E’ una manifestazione internazionale di musica, arte, spettacolo e cultura, capace di stimolare risonanze e riflessioni, grazie a un fermento speciale e vivo, la bellezza creativa. Il primo festival esordì il 5 giugno 1958, pensato da Gian Carlo Menotti, musicista e compositore, genio visionario e generoso. L’esordio fu emozionante, con il Macbeth diretto da Luchino Visconti. Quest’anno, due spettacoli mi hanno colpito per bellezza e ispirazione. Il primo è “Didone et Enée”, Didone e Enea, di Blanca Li, audace regista e coreografa spagnola. Una storia antica e moderna, paradigma dell’amore infelice. La freschezza dell’innamoramento, la gioia dell’amore corrisposto e la potenza della passione s’intrecciano al veleno del lato cupo dell’amore, alla delusione e al disincanto, distruttivo e feroce. Fino all’emergere delle parti più oscure del sentimento amoroso, con balletti di rara potenza espressiva sulla suggestiva musica barocca di Henry Purcell.
Già dalle prime note si entra in un altro mondo, riaprendo porte socchiuse nei sotterranei dell’anima. E’ questo il fascino dell’arte che sa far vibrare il cuore.
In pochi secondi, emozioni, incanti adolescenti e riflessioni mature punteggiano lo sguardo sedotto dalla potenza plastica dei gesti e dall’originalità delle soluzioni espressive, dialogando con i ricordi letterari della potente narrazione virgiliana. I ballerini scivolano sull’acqua versata sulla scena, in composizioni plastiche e vibranti di energia e suggestioni, che fanno da contrappunto alla musica struggente di Purcell. Con un crescendo sorprendente, fino a comporre una barca che si allontana sul mare della vita e dell’abbandono, puri corpi vibranti nella notte dell’anima, lasciando Didone alla disperazione senza luce che la porterà al suicidio.Il tuffo nella bellezza è ancora più sorprendente se il giorno è dedicato a visitare e riscoprire gli splendidi tesori d’arte che piccoli borghi ben preservati regalano. Riassaporare la cappella del Pinturicchio a Spello, e i dipinti del Perugino a Trevi, passeggiando fra piccoli borghi-gioiello, accende antichi motivi di gioia, con altri ricordi ed emozioni. Mentre cresce la gratitudine a quegli insegnanti di Storia dell’Arte, oltre ai miei familiari, che hanno educato il mio sguardo al saper assaporare in profondità la bellezza della pittura, della scultura, dell’architettura.
Cresce tuttavia un dolore vivo: nell’abisso di ignoranza che sta travolgendo la scuola italiana, stiamo privando un’intera generazione del linguaggio della bellezza creativa e del suo codice interpretativo che può illuminare di gioia la vita in tutte le sue stagioni.
E’ in caduta libera l’attenzione alla nostra splendida tradizione artistica, l’educazione allo studio del bello, che è anche educazione della sensibilità, dei sentimenti, della mente e del cuore. Un antidoto potente ed efficace al dolore e alla fatica del vivere. Una perdita educativa di cui nessuno sembra preoccuparsi ed occuparsi. Che cos’è la conoscenza tecnica senza spirito, senza educazione a saper assaporare e riflettere, per esistere con più senso? L’abbandono degli studi classici e il degrado vertiginoso della nostra scuola dovrebbero stimolare genitori e insegnanti a prendere le contromisure, anche a livello individuale, per continuare ad educare alla cultura e all’etica della bellezza, con stimoli diversi.“The great yes, the great no”, il grande sì, il grande no, di William Kentridge, è l’altro spettacolo vibrante di emozioni che meriterebbe far vedere anche ai nostri ragazzi. Per sorprenderli. Per incantarli. Per farli pensare. Racconta il viaggio della nave mercantile Capitaine Paul Lemerle, salpata da Marsiglia verso la Martinica nel marzo del 1941, con viaggiatori singolari. Il loro canto s’intreccia al coro di sette voci di vertiginosa bellezza espressiva, che intervengono dopo il viaggio, dopo la guerra, dopo la tempesta, dopo il declino, come un antico coro greco, per raccogliere i pezzi e tentare di ricostruire dopo la rovina. La scenografia suggestiva e ipnotica evoca risonanze inattese sul senso della vita. Il mondo sta cedendo. I morti rispondono all’appello. Le donne raccolgono i frammenti. E il capitano, moderno Caronte, traghettatore di morti, ci interroga, spietato e distaccato. Quanti di noi educano ancora i figli ad assaporare la bellezza dell’arte che ci illumina, ci interroga e ci cura?