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Viaggiare: le ragioni di un bisogno e di una passione

07/08/2017

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Estate: tempo di viaggi. Perché scegliamo il viaggio, tra i tanti modi di vivere una vacanza? Una riflessione sulle nostre motivazioni profonde, consce e inconsce, può aiutarci a fare del prossimo viaggio un’esperienza molto più gratificante e memorabile. Ci aiuta in questo percorso un bel libro: “Parole in cammino” di Sabino Chialà (Edizioni Qiqajon), scritto con grazia e rara profondità di lettura su un’esperienza universale: il viaggiare, appunto.
E’ un mosaico di poesie di viaggio, degli autori più vari, riunite da uno sguardo sensibile e maieutico. Un libro che stimola a leggere dentro di noi il personalissimo “perché” dell’universale bisogno di dare un senso al proprio muoversi. Da viaggiatrice appassionata e instancabile, ho trovato in questo libro dalla scrittura leggera un piacere sottile e risonante, perfetto per accompagnare questo viaggio, stavolta in Irlanda. Paese in cui torno periodicamente, perché sussurra al mio cuore e lo acquieta, avvolgendolo di verde silenzioso, di energia pura a cavallo, di contemplativi silenzi e di vibrante bellezza, tra rapidi scrosci di pioggia e inattesi raggi di sole. L’istinto di viaggiare è connaturato alla natura dell’uomo, nato nomade. E’ il nostro intimo che ci agita, che ci esorta e urge a metterci in viaggio. In alcuni periodi della vita, come l’adolescenza o la transizione della mezza età, in modo ancora più impellente, quasi per rispondere viaggiando a un’inquietudine cui non sempre riusciamo a dare un nome.
Scrive Chialà: «Viscere impazienti e incapaci di stasi [scil. il nostro cervello viscerale] generano dunque esseri irrequieti, la cui fatica di tutta una vita sarà quella di disciplinare il proprio moto, di orientarlo, di dargli un senso, (…) di farlo apparire ragionevole. La fatica sarà di rendere via ciò che sembra precipizio; cammino ciò che è tentato dal vuoto; itinerante colui che spesso si scopre errante. Vano, oltre che insensato, è dunque il tentativo di arrestare l’inarrestabile». E infatti viaggio molto, con gusto e gioia. «Ciò non sarebbe che morte, unica vera assenza di movimento. E potrebbe condurre anche alla patologia del falso viaggio e dei suoi surrogati mortiferi. Le droghe, in fondo, cosa altro sono se non “veicoli per gente che ha dimenticato come si cammina”, come scrive un altro saggio, Predrag Matvejevic?». «Camminare è vivere, assecondare l’impulso vitale e accettare di farsene compagno. Rifiutare questa compagnia significa entrare nella patologia degli itinerari alternativi, surrogati del camminare. Il saggio dunque non tenterà di fermarsi, bensì di dare, con il viaggio, una forma all’irrequietezza umana».
Con chi viaggiare? Se il viaggio è (anche o soprattutto) esplorazione di sé e della propria ragione di essere nel mondo, risultano meno utili i viaggi di gruppo. Ha senso il viaggio in coppia, quando è anche esplorazione della verità dell’altro, fuori dal contesto quotidiano. E’ bello, e può lasciare ricordi struggenti e indelebili, viaggiare con la famiglia, quando c’è amore e si è ben sintonizzati tra genitori e figli. Magnifico, stimolante ma inusuale, il viaggiare in solitario, che ci apre nel modo più profondo al mondo e agli incontri inattesi. Osservare, ascoltare, sintonizzarsi con le vibrazioni che ci circondano. Si è soli, ma profondamente in compagnia del mondo, con una soddisfazione senza pari, senza disturbi, senza richieste, senza compromessi, senza rinunce inutili e fuori tempo. Una danza indisturbata tra sé e il mondo, con la musica della vita ad accompagnarci lieve.
Dove andare? Di nuovo è l’anima a suggerire, nelle diverse fasi della vita, dove dirigere i nostri passi perché il viaggio sia in sintonia con l’urgenza interiore e il bisogno di senso. Ma il punto, in fondo, non è il dove, ma il lasciare che l’anima dei luoghi ci parli. Come? Ascoltando. Ascoltando le atmosfere. E le persone. Facendo tesoro degli incontri. «L’incontro è pieno quando si torna con il ricordo di qualcuno che ha narrato qualcosa, quando ci si è realmente fermati ad ascoltare chi aveva qualcosa da raccontare». Per esempio, l’autista del taxi il cui padre è morto pochi giorni fa, a novant’anni, in questo piccolo paese dell’Ulster, circondato dall’amore della sua grande famiglia, mi ha regalato commosso uno sguardo intenso su una dimensione affettuosissima e pacificata del morire a casa, che in molti abbiamo dimenticato.
Mi piace concludere con due versi del grande mistico persiano, Jalāl al-Dīn Rūmī, citati da Chialà:
«Partì la goccia / dalla patria, e tornò / trovò la conchiglia / e divenne una perla. / O uomo! Viaggia / da te stesso in te stesso, / ché da simile viaggio / la terra diventa purissimo oro».
Auguri a tutti per un’estate felice!

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