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Preparazione alla vita: quali studi superiori in vista dell'università?

28/06/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile professoressa, nostra figlia ha finito quest’anno la terza media e ora deve andare alle superiori. E’ una ragazzina sveglia e studiosa, già molto interessata alla medicina. La domanda che si pone, e che ci poniamo, è: qual è la scuola migliore? Ci pare evidente che, volendo poi frequentare l’università, la scelta debba vertere fra il liceo classico e il liceo scientifico. Ma quale dei due è davvero preferibile? Ci conviene privilegiare una formazione più orientata al mondo della scienza, viste le inclinazioni di Emanuela, o una formazione più umanistica? La nostra incertezza è grande anche alla luce di una recente notizia, secondo cui il liceo del futuro dovrà prevedere anche stage e tirocini, specialmente negli ultimi due anni. Ma così non lo si trasforma un po’ troppo in una scuola tecnico-professionale? Il liceo deve preparare a un lavoro specifico o alla vita? Quali corsi di studi ci dobbiamo attendere nei prossimi anni? Lei cosa consiglierebbe a nostra figlia? Un suo parere, di medico e di scrittrice, ci sarebbe molto utile”.
Paolo S. (MI)
Gentile signor Paolo, Lei mi fa molte domande, ad alcune delle quali è difficile rispondere. Proverò tuttavia a illustrarle il mio punto di vista, basandomi sulle mie competenze e sulla mia esperienza, anche di liceale classica. Il primo punto fermo, ma questo è già chiaro anche a voi, è che la scelta migliore in vista di un’eventuale iscrizione a Medicina – come a una qualsiasi altra facoltà – è certamente il liceo, classico o scientifico che sia (fatti salvi particolari curriculum artistici). Fra questi due percorsi di studio esistono moltissimi punti di contatto, sui quali mi soffermerò rapidamente. Esistono però anche delle differenze, che cercherò di spiegare in breve. Riguardo al futuro, non sono ovviamente in grado di formulare previsioni: ma un auspicio sì, e lo terrò per ultimo, in chiusura di risposta.

Perché un liceo prepara meglio di altre scuole agli studi universitari?

Essenzialmente per un motivo: le sollecitazioni intellettuali a cui sottopone i giovani sono molteplici e complementari. Si spazia infatti dalla matematica e dalla fisica alle letterature classiche, dalla storia alla filosofia, dall’arte alla letteratura italiana. Tutte queste discipline, con metodi diversi, mirano a far maturare una solida capacità di ragionamento e, nei limiti di un’età ancora molto giovane, una certa indipendenza di giudizio. Oltre a raffinare il gusto e la proprietà di espressione, in tutti i campi, attraverso un’esposizione concentrata – e difficilmente ripetibile, nella vita adulta – a un universo culturale contraddistinto dalla ricerca del bello e del vero.

Perché parla di metodi diversi? Non si tratta sempre della medesima applicazione allo studio?

Non proprio. Il metodo cambia da materia a materia, e in gran parte si modella sulla tipologia di ricerca che sta alla base di ogni singola disciplina. Le faccio qualche esempio. Le teorie scientifiche sono razionali, ossia esplorabili dalla ragione, in quanto controllabili tramite il ricorso ai fatti: e questo è noto un po’ a tutti. Anche le teorie filosofiche sono razionali, ma lo sono – spiega Dario Antiseri, filosofo e docente di storia della filosofia – «in quanto criticabili alla luce di un teorema logico, una teoria scientifica, un risultato matematico, o un’altra idea filosofica». Da tutto ciò intuiamo come lo studio della matematica, della chimica e della fisica eserciti all’utilizzo del metodo empirico-sperimentale, mentre lo studio della filosofia allena all’esercizio dello spirito critico-analitico: ed entrambi sono indispensabili a formare una persona matura. E ancora: la traduzione dai classici latini o greci addestra a una forma di ragionamento che potremmo definire deduttivo-ricostruttivo, in quanto parte da regole generali e tende a riformulare il senso e la forma di un testo in una lingua diversa da quella originaria; lo studio delle letterature – ci ricorda Francesco Trisoglio, già docente di liceo e titolare della cattedra di “Storia della civiltà e della tradizione classica” all’Università di Torino – «restituisce un lettore più chiaro nelle intuizioni, più profondo nei sentimenti, più forte nel carattere, più fine nel gusto, più padrone della parola, affacciato su dimensioni nuove, con una nuova percettività di fronte ai problemi e una nuova attitudine a conoscere a se stesso»; l’analisi dei fenomeni storici stimola la capacità di scoprire e interpretare le associazioni fra eventi, anche molto distanti fra loro, e tra questi e le variabili politiche, sociali, economiche e culturali dell’ambiente circostante; la storia dell’arte abitua a ragionare secondo categorie estetiche e formali. Solo dalla sintesi di tutti questi approcci può svilupparsi un profilo intellettuale completo e versatile, in grado poi di affrontare con profitto qualsiasi percorso universitario: e la facoltà di Medicina non fa eccezione.

In questo contesto, quali sono le differenze fra classico e scientifico?

Sono differenze di sfumatura, ma non per questo irrilevanti. Nel classico, materie come la filosofia e il latino hanno un maggior peso, e se vengono svolte in modo non nozionistico possono davvero incidere con forza nella formazione del futuro universitario. E poi c’è il “greco”: etichetta generale per un mondo che ha inciso in modo unico nella storia della nostra cultura, a livello linguistico, letterario, filosofico, storico, artistico, scientifico. Nulla di ciò che siamo oggi prescinde da quelle radici, e in particolare dalla temperie culturale ateniese fra il VI e il IV secolo avanti Cristo. Se al classico le materie scientifiche non vengono trascurate, come talora purtroppo accade, si può dire che la vera differenza fra i due licei stia proprio qui, nello studio del mondo greco antico. E, per averlo vissuto in prima persona, le assicuro che non è una differenza da poco. Quindi, se proprio devo dare un consiglio a vostra figlia, il mio suggerimento è di intraprendere il classico, associando però l’approfondimento esterno di almeno due lingue straniere, la cui conoscenza è ormai indispensabile nel mondo di oggi.

Veniamo all'ultima questione: quale liceo per il futuro? Dovrà essere per forza una scuola di stage e tirocini?

Le risponderò citando il filosofo Massimo Cacciari, che nel volume “Di fronte ai classici” (Bur 2002) scrive: «Chiediamoci serenamente se la rinuncia a pensare la scuola sulla base di un’idea di cultura o di educazione, se questo arrendersi a doverla organizzare al servizio del contesto tecnico-economico, sia irreversibile (…) Tutti i termini che nelle lingue della nostra civiltà dicono il “complesso” scuola-educazione non appaiono riducibili a un uso semplicemente fenomenologico-descrittivo. Scholé, naturalmente, meno di ogni altro, ma anche paideía, Bildung, eccetera. Nessuno sta a indicare specificità contenutistiche, ambiti tecnici determinati. Essi esprimono l’esigenza di definire un campo d’energia, uno stato generatore di potenzialità, l’apertura a molteplici possibili, piuttosto che l’orientamento a scopi precisi (…) Riteniamo che la scuola abbia la funzione di informare su ciò che è utile per essere degli “occupati”, o che essa debba diventare un luogo di comunicazione, da attraversare per giungere a una propria, difficile, autonoma parola, da far valere in ogni “occupazione” – e nei confronti di ogni preteso “occupante”? Credo sia maturo il tempo per decidere».
Mi riconosco profondamente in queste parole: l’obiettivo di una scuola competitiva dovrebbe rimanere la formazione di una solida cultura e di un’intelligenza aperta ai “molteplici possibili” della vita. Ne hanno bisogno gli individui, la società, lo stesso mercato del lavoro, e perfino la democrazia, come avverte la filosofa Martha Nussbaum in un recente, lucidissimo saggio (Non per profitto, Il Mulino 2011). In questo senso, parlare di stage e tirocini mi sembra una forzatura, sia perché si tratta di formule adatte solo ad alcuni ambiti, sia perché l’esperienza sul campo semmai dovrebbe aggiungersi, e non sostituire, le attuali materie. Condivido quindi il suo timore: questa deriva pratica, abbinata alla ricorrente tentazione di alleggerire i programmi di studio e il contenuto dei libri di testo, può davvero trasformare il liceo in una scuola priva di una precisa identità, non più capace di preparare alla vita ma, nella migliore delle ipotesi, solo a qualche specifico lavoro, riuscendovi magari peggio di quanto non faccia, da sempre, un buon istituto tecnico-professionale.
Un rafforzamento positivo dei licei potrebbe invece derivare da un collegamento più stretto con l’università, per istituire percorsi didattici più aggiornati rispetto allo sviluppo che le discipline di riferimento hanno conosciuto nel Novecento: pensi solo alla fisica, da un lato, e alla storiografia, dall’altro – ma il discorso vale anche per la filologia classica e umanistica, la filosofia e la matematica, tutte profondamente riformate dai progressi registrati nel XX secolo. Il secondo e complementare fattore di miglioramento dovrebbe essere una seria rivalorizzazione del ruolo dei docenti, attraverso precisi itinerari di aggiornamento e un equo riconoscimento economico e sociale della loro insostituibile funzione: non penso solo ad eventuali aumenti di stipendio, e a più sicuri e dignitosi inquadramenti contrattuali, ma anche alla possibilità di partecipare alla ricerca nazionale e internazionale, e di pubblicare con regolarità, su riviste qualificate, i risultati della ricerca. Da questi elementi, e non da improbabili stage e tirocini, potrà nascere un liceo davvero degno del terzo millennio.

Per approfondire

Dario Antiseri
Perché e come studiare storia della filosofia
Rivista Lasalliana 80 (2013) 2, 196-207

Massimo Cacciari
Brevi inattuali sullo studio dei classici
In: Ivano Dionigi (a cura di), Di fronte ai classici. A colloquio con i Greci e i Latini, Bur Saggi 2002, p. 21-29

Martha C. Nussbaum
Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica
Il Mulino, 2011

Francesco Trisoglio
Insegnare è impegnativo e bello. Una scuola viva
Estratto da Rivista Lasalliana 72 (2005) 1, 1-96

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