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Dietro la fortuna: studio, rigore e competenza

Dietro la fortuna: studio, rigore e competenza
18/05/2020

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«La fortuna favorisce solo le menti preparate», diceva Louis Pasteur, grande chimico e biologo francese, con una viscerale passione per la medicina. Con una preparazione rigorosa, une dedizione assoluta e un’etica professionale impeccabile mise a punto, fra l’altro, il vaccino contro la rabbia.
Sul finire dell’Ottocento la rabbia era diffusa in Europa. Questa malattia infettiva è causata da un virus, del genere Lyssavirus, trasmesso all’uomo dal morso di animali contagiati, cani o pipistrelli. La rabbia è una malattia terribile: il virus colpisce il sistema nervoso centrale. Causa febbre, cefalea, astenia; col progredire dell’encefalite, compaiono la “rabbia furiosa” oppure la paralisi (“rabbia muta”), fino alla morte, molto dolorosa. Axel Munthe, eminente neurologo svedese, grande estimatore di Pasteur, ce ne fa intuire la rara statura umana nel bellissimo libro “La storia di San Michele”, dove racconta anche i giorni drammatici di sei contadini russi inviati da Mosca a Parigi sperando che Pasteur potesse salvarli.
A Parigi, Munthe fu testimone oculare del lavoro frenetico, dei dubbi e del dramma interiore del grande microbiologo. «Rivedo anche ora il volto pallido di Pasteur mentre passava di letto in letto, guardando gli uomini russi condannati, con infinita compassione negli occhi. Lo rivedo accasciarsi su una sedia, la testa tra le mani». Pasteur lavorava al vaccino senza timore di essere contagiato. Faceva lui stesso i prelievi di saliva dalla mascella dei cani rabbiosi. Lavorava a ritmi serrati, per mettere a punto il vaccino sugli animali. Poi, documentata l’efficacia, Munthe ne vide i tormenti nella difficile decisione di testarlo sull’uomo. Pasteur lo somministrò per la prima volta il 6 luglio del 1885 a un bambino di 9 anni, Joseph Meister, che era stato morso da un cane rabbioso e sarebbe morto tra dolori terribili. Il bimbo non ebbe reazioni avverse e guarì: emblema dell’efficacia e dell’innocuità del trattamento. Nei mesi successivi Pasteur trattò con successo 350 persone, con un solo decesso. I risultati furono presentati all’Académie des Sciences, di Parigi, il 1° marzo 1886. Il vaccino contro la rabbia era diventato realtà e speranza di vita, verso una malattia altrimenti tragica e fatale.
Da chi ho sentito citare Pasteur, quattro giorni fa, su France 24? Da Chen Chien-jen, vicepresidente della Repubblica di Taiwan. Chiede l’intervistatrice francese: «Come mai, su una popolazione di oltre 24 milioni di persone, avete avuto solo sei morti da Covid e tutta l’infezione è sotto controllo? Fortuna?». «No – risponde pragmatico e garbato Chen Chien-Jen – la fortuna sorride alle menti preparate, come diceva Louis Pasteur, che anche per noi è stato un esempio». E fa un’analisi stringente di come si è mosso il suo governo, la cui Presidente è una donna di rara competenza e carisma: Cai Yingwen, avvocato, con laurea in Giurisprudenza all’Università di Taiwan, e specializzazioni alla Cornell University di New York e alla London School of Economics. Rieletta per il secondo mandato con un record di affluenza alle urne del 74,9%. (Per inciso, i sei Paesi che nel mondo hanno una premier donna si sono mossi molto meglio e con un controllo molto più efficace dell’infezione e delle sue conseguenze. Motivo? Sembra che le donne, anche in politica, per raggiungere i vertici debbano superare molti più ostacoli ed essere più competenti dei colleghi).
Che cosa hanno fatto a Taiwan? Dalla prima segnalazione cinese, il 31 dicembre 2019, il Governo ha dato grande attenzione al coronavirus, il SARS-CoV-2, di cui il sud-est asiatico aveva già conosciuto il temibile cugino, il SARS-CoV-1. Ne aveva percepito la aggressività e pericolosità segnalandola subito anche all’OMS, i primi giorni di gennaio 2020. Regola d’oro: le pandemie devono essere fermate nel territorio. Questa è la vera prevenzione primaria, l’unica davvero efficace, come Taiwan dimostra. Le pandemie non si fermano negli ospedali, dove arrivano i contagiati, anche gravissimi: quelli sono le retrovie del fronte. Taiwan ha lavorato sul territorio, dai primi di gennaio: con i test, la ricerca della rete dei possibili contagiati e il loro isolamento rigoroso, il rispetto stringente delle regole di barriera e distanziamento, la chiusura dei luoghi di affollamento. Hanno lavorato in modo competente e serrato per potenziare i fattori di contenimento. E protetto in modo adeguato il personale sanitario. «Non fortuna – conclude Chen Chien-jen – ma studio, rigore, competenza. E tempismo».

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