Un piccolo libro può regalare grandi emozioni, soprattutto se riesce a suggerire viaggi inattesi dentro il caleidoscopio del passato, fatti di storia e di poesia, di intuizioni e di sorprese. Così è stato per “Le goût du bleu”, una raccolta di testi scelti e presentati da Pascale Lismonde (Editions Mercure de France, 2013) sulle più sorprendenti declinazioni del blu. Un piccolo libro ripescato nelle librerie di casa, per accompagnarmi in una vacanza a cavallo, tra il verde ardente e sontuosamente fiorito delle colline a nord di Lisbona, dopo un inverno finalmente piovoso, e le variazioni di blu del cielo animate dai venti dell’oceano.
Perché parlarne? Per suggerire una rilettura dei propri momenti di vacanza, e di vita quotidiana, con la prospettiva di un colore. Quanto siamo sintonizzati sulla nostra percezione cromatica del mondo? Qual è il colore che ci piace di più, e quello che cerchiamo, più o meno consciamente, nei momenti di gioia, di festa, di sintonia con la vita? E’ quello che ci conforta anche nei momenti di dolore o disincanto, o preferiamo vivere secondo un nostro personalissimo arcobaleno? Pensarci a colori può aggiungere uno spunto di riflessione interiore, da assaporare nei momenti di silenzio, in cui ciascuno di noi dovrebbe sintonizzarsi con la propria anima e la propria verità, e da gustare in una conversazione che vada oltre l’ovvio.
Colore del cielo e dello spazio, il blu è colore dalle intense risonanze: luminose, come la gioia che ci danno i cieli tersi e le acque limpide, e oscure, come la malinconia o la depressione, quando l’azzurro del cielo trascolora nella notte e nel buio, e l’ombra pervade già il corpo e l’anima. Il gusto del blu non è stato universale. I Greci antichi, per esempio, pur circondati da un mare meraviglioso e da cieli limpidissimi, 2500 anni fa pare non “vedessero” il blu. Omero usa “glaukós” per gli occhi chiari, ma usa la stessa parola per i vestiti neri del lutto, ricorda Lismonde. E lo stesso Aristotele, quando descrive i colori dell’arcobaleno, non parla del blu. Gli antichi Romani avevano un amore assoluto per il porpora e una sorta di diffidenza per il blu, associato al diverso e all’estraneo, che fossero i barbari della Germania (il nome blu deriva dal blau tedesco) o della Gallia, o gli inquietanti abitanti dell’Oriente.
Curioso: in origine, in blu si chiamava azzurro, parola persiana che indicava al contempo un minerale (l’azurite) molto utilizzato nell’antichità per estrarre il materiale necessario per ottenerlo e il colore stesso. Blu onnipresente invece nell’Egitto dei faraoni, con statue, pitture e vasellame dipinti di blu turchese (ottenuto dal solfato di rame), in Persia e in Mesopotamia. Un colore orientale, per millenni. Chi l’avrebbe detto? Questo blu di profondità sorprendente è passato dall’Oriente all’Occidente solo sette secoli dopo la caduta dell’impero romano, senza nulla perdere della sua intensità. Il lungo silenzio del blu ha ragioni anche economiche, visto che i materiali pregiati per produrlo, come gli zaffiri o i lapislazzuli, avevano giacimenti di estrazione maggiori in Siberia, in Cina, nel Tibet, o in Iran.
Dal punto di vista del colore, il profondo buio della civiltà occidentale, che ha percorso il medioevo, sembra essere stato una lunga, misteriosa attesa prima che il blu imponesse la sua raffinata bellezza, e la sua luce, alle nostre latitudini. In Italia, Giotto inaugura la svolta rivoluzionaria dai codici pittorici bizantini, e introduce il blu nella nuova pittura religiosa. Merita allora tornare ad ammirare la splendida cappella degli Scrovegni, a Padova, dove il manto della Madonna si tinge per la prima volta di blu, inaugurando un culto mariano che avrà in quel colore, più luminoso o più cupo, un segno di distinzione speciale. I colori liturgici della cristianità restano il bianco, l’oro, il rosso, e il viola dei giorni della Passione, mentre il blu abita le vetrate e, cifra unica, proprio le vesti di Maria. In Francia, nel tredicesimo secolo, il re San Luigi decide di consacrare il regno di Francia alla Vergine. Suo nonno, Filippo Augusto, aveva scelto il blu come colore per il suo regno. Con questo doppio patrocinio, divino e regale, ecco che il blu vola e lo stemma reale diventa “fleurs de lys sur champ d’azur”, gigli su sfondo azzurro.
Per chi ama l’arte, un viaggio alla ricerca del blu invita a un percorso denso di emozioni inattese, alla riscoperta del senso e del significato del colore. Per chi ama la natura, la ricerca del blu si estende dai cieli ai mari, dai laghi ai fiori: dai fiordalisi agli iris sensuali, dai teneri plumbago, ai blu variegati delle ortensie. E s’inebria con gli azzurri del piumaggio del martin pescatore o del gruccione. Per tutti, un viaggio alla ricerca del blu può inaugurare un modo di viaggiare diverso. Aperto anche a cambiare il colore da cercare, di anno in anno, per guardare il mondo, e se stessi, con occhi sempre sorpresi e nuovi.
Perché parlarne? Per suggerire una rilettura dei propri momenti di vacanza, e di vita quotidiana, con la prospettiva di un colore. Quanto siamo sintonizzati sulla nostra percezione cromatica del mondo? Qual è il colore che ci piace di più, e quello che cerchiamo, più o meno consciamente, nei momenti di gioia, di festa, di sintonia con la vita? E’ quello che ci conforta anche nei momenti di dolore o disincanto, o preferiamo vivere secondo un nostro personalissimo arcobaleno? Pensarci a colori può aggiungere uno spunto di riflessione interiore, da assaporare nei momenti di silenzio, in cui ciascuno di noi dovrebbe sintonizzarsi con la propria anima e la propria verità, e da gustare in una conversazione che vada oltre l’ovvio.
Colore del cielo e dello spazio, il blu è colore dalle intense risonanze: luminose, come la gioia che ci danno i cieli tersi e le acque limpide, e oscure, come la malinconia o la depressione, quando l’azzurro del cielo trascolora nella notte e nel buio, e l’ombra pervade già il corpo e l’anima. Il gusto del blu non è stato universale. I Greci antichi, per esempio, pur circondati da un mare meraviglioso e da cieli limpidissimi, 2500 anni fa pare non “vedessero” il blu. Omero usa “glaukós” per gli occhi chiari, ma usa la stessa parola per i vestiti neri del lutto, ricorda Lismonde. E lo stesso Aristotele, quando descrive i colori dell’arcobaleno, non parla del blu. Gli antichi Romani avevano un amore assoluto per il porpora e una sorta di diffidenza per il blu, associato al diverso e all’estraneo, che fossero i barbari della Germania (il nome blu deriva dal blau tedesco) o della Gallia, o gli inquietanti abitanti dell’Oriente.
Curioso: in origine, in blu si chiamava azzurro, parola persiana che indicava al contempo un minerale (l’azurite) molto utilizzato nell’antichità per estrarre il materiale necessario per ottenerlo e il colore stesso. Blu onnipresente invece nell’Egitto dei faraoni, con statue, pitture e vasellame dipinti di blu turchese (ottenuto dal solfato di rame), in Persia e in Mesopotamia. Un colore orientale, per millenni. Chi l’avrebbe detto? Questo blu di profondità sorprendente è passato dall’Oriente all’Occidente solo sette secoli dopo la caduta dell’impero romano, senza nulla perdere della sua intensità. Il lungo silenzio del blu ha ragioni anche economiche, visto che i materiali pregiati per produrlo, come gli zaffiri o i lapislazzuli, avevano giacimenti di estrazione maggiori in Siberia, in Cina, nel Tibet, o in Iran.
Dal punto di vista del colore, il profondo buio della civiltà occidentale, che ha percorso il medioevo, sembra essere stato una lunga, misteriosa attesa prima che il blu imponesse la sua raffinata bellezza, e la sua luce, alle nostre latitudini. In Italia, Giotto inaugura la svolta rivoluzionaria dai codici pittorici bizantini, e introduce il blu nella nuova pittura religiosa. Merita allora tornare ad ammirare la splendida cappella degli Scrovegni, a Padova, dove il manto della Madonna si tinge per la prima volta di blu, inaugurando un culto mariano che avrà in quel colore, più luminoso o più cupo, un segno di distinzione speciale. I colori liturgici della cristianità restano il bianco, l’oro, il rosso, e il viola dei giorni della Passione, mentre il blu abita le vetrate e, cifra unica, proprio le vesti di Maria. In Francia, nel tredicesimo secolo, il re San Luigi decide di consacrare il regno di Francia alla Vergine. Suo nonno, Filippo Augusto, aveva scelto il blu come colore per il suo regno. Con questo doppio patrocinio, divino e regale, ecco che il blu vola e lo stemma reale diventa “fleurs de lys sur champ d’azur”, gigli su sfondo azzurro.
Per chi ama l’arte, un viaggio alla ricerca del blu invita a un percorso denso di emozioni inattese, alla riscoperta del senso e del significato del colore. Per chi ama la natura, la ricerca del blu si estende dai cieli ai mari, dai laghi ai fiori: dai fiordalisi agli iris sensuali, dai teneri plumbago, ai blu variegati delle ortensie. E s’inebria con gli azzurri del piumaggio del martin pescatore o del gruccione. Per tutti, un viaggio alla ricerca del blu può inaugurare un modo di viaggiare diverso. Aperto anche a cambiare il colore da cercare, di anno in anno, per guardare il mondo, e se stessi, con occhi sempre sorpresi e nuovi.