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Scuola, è tempo di tornare ai fondamentali

27/10/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Chi può negare che dalle nostre scuole si uscisse molto più preparati trent’anni fa? Il livello medio di istruzione all’uscita da elementari, medie, superiori e università è crollato. Che si tratti di scuole primarie, di istituti tecnici o di licei, la tendenza alla perdita di qualità è inesorabile. Reggono meglio i licei, solo perché i ragazzi hanno mediamente famiglie più istruite, per cui molte nozioni essenziali, tra cui l’uso decente dell’italiano e della capacità di pensare in modo strutturato, vengono appresi per osmosi familiare. La proliferazione del numero di insegnanti per classe, anche alle elementari, ha ridotto il senso di responsabilità che ogni insegnante aveva nei confronti della “sua” classe e dei “suoi” bambini. L’aumentare il numero di classi per insegnante rende peraltro anche più difficile, per ammissione di molte, ricordare il nome stesso di tutti i piccoli. Ma se la maestra non si ricorda nemmeno i nomi, che senso di identità e di valore può trasmettere ai bambini che segue? L’aumento del numero di materie, che avrà certamente gratificato il narcisismo di qualche legislatore precedente, ha portato a una minore attenzione alle materie fondamentali. L’uso dell’italiano è oggi mediamente penoso, per grammatica e sintassi, a meno che la famiglia non educhi in parallelo, e fin da piccoli, a un uso appropriato del linguaggio. Oppure che qualche insegnante ancora appassionata/o del proprio lavoro non ci metta l’anima per trasmettere ai propri allievi il gusto della parola scelta con cura, per vestire ed esprimere in modo ineccepibile il proprio sentire. Non si tratta di essere fanatici dello stile, ma di qualcosa di molto più profondo: la parola è espressione del pensiero. Per parlare bene bisogna, prima ancora, pensare benissimo.
Sulla matematica, poi, è meglio sorvolare. Con la complicità dell’uso delle calcolatrici, oggi molti bambini e adolescenti non sanno fare a mente nemmeno le operazioni più semplici.
E l’educazione? Osservate come si comportano molti ragazzi e ragazze, anche in classe. Quanto bullismo, quanta maleducazione, quanta arroganza, limpidamente ripresi dai telefonini sempre accesi (ma a scuola non dovevano restare spenti?). Bene, benissimo ha fatto il Ministro Gelmini a far riemergere dal passato il voto in condotta. E anche a riprendere il principio chiave secondo cui un basso voto nel comportamento comporta la bocciatura. Non aver acquisito i fondamentali del vivere civile – di cui il comportamento scolastico è specchio e palestra – giustamente deve essere stigmatizzato. Una cifra semplice, secca, sintetica, che traduca in modo indiscutibilmente chiaro come si comporti il bambino o l’adolescente a scuola. Bene la divisa, per ridare un minimo di decoro ad abbigliamenti variegati, dallo sciatto al provocante, più adeguati alle discoteche che non alla palestra della mente. Riprenderei l’ottima abitudine di alzarsi in classe e salutare, quando l’insegnante entra, come segno di rispetto per il ruolo, oltre che per la persona, come del resto ha richiesto il Presidente Sarkozy in Francia.
E suggerirei al nostro coraggioso ministro di rilanciare il valore dell’apprendimento a memoria, dalle tabelline alle poesie. Questo tanto vituperato esercizio si basa su un principio fondamentale dell’apprendere: la ripetizione. “Apri la mente a quel ch’io ti paleso/ e fermalvi entro; che non fa scienza/ senza lo ritenere, avere inteso”. Questo lo diceva già Dante (Paradiso, canto V, vv. 40-42), in tempi non sospetti. Senza memoria non esiste alcuna altra facoltà intellettiva, né alcuna scienza. Ogni capacità si affina attraverso il consolidamento delle tracce di memoria: verbali, numeriche, musicali, uditive, visive, motorie, cenestesiche, e non solo cognitive. Lo sanno tutti coloro che riescono ad eccellere, anche nello sport e nella musica, per esempio. Quante ore di allenamento, quanti chilometri, quanti esercizi, quante ripetizioni di un gesto tecnico fa un atleta per arrivare ai vertici? E quante ore passa un musicista a suonare, prima di aver assimilato perfettamente uno spartito? Perché invece a scuola, dove si apprendono i fondamentali dell’istruzione, il principio della ripetizione viene così trascurato, banalizzato o addirittura deriso? “Ripetere”: dal latino re-petere, chiedere di nuovo, chiedere ancora, ci stimola dunque a richiedere. Anche alla propria mente, finché un concetto, ma anche una tabellina, non siano perfettamente appresi, sedimentati, consolidati, digeriti e “fatti propri”. Se fossi un insegnante d’italiano, o di altre lingue, farei con i miei alunni il gioco dei segreti delle parole, alla radice dell’ètimo, l’intimo significato di un termine: per appassionarli ad andare a fondo, alla ricerca delle radici del dire, grande metafora dell’educazione ad andare a fondo di ogni cosa. Ed incoraggerei i genitori, o i nonni, ad ascoltare figli e nipoti mentre ripetono le lezioni a casa, a voce alta. Questo esercizio educa il bambino e l’adolescente a concentrarsi sull’essenziale, a verificare in concreto quanto la ripetizione di un concetto sia stata sufficiente o meno, quanto l’espressione verbale sia adeguata. Lo educa ad ascoltarsi. E, in un mondo della comunicazione come il nostro, questa palestra diventa uno strumento vincente per la vita.
Se mi esprimo discretamente, per esempio, è anche merito della nonna che mi ha ascoltata mentre ripetevo le lezioni, fino alla terza liceo. E mi ricordo ancora i suoi pacati ma fermi: “No, non la sai ancora bene”, accanto ai così gratificanti: “Sì, questo l’hai proprio imparato benissimo”. Il suo sorriso affettuoso e il suo sguardo soddisfatto erano una ricompensa emotiva formidabile. E il principio della ricompensa – emotiva e fisica, prima ancora che economica – è fratello gemello del principio di ripetizione, negli animali come negli umani. Ecco allora che genitori e nonni potrebbero ridiventare dinamici “co-allenatori” della capacità di figli e nipoti di imparare e di esprimersi in modo sempre più stringente e appassionante. Non come obbligo, ma come gusto di assaporare insieme un dialogo esclusivo. Non c’è nulla di più esaltante, ad ogni età, di essere ascoltati con attenzione e affetto, senza tempo, anche nelle lezioni. E molto disamore allo studio nasce oggi dalla tremenda solitudine in cui molti bambini e adolescenti passano i loro pomeriggi.
La nostra scuola era una delle migliori del mondo. E’stata saccheggiata da una molteplicità di interventi, che a torto si sono fregiati di slogan seducenti, quali innovare, rivoluzionare, modernizzare, rendere creativi, divertirsi, diversificare. E’ tempo di tornare alle regole fondamentali dell’apprendere: il principio di ripetizione, di ricompensa, l’attenzione, la concentrazione, il silenzio, di cui è alleata indispensabile una buona condotta. Regole confermate anche dai più recenti studi di neurobiologia, etologia e psicologia.
Anche per questo fa bene il ministro Gelmini a continuare per la sua strada migliorativa della nostra scuola, nonostante attacchi, insulti e vituperi. Mostra al contempo coraggio e capacità di resistenza a quel perniciosissimo virus moderno che è la ricerca del consenso di tutti, a tutti i costi. I cambiamenti creano sempre anticorpi, resistenze, battaglie. Ma se ci si sente di essere nel giusto, è doveroso continuare nel cammino intrapreso. E fanno male gli studenti che si rifiutano di dialogare con lei. L’educazione al confronto è il sale di una società democratica. Perché i democratici, in questi giorni difficili di scioperi e dimostrazioni, sembrano averlo dimenticato?

Adolescenti e giovani Apprendimento Bambini Educazione Scuola e università

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