Come ascoltiamo? Con quale atteggiamento interiore? Qual è la ricchezza esistenziale che la buona capacità di ascolto ci regala? Il modo in cui ascoltiamo dice molto di noi: anzitutto il livello di intelligenza, di apertura mentale, di flessibilità intellettuale. Più si è intelligenti, nel senso etimologico (inter-legere) di motivati a leggere connessioni e dinamiche interne entro la complessità di situazioni, problemi, sfide ed eventi, più si è allenati a modificare le proprie opinioni e convinzioni in base a quanto ascoltato e meditato. In parallelo, l’elasticità nel riformulare, correggere, migliorare la propria idea e la propria visione del mondo è specchio di una elevata neuroplasticità, ossia della capacità del cervello di modificare continuamente le proprie connessioni e associazioni. Una capacità che richiede salute mentale, anatomica e funzionale. Come tutte le funzioni mentali superiori, anche l’arte di ascoltare in modo attento, concentrato e dialettico va allenata e raffinata nel tempo. Resiste meglio ai danni dell’età, se sostenuta da stili di vita sani, tra cui l’attività fisica aerobica quotidiana, la qualità del sonno, l’alimentazione sana, il normopeso e un buon stato di salute.
Quali fattori predicono una alta capacità di ascolto? Innanzitutto, il piacere primario di sentirsi ascoltati con affettuosa e dedicata attenzione. «Da piccoli la nonna ci ascoltava con affetto, attenta, come se fossimo adulti, anche se eravamo bambini. Questo a me e mio fratello piaceva proprio. La mamma invece era sempre occupata in altro. E se le parlavamo, ci zittiva perché aveva mal di testa», mi diceva un amico. I bambini ci imitano, i loro neuroni rispecchiano quello che li circonda. Genitori “sempre concentrati in altro”, che non ascoltano e non interagiscono in una conversazione degna del nome, non allenano la capacità di ascolto dei figli. Un problema ancora più urgente oggi, data l’overdose di solitudine dei nostri piccoli, parcheggiati su social e smartphone. E con nonni lontani.
Il secondo fattore che modula la capacità di ascolto è la fiducia in sé, quella sicurezza interiore, sul proprio valore e sul meritare di essere amati, che consente di mettersi in discussione perché questo non intacca quella solida fiducia, anzi semmai la rinforza. Fiducia figlia di relazioni sane e affettuose fin dall’infanzia, e di incontri con insegnanti o allenatori sportivi di qualità, se si è molto fortunati. All’opposto, più si è insicuri e interiormente fragili, più ci si arrocca su convinzioni senza sostanza, solo perché contribuiscono a un’illusoria sensazione di sicurezza e di valore.
Il terzo fattore di ascolto “trasformativo” è il livello culturale, inteso non come titolo di studio, ma come patrimonio di conoscenze, allenate anche attraverso letture, conversazioni e lavoro fatto con testa e cuore. E’ bello osservare la qualità dell’ascolto di giovani pazienti con ottima educazione familiare: concentrate, attente a cogliere ogni parola e sfumatura, con il muoversi delle palpebre che accompagna la conversazione come una musica, e con lo sguardo “a due direzioni”, come lo chiamo. Diretto sull’interlocutore, quasi a filmarne ogni comportamento e messaggio non verbale, oltre alle parole, mentre al contempo si intuiscono nel cervello milioni di neuroni attivati ad associare e rielaborare quanto viene condiviso. Sono le pazienti che migliorano di più, anche in situazioni cliniche difficili e complesse. All’opposto, l’espressione spia di un sentire barricato è il desolante “lo so”: chi lo ripete, non ascolta, non apre il cervello al cambiamento, tanto meno si metterà in discussione. Chi si arrocca è perduto. Anche sul fronte salute, il migliorare presuppone apertura a mettersi in discussione, per esempio su stili di vita errati, e a cambiare: «Ci provo, mi impegno!». Questo è l’indicatore pragmatico dell’ascolto trasformativo, che ha in serbo una ricompensa speciale: ci tiene più sani e più giovani, nel corpo e nella mente. Più capaci, anche in tempi difficili, di restare aperti alla vita e ottimisti sul futuro.
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