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Riscoprire la vita, dopo un trauma inatteso

Riscoprire la vita, dopo un trauma inatteso
12/08/2019

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Sappiamo affrontare le crisi della vita per coglierne il grande potenziale trasformativo? La pausa estiva può essere un tempo perfetto per fare la manutenzione della propria esistenza: la frenesia quotidiana rallenta e c’è tempo e spazio per farlo, soprattutto se si scelgono luoghi che consentano pause di solitudine e di silenzio. Pochi lo fanno: intanto i nodi irrisolti si accumulano, come topi inquieti nei sotterranei dell’anima.
A parole, lo sappiamo tutti. Ogni crisi – fisica, emotiva, affettiva o professionale – ha due volti, attenti a due diversi orizzonti: quello dell’opportunità e quello del rischio. L’opportunità è prendersi il tempo per mettersi in discussione e fare un intervento di “manutenzione straordinaria” della propria esistenza. Il rischio, in ogni crisi, è farsi prendere la mano dal furore rivoluzionario, per impulsività, per scarsa riflessione, per visioni parziale del problema che vorremmo risolvere. Oppure “lasciar fare”, agli altri o alla vita, ritrovandosi, dopo la crisi, più insoddisfatti e inquieti di prima. Qual è il punto? Quanti più nodi irrisolti si accumulano, quanti più topi ci inquietano nei sogni e negli incubi, tanto più diventano probabili gli stop improvvisi, gli eventi traumatici impegnativi. Succede quando il nostro corpo esausto o la psiche logorata contribuiscono a far precipitare gli eventi, lasciando emergere una malattia grave: autoimmune, infettiva, neurologica o tumorale. Oppure quando una distrazione alla guida o in casa, o un cinico destino, ci precipitano in un trauma fisico di grave entità.
Ogni stop inatteso, per un trauma grave di tipo sportivo o alla guida, o per un tumore, è uno shock per il corpo e per la psiche. Come affrontarlo al meglio? Il primo obiettivo, se la coscienza è integra, e se per carattere si è dei guerrieri, è uscirne più sani e solidi di prima. Tanto meglio se la motivazione e l’impegno personale sono valorizzati da cure adeguate, da medici competenti e dedicati, da fisioterapisti entusiasti di lavorare con e sul corpo, contribuendo spesso in modo decisivo a recuperi sorprendenti. Il secondo è ritrovare equilibri emotivi più soddisfacenti di prima. Certo, le variabili in gioco per farlo sono molte: dal livello culturale alla possibilità di accedere a cure mediche di qualità, dal livello economico all’età, dallo stato anagrafico alla possibilità di una rete di affetti, non solo familiari, presente e confortante.
Qual è il risultato più positivo? Poter dire a distanza di anni, guardando indietro: benedetto quel tumore, o quell’incidente, perché ho capito che cosa conta davvero nella mia vita. E quanta fuffa meritasse di essere ripulita via: meno frequentazioni, ma più significative. Lo stesso lavoro, ma fatto con un altro spirito. O un lavoro diverso, in cui esprimere meglio i propri talenti. Una solitudine scelta, intensa e luminosa, invece di una coppia logorata che procede per inerzia, senza più intimità vera. Uno strumento musicale per amico, e (ri)sentirsi molto più giovani, mentre si impara a suonare. Uno sport nuovo. Soprattutto, un altro tempo interiore, un altro passo, un’altra capacità di rapportarsi agli altri e al mondo. Con l’attenzione, più serena e vibrante, per assaporare ogni secondo, ora che si è nella seconda (o terza) vita, dopo il trauma o la malattia. Con un’onda positiva che può riflettersi anche su amici o familiari. Come se il modo di affrontare la malattia o il trauma grave, la consapevolezza condivisa, il diverso modo di porsi, potessero essere fecondi di trasformazioni positive anche per altre persone, se ci vogliono bene e vibrano in sintonia.
Il tempo del recupero, della convalescenza, della riflessione interiore stimolata dalla malattia, non è più un tempo “chrónos”, un tempo da maledire, perché sottratto al lavoro o alla vita, ma un tempo “kairós”, come dicevano i Greci antichi: il tempo della grazia, del cambiamento, il tempo dell’attesa e della luce, anche negli affetti. Prezioso per dare l’opportunità di capire. E anche di scusarsi. Mi ha detto un figlio, che ha sempre accompagnato la mamma alle visite: «Sono proprio contento che adesso la mamma sia guarita. Per lei, prima di tutto. Per quello che ho imparato, per come ha affrontato la malattia: una lezione grande, la più bella che mi ha dato. E perché ho avuto il tempo di scusarmi con lei, per non aver capito prima tante cose, e che il suo dolore era vero. Mia mamma è viva. E io sono un altro uomo… Grazie davvero».

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