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L'ignoto che ci inquieta

26/06/2017

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Che cosa mi succederà di bello oggi?», si chiedeva Alice nel Paese delle Meraviglie, ai tempi delle fiabe felici dell’infanzia. «Che cosa mi succederà di bello oggi?», si chiedono, nonostante tutto, gli ottimisti cromosomici come me. Costretti tuttavia, come tutti gli altri, a interrogarsi su un mondo il cui tasso di imprevedibilità, di ignoto ormai strutturale, disturba in modo profondo il sentire individuale e collettivo.
L’“ignoto inquietante”, come lo chiamo io, è diventato epidemico. I virus che lo causano hanno forti denominatori comuni. Il terrorismo diffuso, anzitutto, vera terza guerra mondiale, con le sue stragi, le ferite permanenti, le paure, le angosce, l’insicurezza diffusa che crea nelle persone e nei popoli, sia perché minaccia le basi elementari della convivenza civile, sia perché mira a indebolire tutte le istituzioni: nazionali e internazionali, come l’Onu. L’incertezza economica e politica di molti Paesi, e del nostro in primis, dove la fine miserrima del progetto di legge elettorale dà la misura dell’inaffidabilità strutturale di troppi parlamentari: chi ci governerà domani, e come? Un ignoto davvero inquietantissimo. Un’immigrazione incontrollata, che sotto la coperta rosa dell’accoglienza ha risvolti neri fortemente ansiogeni, per i fiumi di giovani che arrivano affamati di vita e di denaro e che si scontrano, apertamente o nell’ombra, con un Paese sempre più vecchio e impaurito. La sensazione di una malavita crescente e di un futuro molto più oscuro di quanto avessero i nostri genitori ci confronta con una dose crescente di tensioni diurne e incubi notturni, soprattutto nelle zone e nei quartieri più degradati. Ignoto inquietante che ha un effetto collaterale ancora più disturbante: il senso di impotenza, di non controllabilità, che ci scatena dentro. E che va a potenziare il nostro nemico più subdolo: la nostra parte oscura, dove abitano le nostre parti irrisolte, i nostri difetti peggiori, i fatti che ci hanno ferito e che al solo ricordo ci scatenano una rabbia furiosa, l’impulsività irrisolta e incontrollata.
L’ignoto numero uno è dentro noi stessi, oggi più inquietante e pericoloso di ieri, perché esasperato da un contesto ambientale fluido, agitato e irritato, spesso aggressivo. E distruttivo, nella sua dimensione di ferocia sia familiare, di cui la crescita dei femminicidi è solo la punta dell’iceberg, sia di ferocia sociale, di cui gli attentati terroristici sono la parte più devastante. «Conosci te stesso», diceva un'iscrizione nel tempio di Apollo a Delfi. La sensazione, ascoltando centinaia di persone, è che la conoscenza di sé sia molto trascurata, ancor più nelle generazioni più giovani, “agite” dalle proprie emozioni, ma sempre meno in grado di conoscerle e modularle in modo sano. Gli stessi dibattiti televisivi, e le quasi quotidiane risse verbali in Parlamento, danno la misura di quanto capacità di controllo nell’argomentare in modo persuasivo, rispetto dell’altro e delle sue idee, anche se diverse, costruttività nel confronto ed educazione siano sempre più emarginati.
All’ignoto interiore, amplificato dalla carenza di educazione, di introspezione, di ascolto e di autocritica, e dal degrado nelle relazioni interpersonali, si associano altre forme di ignoto, ben descritte da Maurizio Barbeschi e Paolo Mastrolilli, in “Fare i conti con l’ignoto” (Mondadori). L’“ignoto-ignoto”, le crisi imprevedibili, a partire dagli attacchi terroristici. L’“ignoto-conosciuto”, per esempio un incendio o un allagamento, eventi imprevisti che accadono però in un contesto noto e gestibile. L’ignoto “che si modifica in corsa”: crisi che sembravano gestibili e che invece ci sovrastano fino a diventare distruttive. Per esempio, una separazione che scatena dinamiche di gelosia e un’impulsività incontrollata fino all’omicidio. Ma anche i crac politici in situazioni di crisi in cui i protagonisti pensavano a torto di avere il vento in poppa, sottovalutando l’ignoto del Paese e di se stessi: da manuale le sconfitte di David Cameron e, ora, di Teresa May, nel Regno Unito; e la caduta rovinosa di Francois Fillon, in Francia.
E’ possibile affrontare l’ignoto in modo costruttivo? Sì: a livello personale, con una autoanalisi condita da una dose di autocritica non omeopatica, ma farmacologica. Con facile codice di autovalutazione: quante volte riusciamo a discutere, e ad essere convincenti, argomentando sul merito in modo stringente, senza insultare e senza urlare? Allenarsi a farlo è il primo passo. Il secondo è impegnarsi in prima persona, per migliorare il mondo che ci circonda, in modo pragmatico e non idealistico né illusorio, con una solida percezione delle difficoltà da superare e dei disincanti con cui convivere. Il terzo livello è politico. Macron ci sta provando in Francia. Da noi, per ora, di un politico di razza, disposto a confrontarsi bene con l’ignoto, nemmeno l’ombra.

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