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Depressione della donna in puerperio e rischi per il bambino

01/10/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Perché parlare di disturbi dell'umore nella donna in puerperio?

Perché appartengono ai grandi negletti della medicina e alle grandi cause di solitudine femminile in un momento in cui la donna presenta la massima vulnerabilità psichica (1). Purtroppo i disturbi dell’umore in puerperio emergono dall’oblio periodicamente, solo quando tragedie familiari di infanticidio e/o suicidio, o studi come il lavoro di Cynthia Minkovitz (2), ricordano a medici e gente comune la grande vulnerabilità psichica di ogni neomamma. E questo nonostante i disturbi dell’umore in puerperio (DUP) siano molto più frequenti della gestosi, del diabete gestazionale e del parto prematuro.

I disturbi dell'umore in puerperio fanno parte del grande capitolo della depressione?

Sì. L'intensità e la gravità dei disturbi dell’umore in puerperio si presentano come un continuum, che va dalle forme lievi, a un estremo, a quelle psicotiche, all’estremo opposto (3-5). Si distinguono tre grandi gruppi:
a) disturbi lievi, noti come “maternal blues”, “baby blues”, o anche  “lacrime del latte” nel lessico familiare delle nostre nonne, che ben avevano notato la sincronia tra le crisi di pianto  e il momento dell’allattamento. Interessano dal 40 all’85 per cento delle neomamme; hanno un picco tra il 3° e il 5° giorno dopo il parto, e tipicamente si attenuano fino a scomparire nel giro di 24-72 ore. Il primo trattamento è l’affettuoso conforto, la presenza tenera e comprensiva della madre, o di una figura femminile particolarmente vicina alla donna, oltre che del partner;
b) disturbi di media gravità, che costituiscono la vera depressione puerperale (DP), ora crescentemente riconosciuta come una seria complicanza post-partum. Interessa dal 10 al 15 per cento delle puerpere globalmente considerate, fino al 36 per cento delle neomamme adolescenti. Il quadro clinico viene considerato come depressione puerperale quando i sintomi (riassunti in Tab. 1) sono presenti per due settimane o più.  La maggior parte delle donne che ne è colpita ne soffre per oltre 6 mesi. In assenza di diagnosi e trattamento adeguato il 25% continua ad averla in forma grave dopo un anno dall’esordio. Il 50% esordisce nell’immediato postpartum, indicando bene la stretta relazione causale tra il parto, con il rapido crollo dei livelli estrogenici, elevati in gravidanza, e il disturbo depressivo;
c) disturbi gravi, che costituiscono la vera e propria psicosi puerperale. Anche se relativamente rara – interessa infatti lo 0,1- 1,2% di tutti i parti - ha tuttavia un’incidenza da 12 a 14,5 volte superiore all’incidenza prenatale della psicosi. I sintomi compaiono generalmente entro le prime 4 settimane dal parto, quando il rischio di ospedalizzazione per psicosi è di 22 volte superiore a quello pregravidico, ma può manifestarsi fino a 90 giorni dopo il parto. Un secondo, seppur minore picco di incidenza compare tra i 18  e i 24 mesi.

Perché la donna è più vulnerabile ai disturbi dell'umore in puerperio?

Per l’intrecciarsi di molteplici fattori, biologici, psicologici e correlati al contesto affettivo e sociale in cui vive (1).
In sintesi:

FATTORI BIOLOGICI
1) genetici (3):
- vulnerabilità familiari e precedenti personali di depressione aumentano in modo significativo la vulnerabilità alla depressione puerperale (Tab. 2). Questa vulnerabilità può esprimersi sia come basso livello basale di mediatori critici, quali la serotonina, dai quali dipende il “colore di fondo” dell’umore, sia come vulnerabilità a importanti riduzioni dei livelli ormonali, specie degli estrogeni, e/o a stressors ambientali che altri soggetti con migliori sistemi adattativi biologici possono superare più agevolmente;
2) endocrini (1):
- la caduta degli elevati livelli estrogenici della gravidanza, che si riducono del 90-95% nel giro delle prime 48 ore dopo il parto, viene considerata il fattore scatenante ormonale  di maggiore peso, specie in soggetti geneticamente predisposti alla depressione (Tab. 2). L’effetto degli estrogeni nella modulazione del tono dell’umore è ben dimostrata, come lo sono le vulnerabilità a importanti cadute degli stessi
- il ruolo delle modificazioni di altri ormoni, quali il progesterone, il cortisolo, la prolattina  e gli ormoni tiroidei, è invece più controverso.

FATTORI PSICOLOGICI
- giovane età (nelle neomamme adolescenti il rischio di DP sale dal 15 al 32%) (4);
- immaturità, non correlata solo o tanto all’età anagrafica, quanto al livello di maturità psichica;
- aver investito molte energie nel percorso stressante della fecondazione assistita: la vulnerabilità è massima in  caso di bambino premauro e/o problematico, e nel caso di gravidanze gemellari, che aumentano sia la probabilità di prematurità, sia di patologie neonatali;
- condizione di ragazza madre: anche se l’atteggiamento sociale è meno giudicante che in passato, la condizione di madre single si presenta comunque come uno stressor importante “per se”, specie se la donna non può contare sul supporto della famiglia di origine e/o non ha sufficiente autonomia economica;
- solitudine o comunque sradicamento rispetto alla famiglia di origine (per cambio di città, per emigrazione e così via);
- disturbi di personalità;
- abuso di sostanze.

FATTORI RELAZIONALI
- relazione di coppia conflittuale o di franco abuso fisico, emotivo e/o sessuale;
- mancanza di intimità emotiva, di capacità del partner di condividere la responsabilità di un figlio, senza fughe fisiche o psichiche.  La inadeguatezza del partner è tanto più patogena quanto più la donna è isolata dal contesto familiare ed è fisicamente o psicologicamente vulnerabile alla mancanza di supporto all’interno della coppia;
- mancanza di aiuto diagnostico e terapeutico da parte di figure chiave, quali  l’ostetrica e il medico, di famiglia e ginecologo;
- mancanza di conforto e supporto da parte della famiglia, di amiche o colleghe.
Una presenza affettiva rassicurante è un potente fattore di guarigione, perché aiuta a vincere il senso di solitudine e di inadeguatezza, perché potenzia e accelera i benefici della terapia farmacologica, perché accelera i tempi di guarigione, perché riduce il rischio di ricadute.

Come si può riconoscere tempestivamente la depressione in puerperio?

La diagnosi di depressione puerperale è probabile quando la donna ha un umore significativamente  triste o una franca assenza di piacere in qualsiasi attività, incluso il prendersi cura del bambino e quando questi sintomi sono presenti per due settimane o più (1,4,5). Questa durata è considerata clinicamente importante per la diagnosi differenziale dai più lievi “baby blues” che si risolvono spontaneamente in pochi giorni. Come criterio aggiuntivo, la diagnosi di DP è altamente probabile quando almeno 4 o più dei sintomi elencati in TAB.1 persistono per due settimane o più.

Possono un familiare o un'amica essere i primi a riconoscere che la depressione è in agguato?

Sì, se non viene dato per scontato che “un po’ di malinconia è normale in puerperio”. Non va dimenticato che la neomamma in genere si sente molto in colpa per la sua tristezza, quando tutti si aspettano di vederla raggiante e felice per la nascita del piccolo. Può quindi tendere in buona fede a minimizzare i propri sintomi, finché diventano esplosivi.
Alcune domande di vita quotidiana, semplici e precise, che anche un familiare o un’amica può fare, sono utili a comprendere lo stato reale dell’ umore della neomamma:
- “Riesci a dormire quando il bambino dorme?” Quasi tutte le mamme si svegliano quando il bimbo piange e spesso il sonno è disturbato dai frequenti risvegli del piccolo. Tuttavia, la madre che non soffre di DP si addormenta velocemente e recupera tra un risveglio e l’altro. La donna con DP tendenzialmente no.
- “Mangi con gusto e appetito, oppure svogliatamente?” Il rapporto con il cibo è un indicatore prezioso di equilibrio interiore. Il compenso nel cibo, come tentativo più o meno conscio di placare compulsivamente l’angoscia interiore che la neomamma non riesce ad affrontare sul terreno psichico, può presentare una sovrapposizione clinicamente rilevante con la bulimia.
- “Esci volentieri di casa o eviti di uscire?” Questa domanda apparentemente neutra può aiutare a riconoscere la tendenza a “ritirarsi” dal mondo e dall’incontro con gli altri e a richiudersi nella propria palude depressiva, privandosi dell’opportunità dell’aiuto diretto e indiretto che viene dagli altri e privando il bambino di altrettanto vitali possibilità di stimoli e interazioni con altri adulti e bambini.
- “Ti fa piacere prenderti cura di te, o non te ne importa niente?” Quando la donna tende a lasciarsi andare, ad esser sciatta, il sintomo è tanto più preoccupante quanto più si distingue dal suo atteggiamento precedente di cura e di rispetto di sé.
- “Ti senti sola?” Spesso a questa domanda la donna risponde scoppiando a piangere. E’ importante non banalizzare né colpevolizzare, ma far sentire una presenza affettuosa e comprensiva: “Sì, è normale sentirsi stanca e a volte sola. Succede a moltissime donne dopo il parto. Cosa ti farebbe sentire meno sola?” Incoraggiare la donna a esprimere dove sente di più il vuoto affettivo può suggerire anche linee di intervento sul partner o sulla famiglia
- “Ti sembra che il bambino sia un carico troppo pesante per te?” Domanda cardinale con le neomamme più giovani, specie se adolescenti, che in un caso su tre hanno questa netta sensazione che le fa sentire non solo in colpa ma del tutto inadeguate. Soprattutto per il confronto schiacciante tra il bambino dei sogni che avevano in mente, con la promessa di felicità che gli avevano attribuito, e la faticosa realtà dell’accudimento del piccolo.
Il ricorso ad un consistente aiuto, specie da parte della madre o di un’altra figura femminile significativa della famiglia è essenziale  per aiutare la giovane donna a continuare il suo processo di crescita personale in armonia con la crescita del bambino e non contro di sé e/o contro di lui.
La valutazione clinica e test specifici, come il test di Hamilton per ansia e depressione e l’Illness behaviour questionnaire sono invece di netta competenza medica.

La depressione della neomamma può avere effetti negativi sul bambino?

Purtroppo sì: e questo è un altro dei grandi negletti diagnostici. Due sono le conseguenze principali (1,2):
a) la riduzione significativa del numero di interazioni – verbali e non verbali – tra la  neomamma e il suo bambino.  Questa riduzione è tanto maggiore quanto più è severa la gravità della DP stessa. Le conseguenze sul bambino correlano con la gravità e la durata della DP, con la possibilità o meno che il bambino venga seguito e coccolato da altre persone della famiglia, con il fatto che il piccolo abbia o meno fattori problematici – fisici o psichici – personali. Possono causare ritardi psicoemotivi e inadeguatezze cognitive.
In termini pratici, una mamma che sorrida al suo bambino mentre lo prende in braccio, che gli parli lentamente mentre lo guarda con dolcezza, attiva nel cervello del piccolo le prime capacità di rapportarsi agli altri in modo empatico: ossia capace non solo di imitare un comportamento, ma di sentire, di provare dentro di sé, l’emozione dell’altro. La base stessa della capacità di intimità emotiva.
Di converso, quando un bambino è trascurato, quando gli si dedicano solo le attenzioni alimentari e di pulizia fondamentali o nemmeno quelle, i suoi neuroni ricevono ben poco su cui attivarsi.
Peggio ancora, quando gli occhi dei piccoli, e il loro cervello, riflettono non solo indifferenza, ma anche rabbia, rancore e aggressività, con sguardi d’odio o di tensione. Il loro cervello memorizza tutto, anche se poco riaffiorerà come ricordo cosciente. Quel modello di comportamento, ispirerà comunque i loro pensieri – la loro immaginazione – e più tardi le loro azioni, con caratteristiche che nelle linee fondamentali potranno durare per tutta la vita.
Molti dei disturbi dell’attenzione che colpiscono oggi in modo epidemico i bambini del mondo occidentale potrebbero avere un cofattore importante in questa solitudine, in questa deprivazione sensoriale, emotiva e giocosa, dei primi anni di vita. Questa  può causare una incapacità di soffermarsi, sulle persone prima ancora che sulle cose, perché nessun ancoraggio affettuoso ha stimolato un’attenzione dedicata, un allenamento al pensare riflettendo, grazie a cure amorevoli;
b) la riduzione significativa, del 20%, dei controlli pediatrici periodici e delle vaccinazioni  e un aumento  di ben il 44% dei consulti di emergenza per problemi acuti del bambino, rispetto ai bimbi di madri non depresse.  Due parametri obiettivi  e inquietanti che correlano con il netto scadimento dell’attenzione  nei confronti del piccoli, fino alla franca negligenza,  da parte delle madri depresse. La ricerca su questo tema è appena stata pubblicata su Pediatrics, a conferma di quanto l’attenzione alla depressione delle madri in puerperio sia urgente non solo per il benessere della madre ma anche del bambino.

Qual è la terapia?

La terapia  della depressione segue tre linee di intervento:
a) farmacologica (1,3,6):
- ormonale: alcuni studi  indicano che la terapia estrogenica, da sola o in associazione con gli antidepressivi, può contribuire a ridurre la componente biologica della depressione puerperale;
- con antidepressivi: modulatori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e antidepressivi triciclici sono i farmaci di scelta. Gli SSRI presentano il miglior profilo d’azione, con minori e meno frequenti effetti collaterali, nonché maggiori margini di sicurezza, rispetto ai triciclici. Nelle donne che allattano, i triciclici sono stati ampiamente studiati e usati in passato: non sono stati dimostrati livelli significativi plasmatici né effetti collaterali significativi nel bambino allattato al seno;
b) psicoterapeutica: è indicata quando fattori psicosessuali o relazionali emergono come importanti cofattori nel favorire, precipitare o mantenere la condizione depressiva. E’ più impegnativa e più costosa. E’ di particolare importanza con le neomamme adolescenti, che hanno più bisogno di essere sostenute in una difficile crisi transizionale quando i loro stessi processi maturativi  e meccanismi di adattamento  (“coping”) e risposta agli stressors sono inadeguati;
c) psicosociale: di supporto alla donna nella cura del bambino, se possibile sensibilizzando i familiari e il partner, e/o fornendo un sostegno esterno domiciliare, anche attraverso l’assistente sociale.

I casi di psicosi puerperale vanno seguiti in ambiente protetto e con personale specializzato. Una maggiore attenzione va dedicata alle cure domiciliari, dato l’elevato rischio di recidive fino a e oltre i due anni dal parto.

I disturbi dell’umore in puerperio meritano attenzione clinica sia per la sofferenza che comportano,  sia per i rischi che implicano per la madre e per il bambino, specie nelle forme severe. Anche le forme di media gravità, tuttavia, non devono essere banalizzate in quanto possono creare una significativa riduzione della qualità dell’accudimento del bambino comportando una sindrome da deprivazione emotiva, affettiva e cognitiva che può lasciare cicatrici indelebili nel futuro del piccolo.

TAB 1. Sintomi suggestivi di depressione puerperale*

____________________________________________________________
Umore disforico
Perdita di interesse nelle attività che abitualmente danno piacere
Difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni
Agitazione psicomotoria o anergia
Astenia
Modificazioni dell’appetito o del sonno
Ricorrenti pensieri di morte e/o di suicidio
Sentimenti di inadeguatezza, specie come madre nei confronti del bambino, sensi di colpa
Ansia eccessiva nei confronti della salute del bambino
*La diagnosi è altamente probabile se 4 o più sintomi sono presenti nella donna in esame

TAB. 2 Fattori di vulnerabilità per la Depressione Puerperale

____________________________________________________________
Familiarità per depressione
Precedenti episodi depressivi maggiori (aumento del rischio del 30%)
Precedenti depressioni puerperali (rischio di ricorrenza del 70%)
Ricorrente Sindrome Disforica della Fase Luteale Tardiva pregravidica (Sindrome premestruale psichica, PMS)
Conflitti coniugali e relazioni di coppia con abusi fisici, psichici e/o sessuali
Mancanza di fonti di supporto familiari e sociali
Sovraccarichi emotivi per problemi fisici o psichici del piccolo
Comorbidità con abuso di sostanze (alcool o droghe)
Disturbi di personalità
Ansia e disturbi di somatizzazione

Approfondimenti generali

Alessandra Graziottin, Il dolore segreto - Le cause e le terapie del dolore femminile durante i rapporti sessuali, Mondadori, Milano 2005
Con un linguaggio semplice ed empatico, e insieme con rigore scientifico, il libro guida le lettrici e i lettori alla scoperta dei complessi meccanismi nervosi, immunologici, ormonali, muscolari e infettivi che presiedono all'insorgenza e alla progressione del dolore sessuale. Esamina le diverse patologie che causano il sintomo doloroso, lo sottendono e lo esasperano, ne esplora le implicazioni psicologiche, nella donna e nella coppia. Per ogni causa delinea una nuova prospettiva terapeutica, aprendo un orizzonte di speranza a chi, forse, aveva smesso di credere di poter guarire.

Approfondimenti specialistici

1) Graziottin A.
Modificazioni del tono dell’umore in puerperio
In AA. VV., Atti del LXXIX Congresso Nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) su “Dal concepimento alla nascita”
CIC Edizioni Internazionali, Roma, 2003, pag. 599-606, 2003

2) Minkovitz C.S. Strobino D. Scharfstein D. Hou W. Miller T. Mistry K.B. Swartz K.
Maternal Depressive Symptoms and Children's Receipt of Health Care in the First 3 Years of Life
Pediatrics 115: 306-314, 2005

3) Gabbard G.O.
Psichiatria Psicodinamica, Masson, Milano, 1998
 
4) Yonkers K.A. Chantilis S.J.
Recognition of depression in obstetric/gynecologic practices
Am. J. Obstet. Gynecol. 173 (2): 632-638, 1995

5) Graziottin A.
Sessuologia medica: maschile e femminile
in: Di Renzo G.C. (a cura di), Ginecologia e Ostetricia, Verduci Editore, Roma, 1462-1492, 2005

6) Wisner K.L. Perel J.M. Findling R.
Antidepressant treatment during breast-feeding
Am. J. Psychiatry 153 (9): 1132-1137, 1996

Parole chiave:
Depressione post parto Estrogeni Puerperio Rapporto mamma-bambino

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