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Aborto farmacologico: come funziona la RU486

19/10/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Introduzione

Il mifepristone è un farmaco dalle molteplici azioni. Nelle prime sperimentazioni, agli inizi degli anni Ottanta, fu chiamato per brevità RU 38486 (RU, dalle iniziali della casa produttrice, la Roussel Uclaf), poi ulteriormente sintetizzato in RU486. Conosciuto per l’azione abortiva, secondaria alla sua capacità di bloccare i recettori per il progesterone, il mifepristone (o RU486) è in studio e in uso anche con altre indicazioni.

Il 30 luglio 2009 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato l’immissione in commercio nel nostro Paese della RU486, nota soprattutto come pillola abortiva, già utilizzata in numerose altre nazioni in tutto il mondo (le prime sperimentazioni risalgono agli anni Ottanta, in Francia). Pochi giorni dopo, però, la Commissione Sanità del Senato ha avviato un’indagine conoscitiva sulla conformità dell’impiego della pillola in questione alla legge 194 del 1978, che ha legalizzato e disciplinato l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia. Nel frattempo, la Commissione ha chiesto e ottenuto di bloccare l’iter per la commercializzazione del farmaco. In seguito, un’ordinanza del Ministero della Salute ha stabilito che la donna debba restare in ospedale sotto osservazione durante tutto il trattamento, cioè dalla prima somministrazione (in precedenza, poteva tornare a casa e ripresentarsi in ospedale per la seconda somministrazione) fino all’espulsione dell’embrione. Quest’ultimo punto è in discussione al momento della stesura di questo articolo (15 ottobre 2009).
La questione ha sollevato aspri contrasti fra i movimenti anti-abortisti e chi sostiene che la pillola abortiva è un’opzione prevista dalla legge 194, ed è quindi pienamente legale.

Questa scheda si propone di offrire alle donne le conoscenze necessarie per formarsi un’opinione documentata sull’argomento. In particolare illustreremo:
- come funziona la pillola RU486;
- quali rischi reali comporta per la salute;
- le implicazioni del ricovero obbligatorio introdotto dal Ministero della Salute;
- le alternative chirurgiche all’aborto farmacologico.

Il ruolo degli ormoni femminili: come funzionano?

Per comprendere il funzionamento della pillola abortiva, è innanzitutto necessario sapere come funzionano gli ormoni sessuali nel corpo femminile e quali sono le loro funzioni. Ogni ormone opera interagendo con uno specifico “recettore”, come fa una chiave entrando nella propria serratura. Un anti-ormone è una sostanza capace di inserirsi nella serratura bloccandone il funzionamento, ossia impedendo tutti i processi biochimici e biologici che in condizioni normali vengono attivati da quel particolare ormone quando interagisce con il recettore.
L’RU486 è proprio uno di questi anti-ormoni, e in particolare un antiprogestinico che va a impedire tutte le azioni tipiche che il progesterone svolge all’inizio della gestazione.

Per completezza, va ricordato che un ormone sessuale – estrogeno, progesterone, testosterone – può anche interagire, seppure con minore efficacia, anche con altri recettori, ossia con altre “serrature”: con il recettore per gli estrogeni, per i progestinici, per il testosterone, per i glucocorticoidi e per i mineralcorticoidi. Inoltre l’azione può essere agonista, capace di attivare alcune o tutte le azioni biologiche, dipendenti da quell’interazione ormone-recettore, o antagonista, tale da ridurre quindi gli effetti di quell’interazione.

Nello specifico, l’RU486 può interagire anche con il recettore per gli ormoni glucocorticoidi: e può essere utile nella cura del morbo di Cushing (malattia caratterizzata da un’eccessiva produzione di ormone cortisolo da parte del surrene o da tumori ormonosecernenti) che non risponda alle terapie tradizionali. Questo per dire che le indicazioni della RU486 possono essere molto varie e diverse, rispetto alla sola azione abortiva.

In che modo il progesterone favorisce la gravidanza?

In tre modi distinti e complementari:
- crea un ambiente favorevole allo sviluppo dell’uovo fecondato, rendendo biologicamente accogliente l’endometrio (la mucosa che riveste lo strato interno dell’utero e, in assenza di fecondazione, si sfalda ad ogni mestruazione);
- mantiene rilassata la muscolatura dell’utero, il miometrio, durante la gravidanza;
- potenzia i vasi sanguigni deputati a nutrire l’utero e l’embrione.

In questo contesto, come opera la RU486? A quali dosi?

La pillola abortiva, bloccando i recettori per il progesterone, arresta tutti questi processi. Il trattamento, in realtà, consiste nella somministrazione di due diverse compresse:
- la prima ha come principio attivo l’anti-progesterone vero e proprio (RU486 o mifepristone, 600 mg), e si prende subito, per via orale;
- la seconda contiene una prostaglandina (misoprostolo, 400 mg) che, assunta per via orale o vaginale 24-48 ore dopo, stimola ulteriormente le contrazioni uterine, provocando l’espulsione dei tessuti embrionali.

Tre i risultati, speculari e opposti alle funzioni che il progesterone svolgerebbe in condizioni normali:
- l’endometrio non viene modificato, e quindi non diventa un terreno fertile per accogliere l’ovulo fecondato;
- l’utero non si rilassa, e inizia anzi a contrarsi per espellere un corpo che ormai ritiene “estraneo”;
- i vasi sanguigni non aumentano di numero e di capacità nutritiva e, anzi, si chiudono.

Tutto ciò blocca la crescita del sacco embrionale, ne determina il distacco “a stampo” (ossia tutto insieme: sacco amniotico, embrione, liquido amniotico, iniziale placenta) dalla parete dell’utero, e la successiva espulsione come avviene nell’aborto spontaneo.
L’esito del trattamento – ossia la completa espulsione del sacco embrionale – viene verificato con un’ecografia 14 giorni dopo il trattamento.

Che cosa accade se l'espulsione del sacco embrionale non è completa?

Bisogna completare l’asportazione con un intervento chirurgico, detto in termini medici “revisione della cavità uterina” o, in termini semplici, “raschiamento”. La probabilità che ciò avvenga è però minima, se vengono rispettati i tempi previsti dal metodo.

La RU486 è un farmaco affidabile?

I dati in nostro possesso dimostrano che, se usata correttamente, la RU486 funziona nel 95.5% dei casi. Si tratta dunque di un trattamento sicuro che però va effettuato rispettando scrupolosamente le indicazioni raccomandate, delle quali – come accennavamo poco fa – l’aspetto principale è il tempo: la massima efficacia di azione si ha infatti nelle fasi iniziali della gravidanza, dalla quarta alla settima settimana.
Diversamente, a gravidanza avviata, si innescano meccanismi di funzionamento placentare che rendono più difficile causare un aborto solo con un intervento di questo tipo. Ne consegue che i tempi di somministrazione, stante la decisione della donna di interrompere la gestazione, devono essere rapidi, sempre nei termini di legge.

Quali sono le controindicazioni al trattamento?

La RU486 e il misoprostolo non si possono somministrare in caso di gravidanza extrauterina, coagulopatie e/o terapia anticoagulante in corso, insufficienza surrenalica, asma grave, allergia alle prostaglandine, anemia grave, diabete, utilizzo di spirale (IUD).

E quali gli effetti collaterali?

Gli effetti collaterali si sovrappongono a quelli che si hanno di solito in presenza di un aborto spontaneo: i più frequenti sono dolori addominali di varia gravità, dovuti alle contrazioni dell’utero, e/o una variabile perdita di sangue. La prostaglandina, inoltre, può causare nausea o diarrea.
Va peraltro sottolineato che questi effetti possono variare molto da donna a donna in base alla settimana di assunzione, al vissuto della decisione di abortire e alle condizioni emotive complessive.

E' vero che la RU486 ha provocato alcuni decessi nel mondo?

Innanzitutto va detto che fra i decessi sinora registrati ci sono anche uomini, perché questo farmaco può avere anche molte altre indicazioni, per esempio, come sopra accennato, nel morbo di Cushing che non risponda alle terapie convenzionali. Andando a bloccare i recettori per il progesterone, potrebbe inoltre svolgere un’azione anti-neoplastica in alcuni tumori progesterone-dipendenti, per esempio della mammella. Quando si citano questi dati, quindi, bisogna essere molto cauti e documentati.

In ogni caso, anche quando si considerino correttamente le statistiche disponibili, emerge che sinora non è mai stato dimostrato un rapporto diretto di causa-effetto fra l’utilizzo del mifepristone e gli eventi avversi riportati. Questo è un punto molto delicato e molto importante: anche una sola morte sarebbe un evento grave, ma nel caso della RU486 questo rapporto di causalità non è stato dimostrato.

Il farmaco, d’altra parte, è in uso da vent’anni nella maggior parte dei Paesi del mondo e i dati della sorveglianza dopo l’immissione sul mercato (“post marketing surveillance”) sono estremamente rassicuranti. Se ci fossero stati problemi seri il prodotto sarebbe stato ritirato dal commercio, come è avvenuto anche recentemente nel caso di altri farmaci, per esempio di alcuni antinfiammatori.

Quindi è una tecnica sicura?

Le evidenze finora raccolte consentono di dire che sì, è sicura. Basti pensare che è stata sinora utilizzata da oltre seicentomila donne in Europa e da tre milioni in Cina.

Qual è la posizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)?

Dopo l’esame di tutti i benefici e vista la modestia degli effetti avversi segnalati, questo ente di grande autorevolezza ha incluso l’RU486 e il misoprostolo tra i farmaci essenziali!

Un argomento nettamente a favore dell’RU486 è che questo farmaco maneggevole permette di ridurre la piaga degli aborti clandestini, e delle morti da essi causate. L’OMS calcola che ogni anno nel mondo muoiano di aborto clandestino oltre 68.000 donne!

Se un farmaco efficace e ben tollerato, prescritto nei termini di legge, può evitare i rischi e le morti per aborto clandestino, perché contrastarne l’uso?

Passando alla situazione italiana, le modalità di prescrizione individuate dall'AIFA sono corrette?

Visto il clima che si respira in Italia rispetto a questo tema, è saggio che l’RU486 venga somministrata in ambiente ospedaliero, ma con l’assoluta libertà della donna di tornare a casa fra l’assunzione del mifepristone e quella successiva del misoprostolo, e la possibilità del medico di seguirla qualora si verifichino quegli eventi che possono complicare anche un aborto spontaneo.

La misura, assolutamente atipica per una prescrizione farmacologia, che obbliga al ricovero determina invece una situazione paradossale, perché il ricovero coatto in Italia è previsto solo in casi psichiatrici. Inoltre, qualora la donna decidesse di firmare la cartella e uscire, assumendosi così la responsabilità di ciò che succederà, i medici non avrebbero più l’obbligo di seguirla.

La cosa più saggia sarebbe quindi la prescrizione in ambito ospedaliero, con la libertà della donna di andare tranquillamente a casa, tornando in ospedale per i controlli programmati e con la possibilità di consultare il medico in qualunque situazione in cui se ne verifichi la necessità. Obbligando la donna al ricovero, invece, si adotta una misura ancora più drastica che nel caso dell’interruzione chirurgica, il che non ha senso visto che stiamo parlando di un farmaco che ha una minore aggressività e invasività di un intervento operatorio.

Ma il ricovero obbligatorio non ha proprio alcun vantaggio?

Qual è il vantaggio di usare un farmaco che comporta tre giorni di ricovero contro mezza giornata? Per la donna, di sicuro, nessuno, anzi notevoli problemi: di tempo, di organizzazione familiare e di riservatezza, oltre che emotivi. Un’attesa in ospedale finalizzata solo ad aspettare che ci sia l’espulsione spontanea dell’embrione, e quindi l’aborto, logora probabilmente di più di un rapido raschiamento.

Per il servizio pubblico, ci sono problemi in più di organizzazione (per la prolungata degenza che richiede nuovi posti letto e per il personale addetto) ma anche, e non trascurabili, di costi: basti pensare che l’intervento per l’interruzione volontaria di gravidanza, fatto con il raschiamento, costa al sistema sanitario circa 1200 euro. Il farmaco ne costa solo 40. Ma il costo dell’aborto con il farmaco torna a salire di nuovo a 1200 euro se si obbliga la donna a tre giorni di ricovero! Un non senso, anche dal punto di vista della sanità pubblica.

In tutti gli altri Paesi in cui è in uso da anni, il farmaco viene somministrato in day hospital: poi la donna va a casa e viene successivamente monitorata con una semplice ecografia, per documentare che l’espulsione stessa sia stata completa. I tre giorni potrebbero essere al massimo “raccomandati”, ma la donna deve rimanere libera di assumere il farmaco, firmare la liberatoria e andarsene a casa, venendo seguita dai medici in caso di necessità.

Quali sono le alternative all'aborto farmacologico?

In Italia esistono solo due altri metodi autorizzati per l’interruzione volontaria di gravidanza, entrambi chirurgici: l’aspirazione (o “metodo Karman”) e il raschiamento. Entrambi si praticano entro la dodicesima settimana, sempre calcolando dal primo giorno dell’ultima mestruazione.

In che cosa consistono?

Entrambi i tipi di intervento vengono eseguiti in day-hospital (il ricovero è previsto solo in caso di complicazioni post-intervento), in anestesia generale o locale. Dopo aver dilatato l’utero con appositi strumenti o con la somministrazione di prostaglandine, nell’aspirazione l’embrione viene letteralmente “aspirato” attraverso una cannula, mentre nel raschiamento viene asportato con una pinza ad anelli e un piccolo cucchiaio fenestrato chiamato “curette”.
Dopo l’intervento, è possibile che la donna accusi dolori più o meno forti e leggere perdite di sangue, che comunque durano non più di 4-5 giorni. Dopo 15 giorni, è fondamentale verificare che tutto sia andato per il verso giusto con un test di gravidanza e un esame del sangue per dosare il beta HCG, che è l’ormone specifico della gravidanza.

Si tratta di interventi rischiosi?

Come ogni operazione chirurgica, anche l’aspirazione e il raschiamento non sono esenti da rischi. Possono infatti provocare infezioni e un’infertilità secondaria, soprattutto in caso di raschiamento. Infatti, se è troppo aggressivo, esso può provocare:
- l’asportazione di una zona eccessiva di endometrio, con possibili problemi di annidamento dell’ovulo nelle gravidanze successive;
- traumi e ferite al collo dell’utero;
- una perforazione d’utero.
Dopo l’intervento, se non rispetta le regole previste (astensione dai rapporti sessuali per almeno 40 giorni, adozione di una particolare igiene intima), la donna può inoltre contrarre una vaginite che, se trascurata, rischia di trasformarsi in una malattia infiammatoria pelvica (PID), spesso responsabile di infertilità. Inoltre:
- l’eliminazione incompleta dei tessuti embrionali può rendere necessaria una seconda operazione;
- le perdite di sangue, se di tipo emorragico, possono portare all’anemia.

Le donne preferiscono l'aborto chimico o quello chirurgico?

Le ricerche scientifiche, condotte in diversi Paesi, su donne che avevano utilizzato l’uno o l’altro metodo, hanno evidenziato una netta preferenza per l’aborto farmacologico!
A livello individuale, poi, c’è chi preferisce l’intervento chirurgico, perché l’anestesia generale (in realtà, una sedazione farmacologica) evita il coinvolgimento diretto durante l’operazione, il decorso post-operatorio è veloce e leggero, ed è necessario andare una sola volta in ospedale. E c’è invece chi, al contrario, desidera evitare l’anestesia e l’intervento chirurgico, e avere un ruolo più attivo in ogni fase del procedimento.

La pillola del giorno dopo è assimilabile alla RU486?

Assolutamente no: si tratta di un farmaco completamente diverso, utilizzato come contraccezione “di emergenza” entro le 72 ore successive a un rapporto sessuale. L’efficacia è massima quanto più l’assunzione è vicina al rapporto a rischio, idealmente entro le 24 ore, in cui agisce nel 95% dei casi. La prescrizione prevede una compressa al più presto dopo il rapporto a rischio, e una dopo 12 ore, oppure due compresse assunte insieme in un’unica dose. L’efficacia si riduce molto quando è assunta oltre questo tempo ideale. Il principio attivo è il “levonorgestrel“, un progestinico, presente anche in molte pillole contraccettive, impiegato però in un dosaggio circa 20-30 volte maggiore (750 microgrammi).

A differenza della pillola abortiva, la pillola del giorno dopo ha lo scopo di prevenire la gravidanza, in caso di rapporto sessuale non protetto o di mancato funzionamento di un metodo anticoncezionale come il profilattico, bloccando l’ovulazione. Questo è il meccanismo d’azione più probabile, cui si aggiunge la possibile interferenza con il meccanismo della fecondazione.

Molto discussa è invece la possibilità che agisca come abortivo, interferendo con il trasporto e l’annidamento dell’uovo eventualmente fecondato: nel 2005 il Dipartimento di Salute Riproduttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti chiarito che “la contraccezione di emergenza con levonorgestrel ha dimostrato di non avere alcun rilevabile effetto sull’endometrio o sui livelli di progesterone, quando somministrata dopo l’ovulazione”, escludendo quindi un effetto abortivo su un eventuale ovulo fecondato.

Al di là delle polemiche in corso, che cosa prevede la legge 194 riguardo all'aborto farmacologico?

La legge 194 (“Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione di gravidanza”) fu approvata dal Parlamento italiano nel maggio 1978 dopo una durissima battaglia politica. Sottoposta a referendum abrogativo nel 1981, è stata riconfermata dal voto popolare. La legge legalizzò l’aborto (se effettuato entro 90 giorni dal concepimento), fino a quel momento vietato dal Codice Rocco del 1932, ma sottolineando all’art. 1 che “l’interruzione volontaria della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite”.

In relazione alle recenti polemiche sulla RU486, è importante ricordare che proprio la legge 194 prevede la possibilità che l’intervento di interruzione volontaria di gravidanza sia chirurgico o farmacologico.

L’iter nei due casi è sostanzialmente identico: la donna deve rivolgersi al medico chiedendo l’interruzione volontaria di gravidanza. Dopo il colloquio, se sussistono le condizioni previste dalla legge 194, il medico compilerà il certificato con la richiesta di interruzione volontaria di gravidanza prevista dalla legge. La donna si sottoporrà a un’ecografia ginecologica (transvaginale) e a una visita di controllo che accerti l’assenza di controindicazioni al trattamento, e firmerà il modulo di consenso informato sui meccanismi e gli effetti del trattamento stesso. Trascorsi sette giorni di “riflessione” (a meno che non sussistano “gravi motivi di urgenza”), la donna può presentarsi in ospedale.

Detto questo, resta vero che l’obiettivo comune di laici e cattolici dovrebbe essere quello di ridurre a zero gli aborti, farmacologici o chirurgici, e che per raggiungere questo obiettivo, l’unico metodo veramente valido (castità a parte) è la contraccezione ormonale preventiva: pillola, cerotto o anello vaginale, o spirale intrauterina. Inoltre, al di fuori della coppia stabile e fedele, è sempre necessario anche il profilattico per evitare le malattie sessualmente trasmesse.

In conclusione: è vero che con la RU486 si minimizza la scelta dell'aborto?

Utilizzando questo farmaco non si cancella il dramma della scelta, dal punto di vista etico ed emotivo, anche per le donne laiche, perché la decisione di un aborto è sempre una scelta pesante, in grado di segnare tutta la vita.

Considero un aborto sempre un dramma che, personalmente, mi motiva a muovermi enormemente sul fronte della prevenzione, con una contraccezione rigorosa, perché ogni bambino che nasce sia un bambino desiderato.

Parole chiave:
Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) Pillola abortiva - RU486 Pillola del giorno dopo

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