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Strategie elettorali

22/09/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Campagne elettorali? Tutti a scuola dai repubblicani statunitensi. Sornioni, hanno tenuto un profilo basso e risparmiato energie, finché Obama e Hillary si sono mediaticamente e politicamente scannati per un anno. Poi, in tre settimane secche, hanno messo a segno due goal così clamorosi da meritarsi il Golden Globe della comunicazione strategica. Uno d’immagine, l’altro di pragmatica sostanza. Il primo, la nomina a sorpresa di Sarah Palin, al ruolo di vicepresidente di John McCain. Una donna così sconosciuta che i commentatori politici non sapevano neppure come si pronunciasse bene il suo cognome. Eppure la mossa, in termini mediatici, tattici e strategici, è stata strepitosa. La signora, bella e bianca, telegenica e sicura di sé, calma e serafica nella sua incompetenza, ha conquistato le copertine del mondo. Scatenando appassionati entusiasmi e altrettanto appassionate critiche, “she has stolen the thunder”: ha “rubato il tuono”. Con la sua uscita ha subito tolto tutto il clamore e l’attenzione dalla convention democratica, di cui nessuno ha parlato più. Goal. In quel momento Obama ha perso il suo momentum, quello stato di grazia che da gennaio lo aveva illuminato portandolo a vincere le primarie democratiche contro la panzer Hillary, preparata più di lui, sostenuta quanto lui, ma infinitamente più rigida, legnosa e strategicamente mal consigliata.
I repubblicani hanno così ripetuto il colpo prestigioso già fatto con Condoleeza Rice, prima donna afroamericana a ricoprire un incarico di governo prestigiosissimo, mostrando, quando serve, di non avere pregiudizi né di genere né di razza. Peraltro, scegliendo allora la Rice, con il plus non trascurabile, rispetto alla Palin, di un curriculum professionale impeccabile. Ma tant’è. Obama, con un’impennata di narcisismo, ma anche di paura, aveva rifiutato Hillary come vice? E si è scelto un uomo grigio, ancorché esperto di politica, come Joe Biden? “Perfetto”, hanno pensato gli strateghi repubblicani. Voi fate fuori una candidata bianca? E noi come possibile vicepresidente vi piazziamo una donna bianca, più bella e più giovane, che piacerà alla classe media e, soprattutto, a quel gruppo di irriducibili fondamentalisti ultrareligiosi e ultraconservatori che dobbiamo assolutamente conquistare. E’ sposata, con cinque figli e un bel marito, telegenico pure lui. Ha una figlia adolescente incinta, esibita sui media anche lei: male, malissimo. Ma alla famiglia media americana, che ha un’alta probabilità di avere una figlia adolescente incinta, l’identificazione suona consolante: 435.000 adolescenti con gravidanza indesiderata all’anno sono un’emergenza nazionale, e anche la candidata vicepresidente Palin sa cosa vuol dire. Purtroppo questo non cambia né il destino di queste ragazze e dei loro figli, che in gran parte vivono in situazioni socioeconomiche infinitamente più disagiate, né aumenta la capacità politica della signora. In più Sarah Palin ha un bimbo Down, l’ultimo, accettato sapendo già il suo problema grazie alla diagnosi prenatale. Una dimostrazione di coerenza con il suo credo sulla vita, onestamente non facile, e che merita grande rispetto. Sentirla dire “Che cos’è un bambino perfetto? Che cosa è perfetto, oggi? Per me il mio bambino è bellissimo” ha commosso mezza America e sicuramente tutte le donne che hanno avuto un bambino imperfetto.
Come conciliare però questa sua prova di coraggio etico con la sua difesa del porto d’armi, che legittima la possibilità di uccidere un individuo adulto, seppur per difesa? La signora non sembra cogliere che questa scelta va in rotta di collisione con la sua difesa dell’embrione e della vita. E che è difficile da conciliare anche con la sua casa piena di trofei, visto che a caccia ci va volentieri. L’incoerenza non conta se si ha un talento naturale mediatico. E la signora ce l’ha. Pazienza se Sarah Palin ha pochissima esperienza, se di politica estera non capisce nulla, se ha incoerenze ideologiche grossolane: l’immagine premia in una società in cui l’apparire conta più dell’essere. Per molte donne, e molti uomini, Sarah è già un’indossatrice di sogni nazionali. Perché incarna un modello antico di donna della frontiera, ancorché dell’estremo nord: solida, tenace, calma, combattiva, fertilissima, e pure capace di sparare. E poi, se il duo McCain-Palin vince, qualcuno la consiglierà. Amen. Questo avranno certo pensato gli strateghi repubblicani, che la signora l’hanno studiata, e probabilmente preparata a lungo, prima dell’uscita ufficiale.
Il secondo colpo, pragmaticamente sostanziale, lo ha fatto Bush, o meglio i suoi strateghi ombra, consigliandogli proprio ora il massiccio intervento anticrisi, con settecento (o mille) miliardi di dollari per salvare l’economia americana, e forse mondiale, da un crack che si presenta inquietante come un altro ’29. Certo, quei soldi peseranno sui contribuenti. La crisi economica non corretta, tuttavia, peserebbe molto di più. L’economia USA era in crisi da tempo. Il dollaro, già debole da anni, continua la sua caduta da molti mesi. Ma solo ora, a meno di due mesi dalle elezioni di novembre, seppure in coincidenza con alcuni crack più vistosi, i repubblicani hanno deciso di intervenire con un piano statale che non si ricordava. McCain, con la mossa d’immagine chiamata Palin, aveva già superato Obama. Ora, questo secondo goal ridà fiducia pragmatica ad un partito che aveva perso credito e smalto, ma che nei momenti cruciali mostra di saper fare le mosse che ridanno fiducia al Paese, e quindi all’elettorato. In questo momento Obama è in angolo, Joe Biden non si vede e non si sente: sarà anche molto preparato, il che nella sostanza è senz’altro importante, ma ha carisma zero.
E allora? Bisogna riconoscere che sul senso tattico e strategico delle campagne elettorali i repubblicani sono quasi insuperabili. Capaci di vincere, anche nel recente passato, nonostante i limiti del candidato Bush, grazie a una regìa elettorale e mediatica strepitosa. Con un macchina da guerra così oliata e funzionante da essere passata in toto dal quartier generale di Bush, che otto anni fa aveva sconfitto McCain, a sostenere oggi quest’ultimo, perché la vittoria del Partito è ovviamente più importante di tutto per i poteri e le lobby che lo sostengono e se ne alimentano. I democratici, dopo mesi baldanzosi, sono in affanno proprio in vista del rush finale. Negli USA, come da noi, mostrano gli stessi difetti temperamentali, le stesse vulnerabilità, gli stessi conflitti interni, gli stessi narcisismi. E se Obama non avrà rapidamente la capacità di rilanciare il suo carisma, difficilmente riuscirà a vincere le elezioni, nonostante la partenza scintillante di gennaio. Anche la gestione del momentum richiede un’accortissima strategia.

Politica

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