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L'epidemia di acredine che avvelena la vita

25/04/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Osserviamo dieci persone al lavoro: quante sorridono o hanno il volto almeno disteso? Osserviamone dieci mentre camminiamo per strada, o guidiamo, mentre saliamo sull’autobus o sul metro. Osserviamo i nostri familiari. Guardiamo anche il nostro volto allo specchio: quali sono le espressioni dominanti?
Sempre più spesso si vedono volti scuri, arrabbiati, irritati, tesi se non francamente ingrugniti. E non solo per disturbi fisici. Anzi, spesso il motore di questa maschera di acredine stampata sul volto, densa di rancore sordo e pervadente, ha una duplice motivazione: nasce anzitutto da una sostanziale frustrazione per quello che non si è o non si ha, dove rabbia e dolore nascono sempre dal posare lo sguardo sul lato buio della nostra vita, invece che su quello luminoso. Un rapporto conflittuale con il nostro io e le nostre ambizioni irrisolte, tra quello che sognavamo di fare nella vita e quello che abbiamo realizzato – nell’amore, nella famiglia, nel lavoro, a livello sociale – è il primo potente fattore di acredine. Il secondo, che spesso si somma al primo, nasce dal continuo confronto con gli altri. Un confronto che i media hanno reso universale e che esaspera ancor più il senso di incompiuto o di non realizzato che ogni vita contiene. La piccola differenza avvertibile in passato all’interno di una comunità di paese è oggi amplificata a livello planetario con un’onda lunga di potenziale frustrazione che diventa epidemica.
Certo, ci sono molte ragioni obiettive per avere un’espressione amara sul volto: ansia, angoscia, dolori fisici ed emotivi, malattie, solitudine, difficoltà di lavoro e difficoltà economiche, disperazione, possono segnare il volto e il cuore con cicatrici profonde. Ma moltissima acredine nasce da ragioni soggettivo-percettive: come consideriamo la nostra vita e quella degli altri. Questo è il fattore virale dominante.
Due i modi in cui le persone reagiscono (con tutte le sfumature intermedie). Da un lato, in positivo, la differenza percepita, sia rispetto ai nostri sogni, sia rispetto agli altri, può diventare uno stimolo costruttivo a impegnarsi maggiormente, a cercare di esprimersi meglio, a fare una sana autocritica per capire che cosa potremmo migliorare, che cosa sarebbe meglio lasciare, o lasciar andare, perché velleitario o perché ha fatto il proprio tempo; e che cosa invece meriti un investimento di vita, di passione, di entusiasmo ancora maggiore per regalarci un sorriso soddisfatto di noi e del nostro senso nel mondo. Dal lato opposto, la differenza percepita scatena invidia, rancore, amarezza, rabbia, aggressività, risentimento, accendendo il gusto di denigrare, di ferire, di criticare per ridurre il valore dell’altro, come se questo, da solo, aumentasse il nostro valore personale. Il che non è.
L’elemento critico è che oggi l’acredine sembra aver raggiunto dimensioni epidemiche. Basti vedere le espressioni di molti dei volti che ci circondano, ascoltare le ondate di insulti e di aggressività che si scatenano sul web: più le persone sono frustrate più si arrabbiano. I motivi per arrabbiarsi sono seri e precisi, dirà qualcuno. Vero. E tuttavia questa rabbia infettiva e pervadente, quest’acredine velenosa non porta da nessuna parte, peggiora la nostra vita e quella degli altri, familiari in primis. Molto meglio puntare lo sguardo su ciò che è positivo, e impegnarsi per amplificarlo. «Un mai contento è un disgraziato», sosteneva mia nonna con efficace sintesi.
Quali espressioni abbiamo più spesso sul volto? Da questo primo check dovrebbe partire un auto-esame per correggere l’atteggiamento interiore, riallenandoci a posare lo sguardo su tutti gli aspetti positivi che illuminano la nostra vita, e che spesso diamo per scontati. Impegnandoci a migliorare quanto può essere migliorato. E se siamo a buon punto in questo percorso? Bisogna ridurre l’impatto degli atteggiamenti negativi degli altri. Mi ha fatto pensare l’affermazione di una mia paziente cinquantenne, donna di grande positività e luminosità, che ha superato un cancro molto aggressivo: «A cinquant’anni, e dopo quello che ho passato, ho avuto la folgorazione: per vivere bene, e col sorriso, bisogna liberarsi dagli infrequentabili. Conoscenti, parenti o pseudo-amici che siano. Quelli con l’acredine stampata in faccia, prima di tutto!». Chapeau! E quando non è possibile, è saggio aumentare almeno la distanza interiore, quel sano distacco che protegge buonumore, sorriso e gioia di vivere.

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