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Parto: quanti rischi evitabili

30/08/2010

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Il parto è sempre un’incognita. Anche la gravidanza più fisiologica può complicarsi improvvisamente, specialmente durante il travaglio e il periodo espulsivo: per un distacco di placenta, per giri di cordone, per una malrotazione del bambino, per un’emorragia improvvisa, per una decelerazione del battito.
“Obstare”, da cui ostetricia, vuol dire – per il ginecologo e l’ostetrica – stare vicino alla donna, osservare, seguire la registrazione del battito effettuata col cardiotocografo, ascoltare il battito direttamente durante il periodo espulsivo, stare pronti, attenti, non aprioristicamente interventisti ma rapidi ad agire coscienziosamente ed efficacemente in pochissimi minuti quando l’emergenza si presenta. Significa essere una presenza solida e affidabile in sala parto, per ridurre l’ansia che ogni donna ha al momento di partorire e per darle la sicurezza che il suo bambino nascerà integro, con tutte le potenzialità che aveva al momento del concepimento. Perché lei possa vivere quel parto come un’esperienza unica e bellissima, da ricordare con gioia, con il dolore stemperato e rapidamente dimenticato perché tutto è avvenuto seguendo la musica del suo corpo e la saggezza di un’assistenza di qualità, sul fronte medico e umano.
Tutto questo è un’utopia? No. Ci sono in Italia ottimi ospedali, con ginecologi attenti e ostetriche di qualità. Ma ci sono anche reparti da cui è meglio fuggire prima di entrarci, perché il parto rischia di coagulare tutti i disastri che malasanità in generale e pessima condotta personale possono scatenare. E’ quello che è avvenuto a Messina, ancora una volta al Sud. In quella parte d’Italia in cui la spesa sanitaria è molto più alta che al Nord, in cui la sanità privata va a mille. Stavolta è la ginecologia di Messina a far pagare a una donna, a un bambino, a un padre, a un’intera famiglia, le conseguenze di comportamenti inqualificabili. Un taglio cesareo in ritardo, pare per una lite tra medici su chi dovesse operare la donna: il bambino ha avuto due arresti cardiaci e un’altissima probabilità di restare cerebroleso. E la donna, ora in gravissime condizioni, ha comunque perso l’utero e altri figli non li potrà più avere: entrambi hanno quindi avuto lesioni personali gravissime e irreversibili, fisiche e psichiche.
Si tratta di notizie frequenti, che creano un’ondata di sdegno, purtroppo di sempre minore durata: per quell’assuefazione alle cattive notizie, che non ci toccano da vicino, e che ci crea una sorta di anestesia emotiva, come se invece che di una donna e di un bambino, delle loro vite preziose e del loro diritto a uscire dall’ospedale sani come sono entrati, si stesse parlando di due oggetti senza valore.
Quest’ultimo caso messinese, purtroppo, non è un’eccezione: è l’espressione di una deriva delle norme, anche deontologiche, che ci riguarda tutti; di uno svilimento del senso di responsabilità professionale (tutti possiamo sbagliare, ma è la motivazione dell’errore, e il tipo di errore stesso, che fanno la differenza); di un’impreparazione che viene da lontano: dai voti “politici” all’apertura indiscriminata di Medicina a migliaia di studenti, alle lauree facili, al decadimento del livello di insegnamento universitario, alla mancanza di aggiornamento, all’inerzia del vivere una professione straordinaria – essere un buon medico e un buon ostetrico, in particolare – con indifferenza, con accidia, con protervia, con nichilismo umano e morale; di un’avidità che fa del taglio cesareo non un’opzione chirurgica da valutare con rigore clinico per scegliere il meglio, e tempestivamente, per mamma e bambino, ma un modo per mettersi in tasca altri soldi.
Non bisogna arrendersi a questo stato di cose, come se fossero ineludibili. Bisogna impegnarsi – a livello formativo, etico, organizzativo e politico, nel senso più alto – per ridare qualità ai nostri ospedali, e più sicurezza e umanità ai nostri reparti di ostetricia. Se non altro perché, primo o dopo, in quel reparto può finire una moglie, una figlia, e può nascere un bambino che resterà handicappato per sempre. Un bambino cerebroleso non è un dato statistico: è un frammento di futuro, di speranza, di felicità, di bellezza perduto per sempre. Anche della sua vita lesa per sempre siamo corresponsabili, se non ci impegniamo a cambiare le cose. Non solo punendo in modo esemplare i responsabili di questa tragedia, ma agendo con rigore perché davvero non si ripeta più.

Parto vaginale / Parto cesareo Rapporto medico-paziente

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