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Donne e fumo: tutti i rischi per la salute - 3: Rischio cardiovascolare

16/12/2014

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Fumo, cuore e pillola: come interagiscono?

La pillola non aumenta il rischio di infarto se non marginalmente (1.1 volte). Il fumo – da solo – aumenta invece il rischio di infarto di ben 8.9 volte, rispetto alla non fumatrice. E se la donna, oltre a fumare, assume anche la pillola, il rischio aumenta di 30 volte!
Il rischio di ictus aumenta invece da 3,6 a 7,2 volte nelle donne fumatrici che assumano la pillola.
Il fumo aumenta infine di 8 volte il rischio di trombosi in una donna che prenda la pillola, rispetto alla donna che non fuma.

E' vero che il fumo può favorire l'aneurisma e la rottura dell'aorta addominale?

Sì. Uno studio pubblicato sul British Medical Journal (Lederle et al 2008) indica che le donne che fumano sono esposte al rischio di aneurisma dell’aorta addominale otto volte di più delle donne che non hanno mai fumato.
L’aneurisma consiste in una dilatazione della parte discendente dell’aorta, conseguente ad aterosclerosi, e ha come principale complicazione la rottura del vaso sanguigno. Si tratta di un disturbo asintomatico e con un tasso di mortalità che si aggira tra il 75 e l’80%. Negli Stati Uniti provoca circa 15.000 morti l’anno, di cui il 40% è costituito da donne.
Lo studio coordinato da Frank Lederle è stato condotto per quasi otto anni su più di 161 mila donne in stato postmenopausale, tra i 50 e i 79 anni, reclutate in 40 ospedali statunitensi attraverso il progetto “Women's Health Initiative”.
Il risultato, come dicevamo, è che le fumatrici sono esposte al rischio di aneurisma otto volte di più delle donne che non hanno mai fumato.
All’inizio del lavoro, 301 donne avevano già avuto un aneurisma aortico. Durante il follow up, si sono verificati altri 184 eventi, 18 dei quali in donne già precedentemente colpite dal disturbo. In tutto, quindi, sono state studiate 467 donne (0,3% del campione) con aneurisma aortico verificatosi prima o durante lo studio.
I 184 casi di aneurisma verificatisi durante lo studio hanno mostrato una forte correlazione con l’età e il fumo. In particolare, al rischio contribuiscono sia la durata della dipendenza, sia la quantità giornaliera di sigarette.
Sono emerse inoltre queste correlazioni:
- il rischio aumenta ulteriormente nelle donne alte di statura, affette da ipertensione, sottoposte a trattamento per l’abbassamento del colesterolo, e con disturbi coronarici e delle arterie periferiche;
- il rischio è più basso nelle donne affette da diabete, un dato già emerso in precedenti ricerche sugli uomini;
- il rischio sembra ridursi anche nelle donne sottoposte a terapia ormonale sostitutiva.
Smettere di fumare, fare movimento fisico quotidiano (per esempio, un’ora di passeggiata a passo vivace, ogni giorno) e sottoporsi periodicamente ai necessari controlli medici è dunque indispensabile per ridurre la probabilità di questo pericolosissimo evento cardiocircolatorio (Dua e Dalman 2009).

Il fumo, da solo, è pericoloso dal punto di vista cardiovascolare anche nelle giovanissime?

Sì. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Stroke da V.M. Bath e collaboratori (Bhat et al 2008) ha dimostrato che il rischio di ictus aumenta con il numero di sigarette fumate, anche nelle giovanissime. In particolare, le giovani fumatrici hanno un rischio più che doppio di ictus rispetto alle coetanee che non fumano. Il rischio, inoltre, cresce con il numero di sigarette fumate al giorno, aumentando di oltre 4 volte oltre le 20 sigarette e addirittura di 9 volte oltre le 40 sigarette.

Che differenza di rischio c'è se si fumano solo poche sigarette al giorno? Le sigarette light fanno meno male?

Il rischio è proporzionale al dosaggio: non esiste quindi una dose “sicura”. I dati sulle light non sono conclusivi per una reale maggiore innocuità.

I danni del fumo hanno anche un impatto sui costi della sanità?

Certamente, e non solo nei Paesi occidentali. Un recente studio condotto nella Cina rurale sugli effetti del fumo passivo tra 12.397 non fumatori (Yao et al 2014) ha calcolato che il costo annuo dell’assistenza medica resa necessaria dall’esposizione al fumo è stato nel 2011 di 1.171 miliardi di dollari, di cui 294.3 milioni per gli uomini e ben 877.1 milioni per le donne. Le patologie cardiache sono quelle che incidono maggiormente su questo drammatico bilancio, che è pari allo 0.3% della spesa sanitaria totale.

Quali sono i consigli del ginecologo sui metodi più efficaci per smettere di fumare?

I metodi antifumo che hanno dimostrato di funzionare sono:
- terapia farmacologica con bupropione (Ziban): un antidepressivo che ha anche il pregio di rispettare il desiderio e la sessualità;
- terapia nicotinica sostitutiva (TNS), con cerotti che aiutano a ridurre gradualmente la dipendenza fisica, allentando in parallelo il bisogno della “liturgia” comportamentale (prendere la sigaretta, guardarla, accenderla, spegnere il cerino, aspirare, contemplare il fumo, restare soprappensiero, eliminare la cenere, spegnere il mozzicone, eccetera);
- terapia combinata (farmacologica con il bupropione e nicotinica sostitutiva);
- terapia con clonidina, un vecchio antidepressivo che ha dimostrato di facilitare la disassuefazione dal fumo;
- training medici/infermieri: se ogni medico o infermiere parlasse chiaramente con ogni paziente fumatore, spiegando i molteplici problemi di salute causati dal fumo, il numero dei fumatori si dimezzerebbe;
- terapia comportamentale di gruppo: aiuta efficacemente chi abbia deciso di fumare, sfruttando i principi del self-help corale;
- interventi sulla comunità: come la legge antifumo ha dimostrato, le misure – anche punitive – possono essere efficaci, sia nel proteggere i non fumatori dai danni del fumo passivo, sia nel ridurre di fatto anche il numero dei fumatori attivi;
- interventi sul posto di lavoro;
- programmi personalizzati di terapia.
Non c’è invece un’evidenza scientifica conclusiva sull’efficacia di agopuntura, ipnosi, tecniche comportamentali di avversione al fumo, counselling telefonico o ansiolitici.

Qual è l'impatto delle campagne di informazione sui pericoli del fumo?

Secondo uno studio condotto dallo statunitense Center for Disease Control and Prevention (CDC), nel periodo 2005-2009 l’incidenza del cancro al polmone si è ridotta fra gli uomini di ogni età, ad eccezione del gruppo di età inferiore ai 35 anni, e fra le donne di età compresa fra i 35 e i 44 anni, e i 54 e i 64 anni (Henley et al 2014). Questa forma di cancro, inoltre, si è ridotta più rapidamente fra gli uomini che fra le donne, e fra gli adulti di età compresa fra i 35 e i 44 anni. Questi dati, se da un lato confermano la vulnerabilità delle donne al fumo e alle sue tragiche conseguenze, dall’altro testimoniano come assidue e coordinate campagne di informazione possano obiettivamente ridurre il fumo e i rischi ad esso correlati.
L’informazione, naturalmente, è tanto più efficace quanto più è precoce. Uno studio condotto su 618 ragazze canadesi non fumatrici, di età compresa fra i 13 e i 15 anni, ha dimostrato che brevi messaggi veicolati via web, mirati alla salute femminile, sul rischio di tumore associato al fumo, aumentano la consapevolezza che il cancro al seno è una malattia causata dal fumo e che anche l’esposizione al fumo passivo aumenta il rischio di ammalarsi (Schwartz et al 2014; Richardson et al 2013).
Altri studi evidenziano come i fumatori che si ammalano di cancro abbiano una maggiore probabilità di smettere se consigliati in questo senso dai loro medici. Eppure l’informazione medico-paziente è ancora carente: uno studio condotto fra il 2008 e il 2010 su 438 fumatori ammalati di cancro al polmone, ha dimostrato come solo il 36% di essi abbia ricevuto un’adeguata consulenza sull’opportunità di smettere. Inoltre, i pazienti al primo stadio hanno una maggiore probabilità di essere correttamente consigliati rispetto a quelli al quarto stadio: come se la gravità della patologia scoraggiasse il medico rispetto alla necessità di trasmettere messaggi chiari e convincenti (Hildebrand e Sastry 2013).

Conclusioni

Nella loro analisi sulle terapie anti-fumo, le “2008 Clinical Practice Guideline” del Public Health Service statunitense concludevano che è arduo trovare un’altra situazione socio-sanitaria caratterizzata da un tale mix di pericolosità, prevalenza e trascuratezza, e questo nonostante le molteplici campagne di informazione e la disponibilità di cure efficaci (McAfee et al 2014).
Eliminare il fumo dalla vita delle donne significa superare anche l’idea che parità, o emancipazione, significhi imitare l’autodistruttività che percorre il mondo di molti uomini. E poi, come dice Lorenzo Spaggiari, brillante chirurgo, Direttore della Divisione di Chirurgia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO): «Chi fuma non è più bello, più intelligente o più trendy. E’ solo più malato».

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Apparato e patologie cardiovascolari Fumo Ictus Pillola contraccettiva Rapporto medico-paziente Trombosi e rischio tromboembolico

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