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Noa, lo stupro come un lento assassinio

Noa, lo stupro come un lento assassinio
17/06/2019

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Noa Pothoven, una ragazza olandese di 17 anni, si è lasciata morire di fame e di sete, a casa, assistita dai familiari. Non riuscendo più a motivarla a vivere, i suoi l’hanno accompagnata con rispetto e affetto nell’ultima decisione. La richiesta di eutanasia pare fosse stata rifiutata dalle autorità olandesi, data la minore età. E dato che un dolore psichico non è così irrimediabile come un dolore organico, o incurabile come una malattia fatale.
Noa aveva subito tre stupri: a 11 anni, in due diverse occasioni, e poi a 14 anni, violentata da due uomini per strada. Allora aveva taciuto per vergogna. Il trauma delle violenze subite aveva continuato ad avvelenare la sua psiche, ad asfissiare progressivamente la sua voglia di vivere. Uno stupro è una ferita dell’anima, prima ancora che del corpo. Una ferita interiore così profonda e pervasiva, ancor più se ripetuta, da essere fatale. Con questa scelta estrema, Noa ha ricomposto a suo modo la frattura, sempre più dolorosa, tra un’anima ferita a morte e un corpo che continuava a vegetare, preda di ricordi dolorosi, non più superabili per lei.
In ogni violenza, accanto alle ferite fisiche, sono altrettanto drammatiche le ferite interiori, ancora più persistenti se la vittima è bambina o adolescente, se è molto sensibile, se per la vergogna non riesce a dire quanto ha subìto e gli adulti non si accorgono del suo dolore, se non quando è troppo tardi. Noi medici parliamo di “sindrome post-traumatica da stress” e di “depressione reattiva”. Vediamo la parte biologica del trauma, il terremoto neurochimico, le bordate di adrenalina e di cortisolo, le alterazioni del sonno, gli incubi notturni, il blocco dell’appetito. Noa era diventata anoressica. Ogni anoressia estrema è un suicidio annunciato, in cui è difficile, e a volte impossibile, aiutare la ragazza (9 su 10 persone anoressiche sono femmine) a ritrovare la fiducia nella vita e la voglia di tornare a vivere. Quando si incontrano queste ragazze, la verità del loro dolore e dell’abisso di solitudine interiore in cui si sono perdute mostra un’inquietante complessità, un muro di vetro invalicabile, a volte più potente anche dell’amore e delle cure. I suoi medici, in probabile sintonia con la famiglia, sempre più disperata, avevano cercato di nutrirla in sedazione, senza risultato: anche questo apre critici interrogativi su quanto vada rispettata la volontà di un minore di non vivere più.
Cos’altro si sarebbe potuto fare? Accorgersi prima, già a 11 anni, che era successo qualcosa di gravissimo, per ben due volte, a feste di compleanno, forse ad opera di adolescenti di poco più grandi. Accorgersi a 14 anni, quando il trauma era stato ancora più drammatico, e con una più profonda e pervasiva angoscia di morte, sia durante lo stupro in sé, sia per le probabili minacce che ne erano seguite, se avesse parlato. Accorgersi: questo è il punto di non ritorno, quando un adolescente si sente irrimediabilmente solo e la lacerazione tra anima ferita e corpo desolato diventa sempre più profonda. Un saper vedere col cuore, un sapere sentire, un saper intuire le molte ombre che si stanno addensando dentro uno sguardo che si abbassa, dentro un silenzio, dentro un dimagrimento progressivo e volontario, dentro un tentativo di suicidio. A volte la paura di vedere la verità di quanto di intuisce può portare a chiudere gli occhi e il cuore, in una collusione del silenzio che fa sentire la ragazza ancora più disperata e sola. Non hanno visto in tempo i genitori, non hanno visto gli insegnanti, nessuno ha visto. La cecità di noi adulti, in molti casi anche italiani, di fronte a violenze fisiche di ogni tipo su bambini dovrebbe veramente indurre in tutti noi un serio esame di coscienza e una serrata autocritica.
Noa ha dato un segnale forte: fare della sua scelta di morire una questione pubblica, e non privata. Figlia del suo tempo, Noa ha parlato sui social della sua tragedia, e della sua decisione di arrendersi a una sofferenza interiore pervasiva e fatale. Perché? Per protagonismo? Non credo. Piuttosto perché il suo dolore e la sua morte fossero la testimonianza estrema di quanto uno stupro sia di fatto un lento assassinio.
Tutti coloro che predicano sul “salvare la vita perché è sacra” hanno mai provato che cosa significa essere stuprata più volte? Si impegnino invece a prevenire le violenze che profanano l’anima e la uccidono. Del corpo resta in vita solo la vuota carcassa: la farfalla misteriosa dell’anima è da tempo volata via. Gentile Noa, possano la tua anima e il tuo corpo riabbracciarsi nella luce, finalmente in pace. Con limpido affetto.

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