Più frequentemente, tuttavia, è il percorso del lutto che tende a isolare, anche senza che vi siano accuse di colpe o di responsabilità. La depressione che consegue ad una perdita affettiva grave ci fa chiudere in noi stessi: diventiamo tetri, irritabili, scontrosi. L’atmosfera dentro il cuore e intorno a noi diventa cupa e pesante. Uno dei fattori che scava più solitudine attorno è la sensazione che gli altri, o l’altro, non provino lo stesso dolore.
E’ vero: ognuno di noi ha un modo speciale di amare, ma anche di vivere il dolore, che non è misurabile con i soli comportamenti esteriori. Soprattutto nella relazioni di sangue o nell’amore intenso, la visceralità del legame lo rende esclusivo sia quando lo si vive, sia quando la persona amata scompare, ancor più se improvvisamente. Il vuoto dell’assenza diventa intollerabile. E peggiora con il passare dei giorni: mancano la voce, il sorriso, la telefonata affettuosa, lo scherzo, la risata, anche la discussione accesa, e la pace dopo il litigio. La frattura che si crea nella vita interiore può sembrare irreparabile. Nulla sarà più come prima, almeno per quel rapporto d’amore e d’affetto. Nel percorso sano del lutto, alla fine si riesce a interiorizzare la persona amata, a sentirla vicina e viva dentro al cuore. L’assenza però continuerà a far male, tanto più e tanto più a lungo quanto più l’amore è stato forte e profondo.
La differenza nel modo di vivere ed esprimere il dolore del lutto – un dolore psicogeno per eccellenza – si nutre e si esaspera ancor più con i sensi di colpa, veri o presunti. Ci si tormenta per errori che spesso non sono tali, per la parola brusca che non c’è più tempo di rimediare, forse per non aver fatto o detto di più. Ognuno, nella famiglia, ha un suo modo di vivere ed esprimere il dolore. C’è chi apertamente piange e si dispera. Chi va tre volte al giorno in cimitero. Chi si butta sul lavoro. Chi cerca di dimenticare, inventandosi una frenesia di impegni, o buttandosi nei divertimenti sfrenati, o nell’alcool o nelle droghe. Uno dei fattori che isola di più, nel dolore, è la sensazione che il modo che ha l’altro di viverlo non sia quello giusto. Non sia abbastanza profondo, o sincero, o intenso. O, al contrario, che lo sia troppo, che duri troppo a lungo e in modo disturbante. Soprattutto oggi, in cui la morte ci inquieta per il solo fatto di esistere, è aumentata anche l’intolleranza all’espressione stessa del lutto. Si tende sempre più a negare che la morte esista o sia esistita, nell’urgenza che tutto riprenda e vada avanti, come se nulla fosse. Tutto questo aumenta il senso di solitudine in chi resta. Specie se non ha una fede in cui trovare conforto e in cui collocare quel filo ideale di affetti che consente di sperare e ritrovarsi.
Non è saggio negarsi il tempo del dolore, per riprendere la vita come se nulla fosse, come cicale smemorate. Questa negazione di un passaggio necessario a separarsi emotivamente dalla persona amata lascia nel cuore un cumulo di macerie che può diventare enorme e travolgerci, magari a distanza di anni, quando altre vulnerabilità e altre ferite ci hanno piegato il cuore. Ma è necessario sospendere il giudizio sul modo che gli altri hanno di vivere il lutto: quello che vediamo è solo la punta dell’iceberg dei sentimenti interiori e ognuno ha il suo tempo e i suoi modi per attraversare il dolore. Amareggiarsi o addirittura aggredirsi, con la collera di chi scarica sui vivi la rabbia che in parte ha verso chi l’ha lasciato, ferisce a fondo e non porta da nessuna parte. Nello stesso tempo, è giusto prendersi un tempo interiore, specie se il dolore è lacerante perché l’affetto era del pari immenso. E può essere necessario ritirarsi dal mondo, per ascoltarsi in silenzio, per ridare al terremoto delle emozioni il tempo interiore minimo per decantarsi un po’, senza continui disturbi o interferenze dall’esterno. Non possiamo negarlo: la morte di una persona amata ci fa sentire ineludibilmente soli, perché ci confronta anche con la nostra morte. In questo momento di verità tagliente, luminosa e sola, non è saggio fuggire, né mentire, men che meno a stessi.