia terapeutica, per rimuovere polipi o miomi sottomucosi.
Esami più specifici vengono decisi in casi particolari.

Approfondimenti generali

Graziottin A. 2005
Il dolore segreto – Le cause e le terapie del dolore femminile durante i rapporti sessuali
Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2005

Con un linguaggio semplice ed empatico, e insieme con rigore scientifico, il libro guida le lettrici e i lettori alla scoperta dei complessi meccanismi nervosi, immunologici, ormonali, muscolari e infettivi che presiedono all’insorgenza e alla progressione del dolore sessuale. Esamina le diverse patologie che causano il sintomo doloroso, lo sottendono e lo esasperano, ne esplora le implicazioni psicologiche, nella donna e nella coppia. Per ogni causa delinea una nuova prospettiva terapeutica, aprendo un orizzonte di speranza a chi, forse, aveva smesso di credere di poter guarire.

Approfondimenti specialistici

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Detection of benign intracavitary lesions in postmenopausal women with abnormal uterine bleeding: a prospective comparative study on outpatient hysteroscopy and blind biopsy
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Bankhead C.R. Collins C. Stokes-Lampard H. Rose P. Wilson S. Clements A. Mant D. Kehoe S.T. Austoker J. 2008
Identifying symptoms of ovarian cancer: a qualitative and quantitative study
BJOG. 2008 Jul; 115 (8): 1008-14

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Cycle and hormone changes during perimenopause: the key role of ovarian function
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Targeted and tailored diagnostic strategies in women with perimenopausal bleeding: advantages of the sonohysterographic approach
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Zupi E. (a cura di) 2003
Dolore pelvico: endometriosi
Milano, Sentrix, 2003

Parole chiave:
Ciclo, mestruazioni e disturbi mestruali Cisti ovariche Ectopia del collo dell'utero Endometriosi / Adenomiosi Fibromi e polipi Menopausa precoce Spotting Vaginosi Vulvo-vaginite

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