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Rapporto medico-paziente, primo fondamento della terapia

13/06/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Un buon rapporto fra medico e paziente riduce la vulnerabilità al dolore. Lo conferma un nuovo studio della Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). E’ vero non solo per i tumori, ma per ogni patologia.
Perché una buona relazione con il proprio medico può essere così efficace nel ridurre sensibilità e percezione del dolore, sintomo tormentoso, inquietante e invalidante in ogni malattia? Innanzitutto, “buona relazione” significa che il/la paziente sente di potersi fidare della competenza e dell’umanità del proprio medico: «Dottore, sono nelle sue mani». Fidarsi significa affidarsi. Tutte le volte in cui sentiamo di poterci fidare e affidare – nella malattia come nella vita – si riducono la paura, l’ansia, il panico, l’angoscia: sentimenti che invece esaltano ed esasperano la percezione del dolore.
I sentimenti negativi aprono tutti i circuiti nervosi che trasmettono i segnali di dolore: sia dalla periferia – l’organo infiammato e dolorante – al cervello, forzando il controllo di porta (“gate control”) a livello delle corna posteriori del midollo spinale, sia all’interno del cervello stesso. Ansia e paura aumentano adrenalina e cortisolo, gli ormoni dello stress, e mettono tutto il corpo e il cervello sotto il comandante dei tempi di guerra, il sistema simpatico. Di converso, la fiducia abbassa cortisolo e adrenalina, aiuta a respirare a fondo, abbassa il livello di allarme emotivo e regala un sorriso di sollievo quando il medico ci conforta e ci ascolta con attenzione e sollecitudine. Quando ci spiega problemi e scelte terapeutiche con semplicità, efficacia e chiarezza. La fiducia mette corpo e mente sotto il comandante dei tempi di pace, il parasimpatico. Il/la paziente diventa più collaborativo/a, esegue meglio le terapie, affronta ogni difficoltà con più sicurezza e più positività, anche quando le prove sono difficili: «Non sa che coraggio mi ha dato con quell’abbraccio prima che andassi via, dottoressa. Anche se mi aveva detto che avevo un cancro al seno, quell’abbraccio e quel sorriso mi hanno tolto la paura. Erano con me quando sono andata sotto i ferri, quando mi sono addormentata e poi risvegliata dall’anestesia. E’ bello sentire questa forza positiva, proprio nei momenti neri. Anche il dolore è stato molto più tollerabile di quanto pensassi».
Il potersi fidare e affidare contrasta la disperazione, anche nei momenti ultimi: «Dottoressa, lei che mi vuole bene mi lasci morire…». E’ duro e difficile anche per il medico accettare la morte di una paziente seguita per anni con amore e dedizione, con affetto profondo e ricambiato. E’ la sfida più difficile di questa professione magnifica e dura, che chiede e dà molto sul fronte umano, prima ancora che su quello professionale. Aggiunge un’altra paziente anziana: «Mi sono risvegliata dall’anestesia e il chirurgo, di cui mi fidavo molto, mi ha detto che tutto era andato bene. Dallo sguardo, dal sorriso e dalla voce ho sentito che era vero, che non erano parole di circostanza. Ho sentito un’ondata di sollievo, come un vento che portava via tutte le mie nuvole nere di preoccupazione. Mi sono riaddormentata per dieci ore. Ho sognato che ero bambina e correvo felice sotto il sole, in campagna. Tutti i medici dovrebbero fare così! Noi pazienti vivremmo meglio gli interventi e anche il risultato sarebbe migliore!». E’ vero. Ci sentiamo più leggeri quando una diagnosi viene spiegata indicando chiaramente le soluzioni, anche impegnative, con capacità di far sentire la positività del percorso e degli esiti. Soprattutto, di far sentire che durante quel percorso il/la paziente avrà sempre quel medico vicino. Di far sentire che non sarà mai solo/a.
Un aspetto sottile e potente che ogni buon medico sa gestire con sensibilità riguarda infatti il ruolo paterno e materno intrinseci a questa professione. Sono ruoli indipendenti dal genere del medico (anche se l’essere uomo o donna può rendere più facile l’esprimere l’uno o l’altro aspetto). Il ruolo paterno è attivo quando il medico dà regole e prescrizioni, fa interventi diagnostici o opera chirurgicamente. Il ruolo materno è attivo quando il medico si prende cura anche dei sentimenti, delle emozioni, delle paure e delle ansie del/la paziente. Quando si prende il tempo per guardare negli occhi cercando un contatto d’anima, quando stringe la mano, quando accarezza con gentilezza un volto spaventato, quando fa sentire al/la paziente che sta curando una persona che soffre, e a cui tiene, non un corpo o un organo malato. Ammalati, riemerge in noi il bambino solo e spaventato che cerca conforto.
In tempi sanitari confusi e inquieti, chi trova un buon medico trova un tesoro. Per il corpo e per l’anima. Formare medici competenti e umani, questo dovrebbe essere l’obiettivo principe dell’Università e del Ministero della Salute.

Ansia Dolore acuto / Dolore cronico Fiducia Malattia Paura Rapporto medico-paziente Riflessioni di vita Sistema simpatico/parasimpatico Tumori e linfomi

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