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La musica analgesico dell'anima per tornare a sorridere

14/08/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Com’è la tua estate? Silenziosa? Rumorosa? O musicale? E se è ricca di musica o canto, è musica ascoltata oppure è suonata o cantata in prima persona? All’estate, alle vacanze, chiediamo non solo di rigenerare il corpo ma anche – e soprattutto – la psiche, l’anima. Chiediamo emozioni di gioia che aiutino ad alleggerire la fatica di vivere, a cancellare la pesantezza di cuore cresciuta durante mesi e anni di piombo. Se la vita, nell’anno passato, è stata dura, chiediamo all’estate un analgesico per l’anima. Alla vacanza, più o meno consapevolmente, chiediamo di illuminare quella parte invisibile e impalpabile di noi, la nostra psiche, che è così potente nel determinare il colore di fondo dei nostri giorni, l’umore con cui ci alziamo il mattino, lo slancio con cui sorridiamo alla vita, già a colazione, il piacere con cui ci tuffiamo nelle piccole o grandi attività quotidiane. Chiediamo un percorso per tornare a noi stessi, alla nostra parte più sana e vitale. Un progetto, un’intuizione, una finestra che si apra sul paesaggio della nostra anima e ci faccia vedere un orizzonte diverso, essenziale per stare bene, anche da soli, e che avevamo dimenticato. In quest’intuizione, c’è una qualità rara, rispetto al tempo sospeso delle vacanze. Iniziare – o riscoprire – una passione profonda e personale, che continuerà nell’autunno e negli anni a venire, invece che concludersi nello spazio sospeso di agosto.
Un ruolo speciale, in questo progetto di recupero di energie psichiche, oltre che fisiche, spetta alla musica. Quale musica? Quella che parla al nostro cuore, che ci regala un’emozione, che sa commuoverci. Che ci piaceva molto da piccoli e che per diverse ragioni non abbiamo coltivato o che abbiamo abbandonato. E’ immensamente curativa, anche per la salute, la musica che ci mette in contatto con la parte poetica della nostra anima e che ci fa tornare la voglia, la passione di fare musica: suonando uno strumento, o con il canto. Come medico, sto raccogliendo tanti racconti di vita sul potere curativo della musica. E, certo, una storia vera dice di più, al cuore, di tanta filosofia.
Filippo è l’unico figlio di una famiglia di notai da generazioni. Da bambino è appassionato di violino: la famiglia incoraggia questa passione, ma come fiore all’occhiello in un ragazzino riservato, silenzioso, studioso, destinato comunque a svolgere la professione del padre e del nonno e del bisnonno. Finito il liceo classico, e con il diploma di conservatorio, la decisione: Filippo vuole fare il violinista professionista. Serrata totale della famiglia: “A fare lo spiantato hai sempre tempo! Suona per hobby, ma fai un lavoro serio!”. Non abbastanza forte per opporsi ai suoi, Filippo si laurea e segue il destino scritto per lui. Lascia completamente il violino. Passano gli anni, con una vita normale. Un matrimonio tranquillo, lo studio ben avviato, come da tradizione. A quarant’anni, il fulmine a ciel sereno. Una leucemia molto aggressiva. Consulenze diverse negli Stati Uniti e la prognosi concorda. Al massimo un anno di vita, anche con le cure migliori. Nella sala d’aspetto di un grande oncologo, una ragazza dai capelli rasi a zero per la chemio, seduta lì accanto, gli sorride: “Quando si arriva da lui, dice indicando la porta del grande medico, si è tutti già con un piede nella fossa. Tanto vale saperlo, e giocarsi bene il tempo che resta. Io da piccola volevo fare la cantante jazz. E invece mi occupo di computer. Adesso che ho  visto la morte in faccia, sai cos’ho fatto? Ho cominciato a prendere lezioni di canto e pianoforte. Se quando faccio la chemio canto mentalmente, ho anche meno effetti collaterali. Di uno cosa sono sicura: nonostante tutto, sono più felice adesso che in tutti gli anni prima. Mi dispiace solo che per capire che avevo perso me stessa mi sia dovuta arrivare questa tegola in testa. Ma almeno adesso vivo davvero”. Filippo resta muto: ma mentre la ragazza parla, ha una visione. Si vede in una grande stanza cupa con, a sinistra, un unico enorme portone in ferro, alto e pesante, che si apre cigolando su dei prati verdi pieni di luce, come dopo una pioggia in montagna, quando brilla l’arcobaleno. Nulla succede a caso. L’oncologo conferma la prognosi nera, e prospetta una cura sperimentale, molto efficace ma molto tossica. Filippo prende tempo: morto per morto, si dice, tanto vale che almeno quest’ultimo anno me lo viva come voglio io. Ancora negli Stati Uniti, chiama il suo vecchio insegnante di violino. “Vorrei ricominciare a suonare ma sono tutto arrugginito. Mi prenderebbe ancora come allievo?”. La seconda telefonata è al padre: “Ho bisogno di una cura molto pesante. Comunque non potrò più seguire lo studio. Provvedi tu per favore alla sostituzione. Ah, per favore fammi mandare dalla mamma il mio violino. Resto qui per le cure”. Sono passati otto anni, da allora. L’oncologo, che si è molto affezionato a Filippo, anche per la comune passione per la musica, pensa che quel protocollo nuovo sia stato davvero la calata d’assi per vincere la malattia. Filippo pensa che a volte il tuo angelo può prendere le sembianze di una ragazza magra, senza capelli per la chemio, che ti riapre la porta che ti riconduce a te stesso, dopo che ti eri perduto. E ti fa tornare la voglia di vivere con coraggio, e lottare per farcela con tutte le tue forze. Convinto di farcela, nonostante la durezza della malattia e la pesantezza delle cure, con un entusiasmo profondo per la vita, che si ricarica suonando, come mai prima.
A me, quando Filippo ha raccontato la sua storia, è tornato in mente un frammento di un canto Navajo: “Cammina su un sentiero di arcobaleno/ cammina su un sentiero di canto/ e tutto intorno a te sarà bellezza./ C’è una via di uscita/ da ogni nebbia oscura/ lungo un sentiero di arcobaleno”.
Se hai ritrovato la tua musica.

Autorealizzazione Ballo, musica, canto e recitazione Malattia Riflessioni di vita

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