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Solitudine: il sottile veleno che aumenta depressione e Alzheimer

Solitudine: il sottile veleno che aumenta depressione e Alzheimer
03/10/2023

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Faccio l’infermiera con amore, da tanti anni. Osservando gli anziani di cui mi prendo cura nel reparto di geriatria dove lavoro, ho notato come depressione e difficoltà a ricordare, a ragionare, a sorridere, siano molto aumentate in questi ultimi anni. Meno parenti li vengono a trovare, ancora meno d’estate, più questa solitudine li distrugge, anche se sono ben seguiti dal punto di vista medico. Credo che bisognerebbe fare molto di più sul fronte affettivo, che per me è la prima medicina. Ho visto che lei è molto attenta ai rivolti emotivi della salute e delle malattie. Le chiedo: c’è una spiegazione scientifica che aiuti a capire il rapporto tra solitudine e invecchiamento accelerato del cervello? Che cosa bisognerebbe fare per prevenire questo decadimento? Grazie mille».
Maria Rita C.
Gentile Maria Rita, le sue osservazioni, fatte con attenzione e dedizione ai suoi malati, sono acute e pertinenti. Sono profondamente vere. E destano anche molta amarezza, ancor più per il silenzio estivo delle visite e degli affetti.
Sì, la solitudine genera molti problemi fisici e psichici. E’ davvero il primo fattore di deterioramento cognitivo a tutte le età. In genere diventa più evidente con il passare degli anni, ma può iniziare fin dalla giovinezza. Colpisce a fondo gli anziani, ancor più se in cattive condizioni di salute, per l’effetto sommatorio dell’invecchiamento e dell’infiammazione generale e cerebrale che lo accompagna, un vero micro-incendio biologico che lentamente distrugge le cellule nervose.
La malattia di Alzheimer, con il grave deterioramento cognitivo che l’accompagna, diventa clinicamente rilevante quando è già stato distrutto ben l’80% dei neuroni colinergici. Queste cellule nervose sono così chiamate perché usano l’acetilcolina come neurotrasmettitore, ossia come messaggero principale fra una cellula e l’altra. Il pensiero, la capacità di ricordare, di progettare, di associare, di dare significato a quello che ci accade e di definirlo con parole appropriate, dipendono dall’efficace attività di queste cellule nervose.
Nelle donne poi pesa molto l’aggravante della perdita gli ormoni sessuali – estrogeni e progesterone – a causa della menopausa. A questo va aggiunta la pesante riduzione del testosterone e del deidroepiandrosterone, prodotti da surrene e ovaio, i cui livelli di produzione e di circolazione nel sangue si riducono drasticamente dai vent’anni in poi, con un effetto che dipende quindi dall’età stessa. Senza ormoni sessuali, il cervello è privato dei più pregiati e potenti fattori necessari per la manutenzione e la rigenerazione delle cellule nervose (un processo detto “neurogenesi”).
Accanto a questi fattori biologici generali, la solitudine ha un ruolo particolare nel danneggiare il cervello. Il suo effetto nefasto viene poi accelerato per l’effetto dell’età sui sistemi riparativi dell’organismo.
Quali sono dunque i meccanismi che fanno della solitudine uno dei fattori più potenti – e trascurati – di deterioramento cognitivo negli anziani? Vediamoli insieme, tenendo presente che ogni comportamento umano cambia la biologia e la chimica del cervello. E viceversa: ogni cambiamento della chimica del cervello, per esempio con alimenti, alcol o farmaci, cambia il nostro comportamento.

Solitudine e declino cognitivo: i fattori biologici interni

Il senso di solitudine aumenta la tendenza all’autoreclusione in casa. E’ come avere una palla carceraria al piede, intrisa di depressione, malinconia e difficoltà a percepire un mondo ancora bello fuori di casa, ben prima del ricovero in geriatria o dell’istituzionalizzazione nelle cosiddette residenze per anziani. Pian piano lo sguardo sulla vita viene velato da pesanti lenti nere, causa prima del malfunzionamento del cervello.
Queste lenti nere sono prima di tutto biologiche, chimiche. E’ questo il legame tra solitudine e deterioramento cognitivo! E di cosa sono fatte queste lenti nere? Dipendono dalla mancanza di luce interiore, dovuta alla perdita di speciali e preziose sostanze cliniche nel cervello. La prima di queste sostanze è la dopamina, neurotrasmettitore che governa la voglia di fare, di uscire, di conquistare, di amare. E’ questa la prima luce della voglia di vivere. La seconda è la serotonina, sostanza che nutre il buonumore, la serenità, la capacità di apprezzare le piccole gioie della vita quotidiana, e che ci aiuta ad alzarci al mattino con un sorriso, aperti alla vita. Tutto nel cervello rallenta: è questa la base della depressione, che è la prima figlia della solitudine. Rallentano e inciampano i pensieri, la capacità di progettare e proiettarsi nel futuro con piccoli e grandi sogni da realizzare. Il presente diventa una palude in cui affondano pian piano il senso della vita e del proprio ruolo nel mondo. Sempre più smarriti, anche a se stessi. Sempre più soli.
Quando si è soli, inoltre, va a picco l’ossitocina, ormone dell’amore e della sicurezza affettiva, che aumenta la capacità di affrontare le sfide della vita. Aumenta e resta alto il cortisolo, l’ormone dell’emergenza, che diventa allora serio nemico della salute. Il cervello della persona sola è come una città progressivamente disabitata e abbandonata. Ogni neurone inutilizzato è come una casa che va in malora.
L’ossitocina sale e ci fa sentire amati. Allontana così il senso tragico di solitudine, quando abbracciamo o accarezziamo con un sorriso una persona cara: un figlio, un nipotino, un’amica affezionata. E’ l’ossitocina, figlia dell’affetto e dell’amore sincero, il primo e più potente scudo contro la solitudine e i suoi effetti nefasti. E’ il primo farmaco contro il deterioramento cognitivo. Per questo ha proprio ragione, gentile Maria Rita, quando scrive che l’affetto è la “prima medicina”.

Solitudine e declino cognitivo: i fattori biologici esterni

- Gli alimenti dolci e grassi, a torto usati come fonte di “conforto”, e l’alcol, peggiorano il danno alle cellule nervose, non solo del sistema nervoso centrale, ma anche del cervello viscerale, che stiamo imparando a conoscere sempre meglio (Box 1). Aumentano l’infiammazione generale e cerebrale, quel pericoloso micro-incendio, sottile e distruttivo, che demolisce pian piano migliaia di cellule nervose. E questo rende il danno più diffuso e profondo.
- L’autoreclusione in casa e l’ospedalizzazione comportano la perdita dell’esposizione all’alternanza luce naturale-buio naturale. Questa alternanza è fondamentale per gli esseri umani e per tutti gli animali diurni. Per millenni sono stati il sorgere del sole a determinare l’uscita dalle tane, dalle caverne o dalle case, e il tramonto a dare inizio al riposo e al sonno. La perdita di questa danza di luce e oscurità, perché non si esce più a camminare al mattino presto, e perché si passano poi le ore della sera davanti alla televisione o con lo smartphone, ha effetti devastanti sul sonno e sui bioritmi che regolano la salute fisica e psichica. Lo ricordo ancora una volta, perché questo aspetto cardinale dello stare bene non è percepito da gran parte della popolazione, nonostante disturbi del sonno, ansia e depressione, malattie metaboliche, cardiovascolari, muscolari e ossee siano in netto e costante aumento. E nonostante il fatto che questo comportamento virtuoso sia proprio naturale, non costi nulla e possa essere fatto da tutti, indipendentemente dall’età, dal reddito, dalla cultura e dallo stato sociale.
- Senza alternanza luce-buio naturale, senza attività fisica mattutina all’aperto, mancano altri stimoli che da millenni accendono nel cervello la luce della vita. Per esempio, i muscoli che lavorano producono irisina, una miochina preziosa sia per la manutenzione del cervello, sia per la neurogenesi, ossia la nascita di nuove cellule nervose e di migliori connessioni fra loro. I benefici sono diversi a seconda del tipo di attività fisica – aerobica, anaerobica e di resistenza – in bambini, adolescenti, adulti e anziani.
«Mens sana in corpore sano», la mente è sana se il corpo è sano: così dicevano gli Antichi. Con la nostra moderna presunzione stiamo tradendo i presupposti basilari della salute, nella perniciosa illusione che la medicina di precisione o tecnologie sempre più complesse possano sostituirsi ai fondamentali della vita. Una biologia millenaria non si cambia in una o due generazioni, semmai la si peggiora con lo scellerato abbandono dei principi cardinali della vita sana (Box 2).

In sintesi

La salute del nostro cervello dipende dalla genetica, certamente, ma anche da stili di vita sani e da una vita affettiva significativa e stimolante. Di converso, senza stimoli emotivi, senza un saluto gentile, senza conversazioni, senza una risata in compagnia, senza un abbraccio, senza un progetto che animi la giornata, interi quartieri della mente vengono abbandonati. I neuroni, le “case”, perdono i collegamenti, fin dalla giovane età. Le “strade” della mente, la rete di dendriti che collegano fra loro miliardi di neuroni in aree diverse, sono sempre più dissestate, fino a interrompersi. Senza stimoli, i neuroni muoiono. Il flusso di segnali e informazioni che è alla base della memoria, del pensiero associativo, della capacità stessa di pensare, si esaurisce. La demenza diventa clinicamente evidente quando è distrutto la maggioranza dei neuroni, come ho già sottolineato. Per questo è irreversibile. Ma può iniziare decenni prima. Una carezza o un abbraccio desiderati e condivisi, una carezza fatta con la mano, con la voce, con il sorriso, guardandoci negli occhi con tenera attenzione: questi sono i fondamenti affettivi di una vita in salute. E’ questo il nutrimento più prezioso per la fiducia in sé stessi, l’autostima, il senso stesso del nostro valore nel mondo. E’ questo che ci offre un solido ancoraggio alla vita, rinforzando ricordi nitidi, pensieri belli e sogni vivi, ancora da realizzare. Sempre sotto il segno dell’affetto e dell’amore condiviso, nella famiglia e nell’amicizia.
Per mantenere sano il nostro cervello, bisogna quindi contrastare la solitudine, con tanta attività fisica o sport all’aria aperta, fin da bambini, e continuare a imparare, a scoprire, a progettare. Se i neuroni, le case della mente, sono ben abitati, e fanno una manutenzione giornaliera, come tutte le case amate, la vita, il pensiero, la memoria e gli affetti continuano a fiorire, anche nel cervello.

Box 1. L'umore è regolato dal cervello viscerale

La serotonina è la sostanza chimica che regola l’umore: siamo contenti e felici quando i suoi livelli nel sangue e nel cervello, ma anche in tanti altri tessuti, sono ottimali; tristi e depressi, quando sono bassi. Il 90% della serotonina è contenuta e prodotta nel cervello viscerale. I suoi livelli sono regolati da molteplici fattori:
- genetici: le persone depresse spesso hanno familiarità per la depressione e sono anche più vulnerabili al deterioramento cognitivo. Stili di vita attivi e ricchi di vita sociale contrastano l’espressione di questi geni e aiutano a mantenere umore e pensieri migliori;
- alimentari: cibi freschi, con prevalenza di verdura, cereali, legumi, frutta fresca o secca con guscio, come noci o mandorle, olio di oliva, acidi grassi essenziali a catena corta, pesce o olio di pesce, ricco di omega 3 e omega 6, yogurt o kefir se non si è intolleranti al lattosio, aiutano anche l’umore e il benessere, grazie alla benefica azione sui miliardi di microrganismi che abitano l’intestino. Questi microrganismi costituiscono il microbiota intestinale e hanno un dialogo strettissimo con la parete dell’intestino, con il sistema immunitario (che ha nei visceri il proprio quartier generale) e con il cervello viscerale. Se ben scelto per qualità e quantità, e integrato con la giusta attività fisica quotidiana, il buon cibo ci aiuta anche a mantenere il peso corporeo ideale, altro grande amico della salute e del buonumore. Evitare l’alcol, o ridurlo a uno, massimo due bicchieri la settimana, è fondamentale, ancor più per le donne;
- legati al microbiota intestinale: se in salute, ossia in condizioni di “eubiosi”, è il primo amico del buonumore. Se alterato da un’alimentazione sciagurata, con cibo spazzatura, grassi, dolci, con alimenti processati e conservati a lungo, ma anche dallo stress prolungato, fisico o emotivo, il microbiota va incontro ad alterazioni progressive, definite “disbiosi”, che contribuiscono al peggioramento dell’umore: per questo l’alimentazione è essenziale per stare bene. Come diceva Ippocrate, il padre della medicina: «Il cibo sia il tuo primo farmaco, e la tua prima medicina sia il cibo».

Box 2. Strategie antisolitudine

1) Uscire di casa al mattino e muoversi a piedi, possibilmente per uno scopo o un progetto da condividere con altri, è la migliore prevenzione del senso di solitudine. Meglio se si fa una camminata ogni mattino, col coniuge o un’amica o un amico, conversando e osservando bene tutto il bello che ci circonda: dal sole al cielo, ai giardini in fiore, per benedire la vita che ancora abbiamo e preservarla con consapevolezza e gioia.
2) Ottimo un piccolo animale per amico, come un gatto o un cagnolino. Anche accarezzare un micio aumenta l’ossitocina, ci regala un sorriso e ci aiuta a condividere i piccoli e grandi compiti della giornata. In più, portare a passeggio il cagnolino è un ottimo spunto per uscire, ma anche per fare amicizia e conversare con altre persone, per una vita sociale più viva e più stimolante.
3) Curare la perdita dell’udito, fin dai primi segni di riduzione. Questo fattore ci isola, anche se abitiamo in famiglia, mentre potenzia il senso di solitudine e il rischio di deterioramento cognitivo, proprio perché ci allontana dalla comunicazione verbale, fondamentale per sentici vivi e in comunicazione attiva con gli altri.
4) Imparare ogni giorno qualcosa di nuovo: contrasta sia il senso di solitudine, sia il deterioramento cognitivo che lo accompagna, perché ci porta ad abitare aree del cervello mai usate o dismesse. Imparare un nuovo sport o una lingua straniera, coltivare un hobby, ballare o fare musica, sono ottimi fattori anti-age e anti-declino cognitivo, a ogni età.

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