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Separazione e povertà: la triste condizione di molte ex coppie di oggi

08/08/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Prima di sposarci, pensiamoci dieci volte: «E’ una messa che si fa sempre tempo a prendere», diceva un mio avo. E prima di separarci, pensiamoci cento volte, se non siamo abbienti. Tra le nuove e inattese cause di povertà, in questi tempi economicamente sempre più difficili, ci sono le separazioni. Un numero crescente di uomini a stipendio fisso non ce la fa letteralmente più a versare gli alimenti e a sostenere il peso di due case, con tutti gli oneri connessi. Ne sa qualcosa la Caritas, dove molti uomini arrivano a cercare il pranzo per far quadrare un bilancio in rosso. Eccezioni? Non proprio: secondo alcune stime in Italia vivono 4 milioni di papà separati, un quinto dei quali (800 mila) vive sotto la soglia della povertà. Un esercito. Si calcola che a Roma siano 5 mila i padri che vivono in uno stato di indigenza, mentre a Milano la fondazione Fratelli di San Francesco, che gestisce alcune strutture per il ricovero dei senzatetto, fa sapere che su 650 posti letto ben 80 sono occupati da padri italiani separati, con una lista d’attesa imbarazzante.
Ottocentomila padri separati al di sotto della soglia di povertà significa anche che almeno 800.000 bambini (o di più, visto che molte coppie hanno due o più figli) hanno un padre in grave crisi, che non ha una casa (decente) in cui riceverli, che è depresso, umiliato, pieno di vergogna sociale e umana per il fallimento della propria vita affettiva, ma anche per la rovina della propria esistenza e la crisi del proprio ruolo. Molte situazioni drammatiche di aggressione coniugale post separazione affondano anche in questo clima di impotenza economica e di rabbia. Il problema non è solo italiano. Una sentenza di questi giorni, in Germania, ha sancito che dopo il compimento del terzo anno dei figli le donne possono lavorare a tempo pieno, riducendo l’onere di mantenimento a carico del padre ed ex marito.
La questione è spinosa, dolorosa, e ha molti risvolti. Non si tratta di tifare per lui o per lei, ma di prendere atto che uno stipendio limitato non consente moltiplicazioni di spese. Ancor peggio se uno dei due rischia di perdere il lavoro. Naturalmente molto dipende anche dalla causa della separazione. Tuttavia è indubbio che la frase “allora mi separo”, detta alla prima difficoltà, potrebbe rientrare se, di fronte alla crisi, piccola o grande, prevalesse per lo meno il tentativo della conciliazione e del superamento della difficoltà, invece che la distruzione del legame. Soprattutto se ci sono dei figli piccoli. Le unità anticrisi (di coppia) potrebbero trovare un nuovo campo d’azione se riuscissero ad aiutare in modo pragmatico le coppie in difficoltà a trovare una mediazione intelligente. Anche da separati in casa – in modo civile ed educato, fondato sulla collaborazione e il rispetto – e anche se il cuore è altrove. Almeno fino a quando la situazione economica non sia appianata in modo soddisfacente per entrambi i coniugi, oltre che per i figli. E, se i figli non ci sono, molte sentenze in diversi Paesi occidentali concludono che l’assegno di mantenimento per lei non ha più senso. «Lavori e si guadagni la vita – dicono nella sostanza – senza sperare di vivere di rendita vitalizia solo perché si è sposata un uomo che guadagna poco o tanto più di lei». E se è lei a guadagnare di più, sarà lei a pagare gli alimenti a lui: come è capitato a un’amica canadese, libera professionista, che deve versare un terzo del reddito mensile all’ex marito, fotografo creativo e poeta che, di fatto, non guadagna o quasi una lira, ma “è un ottimo papà”. Animosità, ripicche, vendette portano invece a esasperare toni e animi e a concludere separazioni al coltello, dove è proprio il denaro il metro di misura della gravità della crisi della relazione ma anche della ferocia della vendetta.
Il punto dolente è economico, ci piaccia o no: se il reddito è medio-alto, c’è spazio per separazioni anche sanguinose, senza (troppi) danni sul fronte della sopravvivenza materiale. Ma se il reddito è basso, davvero la separazione può essere fatta solo pensando seriamente – e prima – alla possibilità di gestire la propria vita in modo soddisfacente, nonostante il crollo di reddito, così da mantenere alti l’autostima, l’umore, la possibilità stessa di porsi in modo dignitoso e autorevole davanti ai figli.
E allora? Bisognerà pensare anche da noi al contratto prematrimoniale, che renda ben chiaro, prima, se e quanto una separazione sarebbe poi fattibile o diventa un lusso non pensabile? O è meglio impegnarsi per mantenere una buona qualità di relazione fin dal primo momento? Certo, alcuni comportamenti (tradimenti, d’amore e/o di fiducia, aggressività e violenza) escludono, o rendono difficile, a priori e motivatamente, la possibilità di una conciliazione. Ma, in molti altri casi, la via del recupero della qualità della relazione di coppia può rivelarsi vincente, specialmente se ci sono figli piccoli. Non solo nel consentire il mantenimento di un livello di vita discretamente buono per tutta la famiglia, ma anche nel diventare uno stimolo ad affrontare costruttivamente le difficoltà per ritrovarsi più forti, dopo, e ancora bene insieme. Qualche volta succede… Perché non provarci, prima di cadere nel baratro della povertà post-separazione?

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