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Perché i medici banalizzano i sintomi delle donne

Perché i medici banalizzano i sintomi delle donne
21/10/2019

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«I medici ascoltano sempre meno i pazienti. E più del 51% banalizza i sintomi riportati dalle donne». L’accusa emerge da una ricerca, “In her words” (“Con parole sue”), condotta da Lori Brotto su mille donne della British Columbia, in Canada. Obiettivo della ricerca: dare voce al vissuto delle donne quando cercano aiuto medico.
Il “cahier de doléances”, il quaderno delle lamentele di rivoluzionaria memoria, contiene note ancora più dolenti. Molti medici donna hanno lo stesso atteggiamento di banalizzazione dei sintomi dei colleghi maschi. Troppo spesso entrambi dicono «Il suo problema è solo nella sua testa» (proprio come in Italia…). Più del 30% delle donne fatica a trovare una risposta medica. L’atteggiamento di negazione dei sintomi è ancora più frequente verso le donne povere, con malattie croniche o anziane, immigrate e rifugiate.
La ricerca avuto una forte ricaduta mediatica. Il Canada è molto sensibile ai diritti delle donne che, almeno lì, possono fare carriere prestigiose, avere famiglia e figli senza essere discriminate, e possono svolgere ruoli apicali in percentuali impensabili in Italia. Il rapporto medico-paziente donna, invece, mostra dei tratti di sufficienza, di banalizzazione e discriminazione universali, che resistono persino in un Paese avanzato come quello. Figurarsi nel nostro.
Lori Brotto, di origini italiane, è psicologa, ricercatrice e direttore esecutivo del Women’s Health Reserch Institute del British Columbia Women’s Hospital, a Vancouver. La domanda universale è una: perché i medici di ambo i sessi ascoltano meno le donne? E le curano peggio, con diagnosi più tardiva di sintomi anche gravi, come l’infarto miocardico acuto? La prima causa è la riduzione generale di ascolto e attenzione ai sintomi, indipendentemente dal sesso, dall’età e dalla razza. Con un’eccezione: reddito elevato e cultura “impongono” al medico una liturgia di visita diversa, con una maggiore attenzione ai sintomi e un più accurato impegno diagnostico.
Perché i medici ascoltano sempre meno? Nel sistema pubblico, in Italia e all’estero, pesa la riduzione dei tempi di visita “per contenere i costi”, in un efficientismo che fa forse la gioia degli amministratori, ma l’infelicità dei/delle pazienti. Se poi si pensa che in molti ospedali il personale è amministrativo per due terzi e solo per un terzo medico, si capisce a che tipo di folle distorsione sia arrivata la lettura economica dell’ospedale come “azienda”. Ma pesa ancor più, e questo è grave, la perdita di formazione qualitativa dei medici, l’abbandono della semeiotica (l’arte di leggere i sintomi e i segni del corpo, per millenni pilastro della diagnosi clinica) e della visita accurata del corpo all’interno di un’attenta relazione medico-paziente, a favore di mille esami, o di una conclusione affrettata: «Lei non ha niente, è tutto nella sua testa».
Oggi uno specializzando americano passa ogni giorno un’ora e mezza con i pazienti, e cinque ore e mezza al computer. Curerà persone o computer? Molti medici, anche a pagamento, fanno la visita senza nemmeno far spogliare i pazienti. Per i postumi di una caduta una mia paziente ha consultato tre ortopedici: uno ha visitato il piede, l’altro la spalla, l’altro la schiena, così vestita, in pochi minuti, senza ascoltare i sintomi, parlando a monosillabi, senza valutare la postura e le ripercussioni di una patologia distrettuale sul resto della motilità o dell’autonomia, perché erano “specializzati” ciascuno in quella parte del corpo. Facile capire perché osteopati e chiropratici abbiano così tanto seguito.
Inoltre, soprattutto a livello universitario, è prioritario un solo messaggio: «Publish or perish», pubblica articoli scientifici o muori (dal punto di vista della carriera). Purtroppo questo ha cambiato l’obiettivo della formazione: non imparare a curare bene e meglio, ma pubblicare di più. In questo sistema distorto, i pazienti hanno un valore equivalente a topi di laboratorio. Il colpo di grazia l’ha dato la medicina dell’evidenza: preziosa, se è al servizio di una migliore personalizzazione delle cure; perniciosa, se porta a una standardizzazione formale della terapia, senza ascoltare i sintomi e le comorbilità, ancor più se sofferte da donne considerate malate immaginarie per stereotipo maschilista. Bisogna riportare il malato e i suoi sintomi al centro della formazione medica, e rendere più umana una professione che ha dimenticato l’umanità.

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