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Le molte ragioni della crisi della fertilità maschile

10/03/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

L’uomo italiano è in crescente crisi sul fronte della fertilità: il 10 per cento dei nostri uomini ha infatti serie difficoltà nell’avere figli. L’“impotentia generandi” ha sempre costituito un pesantissimo marchio di inadeguatezza personale, sessuale e sociale. E ancor oggi grava come un macigno sull’uomo e sulla sua compagna, con un carico tanto maggiore quanto più il figlio è desiderato da entrambi, quanto più la famiglia preme per avere il tanto sognato erede, quanto più l’età avanza, e quanto più aumenta il numero di tentativi falliti, già effettuati, per averlo.
Un fattore ulteriore di potenziamento, di disperazione, di solitudine è la asimmetria della infertilità, quando cioè la difficoltà ad avere un figlio dipende quasi esclusivamente da uno solo dei due partner. Quando è l’uomo a sentirsi fare la diagnosi di “poco fertile” o, peggio, “sterile”, il contraccolpo depressivo può essere drammatico. Con ripercussioni serie su tutti gli aspetti della vita personale: l’uomo si sente inadeguato come maschio, come partner, perfino come professionista, come se questa incapacità minasse le fondamenta del suo stesso esistere nel mondo. Frequentemente somatizza questa difficoltà e questo sentimento di inadeguatezza in veri e propri sintomi sessuali: dalla caduta di desiderio (“ a che cosa serve far sesso se non posso avere un figlio?”), ai problemi di erezione, soprattutto legati all’ansia relativa alla frustrazione della compagna che “per colpa mia non potrà avere il figlio che tanto desidera”, ansia peggiorata dalla paura che lei possa lasciarlo proprio per la sua sterilità.
Perché l’infertilità maschile è in aumento? Le cause possono essere divise in due gruppi. Nel primo sono inclusi fattori medici ben noti: il varicocele, ossia varicosità che circondano il testicolo aumentandone seppur di poco la temperatura e compromettendone la maturazione degli spermatozoi, varicocele che interessa il 10-20% dei nostri uomini, ma ben il 25-40% di quelli che afferiscono ad un centro di fecondazione assistita; le orchiti, ossia le infezioni del testicoli, di cui la più importante è la parotite (nel linguaggio comune gli “orecchioni”), il cui virus lede in modo irreversibile gli spermatogoni, ossia le cellule da cui derivano gli spermatozoi, specie se contratta dopo la pubertà; e gli esiti di chirurgia genitale, ma anche di chemio o radioterapia, per la cura di tumori seminali o pelvici. Un secondo gruppo di fattori è invece legato a fattori ambientali e legati agli stili di vita. Sul ruolo di questi ultimi è stata appena presentata un’eccellente ricerca su 10.000 uomini italiani, condotta del professor Fabrizio Menchini Fabris, dell’Università di Pisa, e dai suoi collaboratori.
L’aspetto più interessante è che la ricerca è stata condotta su uomini giovani: 29 anni, in media, e apparentemente sani, in quanto non hanno mai avuto nessun problema noto per ledere la fertilità. Niente varicocele, orchiti, interventi genitali o chemioterapia. Eppure hanno già una fertilità ridotta, spesso prima di avere avuto il primo figlio. Hanno meno spermatozoi, che sono anche poco mobili e poco vitali. Da che cosa dipende questa lesione biologica? Grazie all’indagine appena pubblicata, emerge che esiste una grande variabilità territoriale nazionale, legata a fattori ambientali e di stile di vita. Le aree di Italia con il peggioramento più significativo hanno due caratteristiche:
a) l’essere aree urbane metropolitane: Roma, Milano, Napoli e Palermo mostrano un peggioramento che varia dal 10 al 17% (con record negativo per Napoli) rispetto alla media nazionale. In questo caso inquinamento da piombo, polveri sottili, veleni noti e ignoti, uniti allo stress della vita urbana, all’uso di alcool e droghe e alla riduzione drastica delle ore di sonno, peggiorano nettamente le condizioni del corpo in cui gli spermatozoi maturano. Di converso sono migliori, rispetto alla media, gli esami seminali degli uomini che vivono nei piccoli centri urbani, con una popolazione al di sotto dei 20.000 abitanti. In tal caso migliore qualità di vita, meno stress, meno inquinamento, ritmi quotidiani più umani proteggono non solo la salute globale (come indicano altri studi) ma anche la fertilità;
b) l’appartenere a zone ad alto tasso di inquinamento per disastri o problemi ambientali specifici. E qui il record negativo spetta purtroppo a Seveso, dove l’onda lunga della diossina continua ad agire sugli spermatozoi degli uomini che erano bambini al momento dell’esplosione. E alla Campania, dove il peggioramento degli indici seminali (meno 15%) ha il record negativo in Italia non solo a Napoli, ma in tutta la regione.
Questione di Sud? No, affatto: la Puglia ha gli uomini con gli indici seminologici in assoluto migliori d’Italia (+15%). E allora? Il dato drammaticamente peggiorativo della Campania chiama in causa il possibile ruolo dell’accumulo dei rifiuti, con tutti i loro veleni tossici. Ma allora amministratori e politici campani, che risultassero responsabili, dovrebbero rispondere non solo per il danno ambientale, per i costi pubblici, quantizzabili e non quantizzabili, che la loro inerzia operativa ha provocato, ma anche per un danno pesante per la salute pubblica: la lesione della capacità procreativa dei loro uomini, indice abbastanza rapido di danni tossici ambientali. E punta dell’iceberg di possibili danni più profondi e permanenti sulla salute di uomini e donne di quella regione.
E il Veneto? Se la Campania piange, il Veneto non ride, perché i parametri seminali mostrano un 6% di peggioramento per il numero di spermatozoi, e un 7% per la motilità. Come dire: attenzione, la vulnerabilità della fertilità maschile è in aumento anche qui, nel florido Nord-Est.

Fertilità e infertilità Sessualità maschile

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