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Prima di dirti addio

18/03/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Eccola: una morte annunciata, senza incertezze. Senza dubbi, senza errori. Solo un margine di qualche mese prima dell’ultimo giorno. Può succedere a ciascuno di noi. La vita, in cui ci muoviamo come se fosse infinita, improvvisamente diventa una strada con un muro in fondo, una strada senza uscita e senza ritorno. Possiamo decidere di comportarci come se questo non fosse vero, sperando in un improbabile colpo di coda del destino, in un miracolo, in un errore di diagnosi, in qualcosa di magico che cambi la sorte. Possiamo decidere di anticipare quella data, per restare in controllo del quando morire e, soprattutto, del come e con chi. Per dirsi addio quietamente, ben preparati, a casa propria, con una persona amata che ci tenga per mano, come fanno gli adepti del suicidio assistito. O possiamo scegliere la terza via: creare un giardino di bei ricordi per chi resta, figli, marito, amici, famiglia.
L’ha scelta Susan Spencer-Wendel, giornalista, 46 anni, sposata e con tre figli, di 14, 11 e 8 anni, cui si “inceppa” la mano sinistra, in un giorno malefico. Rapida la diagnosi e vertiginosa, nella sua spietatezza: sclerosi laterale amiotrofica. Una malattia che non lascia scampo, che evolve rapidamente con sintomi sempre più invalidanti. Arriva la depressione. Susan pensa seriamente al suicidio. La distoglie da questa scelta un pensiero forte: «Non posso lasciare i miei bambini con l’idea di una mamma debole, senza coraggio, che si uccide di fronte a una malattia. No. Voglio vivere in modo da lasciare loro un giardino di ricordi felici, da cui attingere forza, energia e gioia». Ed ecco che l’ultimo anno, il più difficile, il più invalidante, è per Susan il più prezioso: «L’anno in cui ho imparato a vivere», come dice il sottotitolo del suo libro “Prima di dirti addio” (Rizzoli, Milano). Comincia così un anno duro ma illuminato da un diverso modo di stare insieme, di cercare ancora esperienze luminose: come nuotare con i delfini con il figlio più piccolo, Wesley, di otto anni, o farsi fotografare con la maggiore che le chiede una foto insieme mentre indossa per gioco un abito da sposa. Una richiesta di benedizione, di fatto, sul suo futuro di donna. Il marito, uomo di rara qualità, le sta vicino, aiutandola in tutto, nelle piccole cose come nell’immensa impresa di mantenere un’atmosfera di gioia e positività in casa e fuori. Soprattutto, nel fare un percorso di pacificazione, anche con la necessità di morire in un modo che piano piano la spoglia di ogni autonomia. Ma mai della sua dignità.
Ancora un libro, dunque, sul prepararsi a morire. Un libro che sta diventando un best-seller. Perché questo tema piace così tanto? Credo per un bisogno forte presente in ognuno di noi. La società occidentale è sempre più laica e spaventata dal baratro di nulla che ci attende. Anche per questo ha rimosso la morte. L’ha resa un tabù. Non ci aiuta più a prepararci a morire. Questo silenzio, questo ostracismo su un momento ineludibile crea, almeno nei più sensibili, un senso di desolazione, di deserto, di solitudine, di stagione ultima che arriva impreparata, non consolata né confortata. Anche per questo, mi sembra, sta riemergendo forte il bisogno di confrontarsi con chi quest’esperienza l’ha vissuta. In prima persona, come Susan, o come partner, o figlio, o madre.
Può scattare allora un’identificazione che è insieme di compassione e di preparazione. Può attivarsi un percorso interiore, che scatta con un prezioso: «Se toccasse a me, se io fossi lei, o lui, che cosa farei? Come mi comporterei?». Per tutti, leggere un libro come questo è un grande incoraggiamento a prepararsi comunque all’addio, anche se arrivasse fra cent’anni. A preparare per tempo, quotidianamente, un giardino di bei ricordi per chi resterà dopo di noi. Una disciplina dell’anima per sceglier la qualità del tempo che viviamo, il tempo kairós, invece che la banalità, o, peggio, l’aggressività. Con attenzione al linguaggio, alle parole, ai comportamenti, perché le relazioni che ci stanno a cuore siano caratterizzate da limpidezza, sincerità, profondità. Anche perché la morte potremmo colpirci d’improvviso, senza nemmeno un giorno per lasciare bei ricordi, o per prepararci a dirci addio.

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