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I rischi dei bambini generati dopo i 35-40 anni

03/07/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

L’illusione più grande per una coppia che rimandi la ricerca del primo figlio? Il pensare che con la riproduzione assistita si possa ovviare a qualsiasi limite naturale. Attenzione: non è così. Lo si riduce, certo, ma non lo si elimina, come è emerso a Praga durante i lavori scientifici, di notevole interesse, del congresso europeo della “European Society of Human Reproduction and Embriology” (ESHRE), la società scientifica che riunisce i leader e i ricercatori più qualificati sulla riproduzione assistita. Seimila medici e biologi della riproduzione erano tutti presenti in auditorium gremiti, nonostante l’attrattiva di questa straordinaria città. Perché questa eccezionale attenzione? Semplice: quando c’è una grande concentrazione di interesse – medico, scientifico ed economico – su un determinato fronte, significa che la domanda è fortissima. E che il business relativo cresce in modo esponenziale. Perché quando il figlio è desiderato tanto, e non arriva, la coppia è disposta a spendere una fortuna, in denaro ed energie personali, pur di averlo.
In effetti, l’avere un figlio oggi è un problema, un motivo di scacco, di frustrazione, di solitudine per moltissime coppie di origine europea. Molto meno per gli immigrati da altri Paesi extraeuropei che, in linea con le loro tradizioni, hanno figli presto. In tal modo, gli extracomunitari ovviano alla causa in assoluto più potente di infertilità, in lui e in lei: l’età. Ed è grazie a loro se il trend di natalità italiano, dopo anni di caduta progressiva, ha ora invertito il segno. Certo, così aumentano i bambini che nascono in Italia, non i figli degli italiani, il cui tasso di natalità continua a decrescere, mentre aumenta il loro ricorso alla tecnologia riproduttiva. Un problema condiviso con le altre nazioni “ad alto reddito”, europee e nordamericane.
Se l’età crescente è il fattore in assoluto più potente nel causare infertilità,  è un problema solo femminile o conta anche l’età paterna? E che cosa succede quando la ricerca cominci tardi? C’è “solo” il rischio di una minore fertilità o ci sono anche problemi sulla “qualità” del concepimento, sul decorso della gravidanza e sulla salute del bambino?
Innanzitutto, e contrariamente di nuovo alle opinioni comuni, il problema riguarda entrambi i partner, con una differenza per l’età limite di 5 anni: 35 per lei, 40 per lui. Attenzione: questo non significa che oltre quell’età non si possano aver figli, anche in modo naturale, ma che si riducono nettamente le probabilità sia di concepimento, sia di avere un figlio sano. Nelle donne di 35 anni o più, aumentano in modo significativo non solo la difficoltà di concepire, ma anche gli aborti spontanei, il diabete in gravidanza, la placenta previa (ossia posta lungo la via d’uscita del bambino, con rischio quindi di emorragie durante la gravidanza e il parto, maggiore probabilità di parto prematuro e necessità di taglio cesareo). Aumentano anche il rischio di basso peso del bimbo alla nascita, di presentazioni anomale (ossia le posizioni con cui il bambino si “presenta” all’inizio del canale da parto nel momento in cui inizia il travaglio) e di una maggiore mortalità perinatale. Un uomo di più di 40 anni aumenta la probabilità che ci siano più problemi per i figli, anche concepiti con una partner più giovane. Nello specifico, raddoppia il rischio di aborto, mentre aumentano, seppur meno, i rischi di malformazioni congenite. Aumentano anche il rischio di sindrome di Down e di anomalie del sistema nervoso.
La riproduzione assistita mette al riparo da questi rischi legati all’età dei futuri genitori? No, ed è bene dirlo con chiarezza. La stessa tecnologia si scontra con questo fattore fortissimo legato all’età. Dopo un concepimento ottenuto tramite riproduzione assistita, il rischio di diabete gestazionale aumenta del 263 per cento; l’elevata età paterna (oltre i 40 anni) raddoppia il rischio di anomalie congenite; la placenta previa aumenta del 94 per cento; la scelta di un taglio cesareo elettivo cresce del 77 per cento; e la probabilità che il bimbo nasca morto aumenta del 41 per cento, rispetto a un bimbo concepito da genitori più giovani.
E allora? Il messaggio è uno solo. Se il figlio è una priorità, è bene cercarlo non oltre i trent’anni per lei e i trentacinque per lui: cosicché, quand’anche ci fosse un problema, il ricorso alla fecondazione assistita avvenga prima della soglia dei trentacinque anni di lei. Solo così si ha la massima probabilità non solo di riuscita, in termini di concepimento, ma anche di avere gravidanze a decorso normale e bimbi sani in braccio.

Fecondazione assistita Fertilità e infertilità Gravidanza tardiva

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