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Rallentare per riflettere su di sé: una difesa essenziale dalla cybervita

31/10/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Tutti di corsa? Sì. Per finire prima in cassa da morto, principale effetto collaterale di vite adrenaliniche sempre più compresse e concitate. Non tutti vivono accelerati, certo, tuttavia basta osservare le persone alla guida, o in metropolitana, nei giorni feriali, per capire che il problema esiste ed è reale.
La compressione del tempo, esasperata nel multitasking professionale e urbano, comporta un prezzo alto, in salute fisica e mentale. Dormiamo (quasi) tutti meno di quanto dovremmo. Respiriamo in modo molto più superficiale e frequente di quanto sarebbe sano. Mangiamo più rapidamente di quanto dovremmo. Viviamo in scatola, in spazi sempre più piccoli: case, auto, uffici. Dedichiamo sempre meno tempo all’ascolto sincero e attento del nostro miglior amico: il nostro corpo. Il quale, se trascurato, può diventare un nemico. E ammalarsi, per finire giustappunto prima nella famosa ineludibile cassa universale. Ammalati, non sappiamo più che cosa sia la convalescenza, che non consentiamo nemmeno ai bambini, rapidamente rispediti a scuola non appena normalizzata la febbre o l’infezione.
«Parla proprio lei, che va veloce come una freccia», si dirà. Il punto non è andare sempre lentamente, se si è nati geneticamente veloci, ma saper variare la velocità fino a fermarsi, di tanto in tanto, se necessario, anche nel corso della stessa giornata. Magari per un pisolino. Scegliere di rallentare significa saper alternare giorni rapidi e intensi a giorni morbidi, silenziosi e riflessivi: il sabato, o la domenica, possono essere perfetti per consentirsi un rallentamento dedicato all’ascolto di sé, di quello che si muove nel profondo dell’anima, delle emozioni negative che altrimenti ci ingorgano e avvelenano cuore e cervello, ma anche di quelle positive, che vorrebbero sbocciare per renderci (ancora) più felici.
Spenti TV, radio, musica e social in genere: abitare un black-out temporaneo e scelto, senza hacker, per ritornare ad ascoltarsi e riflettere su di sé, in beata solitudine. Il camminare, o il fare un giro con la bicicletta in campagna o lungo un canale, a telefono spento, o dedicarsi al giardinaggio, sono modi semplici e sani per riprendere contatto con il corpo e con la mente. Ridurre la frenesia quotidiana significa dedicare almeno un’ora al giorno all’attività fisica, anche il semplice camminare fuori (che non costa nulla ed è migliore della palestra, anche se per molti questa è più divertente: ma l’uno può benissimo integrare l’altra, secondo i giorni), o andare in bicicletta: respirando lentamente e a fondo, osservando il cielo o un giardino. e il mutevole colore dorato delle foglie d’autunno. Un’ora ineludibile, “non negoziabile”, come mi piace dire.
Il tempo si trova, se si vuole. Rinunciando ad altro, incluso lo stare troppo sui social. Troppa vita virtuale divora il rapporto con il mondo e nuoce alla salute fisica, innanzitutto, e poi mentale. Per carattere e professione osservo molto il corpo e il volto, che amo “leggere” dal punto di vista medico. Moltissime donne sono infiammate, gonfie, piene di ritenzione idrica, con posture tremende: furiose con la cellulite, non la leggono come un semaforo rosso per la salute, prima ancora che estetico. Cercano la pillola magica, o il trattamento miracoloso, per farla andare via: senza accettare che quella cellulite che ci avvolge come un vestito usurato è figlia e conseguenza di stili di vita nefasti che uccidono l’armonia metabolica del corpo, a cominciare dall’inattività fisica, ancora dominante tra le donne. Molte di loro si lamentano di “essere sempre stanche”, tristi, demotivate, malinconiche. Certo, può esserci un problema di anemia da carenza di ferro, che colpisce almeno un terzo delle donne, e va indagato; o un problema di malfunzionamento della tiroide; oppure altre disfunzioni ormonali a carico dell’ovaio o del surrene. O infiammazioni, da dolore cronico, che rallentano anche l’attività del cervello, causando depressione: diagnosi e cura accurata sono indispensabili. Non sono tuttavia alternative a buoni stili di vita e a pause riflessive: anzi, si integrano perfettamente. Quella stanchezza nasce anche dalla negazione del diritto del corpo di sentirsi vivo, e non imprigionato dal mattino alla sera. Nasce dal subire contesti familiari o di lavoro pesanti: pochi considerano che ogni emozione ha un correlato motorio e che il movimento è il modo più sano per eliminare energia vitale inquinata e ricaricare energia pulita. Più persone usano la bicicletta anche in città (io stessa non ho l’auto e vado in bici o a piedi): ottimo segnale. Invece di rassegnarci al divano della stanchezza, davanti alla TV, consentiamoci una pausa abitata dalla vita: che si allungherà luminosa, se ascoltiamo in silenzio la sua musica. Anche meditando.

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