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Innamoramento, gelosia, ottimismo: breve viaggio nei sentimenti degli over 50

20/09/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile professoressa, ho letto con interesse alcuni suoi recenti articoli sul rapporto di coppia dopo i 50 anni. Io di anni ne ho 54, e la mia compagna 51. Siamo insieme da poco tempo: un amore tardivo, dunque, ma che si preannuncia solido e sereno. Come scatta, a tutte le età, inclusa la nostra, il meccanismo dell’innamoramento? Che cos’è esattamente la gelosia: un ingrediente o una minaccia per l’amore? Ed è vero, come ho letto qualche tempo fa sulle pagine scientifiche di un quotidiano, che gli ultracinquantenni sono più ottimisti dei giovani, anche in amore? So che sono piccole curiosità, ma le sarò molto grato se potrà e vorrà rispondere”.
Mario D. (Brescia)
Gentilissimo signor Mario, le rispondo volentieri perché le sue “curiosità” riguardano in realtà questioni importanti per tutti. Iniziamo dalla prima domanda: qual è il meccanismo dell’innamoramento? Innamorarsi, ieri come oggi, è una delle esperienze più emozionanti della vita. Tanto più se si è ricambiati. Il punto chiave è che i tratti universali dell’innamoramento – il “meccanismo”, come lo chiama lei – sono rimasti sostanzialmente invariati, oggi come ieri.
Certo, variano molto, storicamente, lo spazio e la libertà che sono dati alla donna e all’uomo per esprimere i loro sentimenti: pensiamo solo alle società in cui è la famiglia a decidere la scelta del partner, nei cosiddetti matrimoni “combinati”. Tuttavia, questo non modifica l’esperienza soggettiva dell’innamoramento che, quando compare, si fonda su processi psichici e fisici universali.

In passato, forse, si dava più spazio alla maturazione dell'innamoramento…

Questo è certamente vero. Soprattutto le forti restrizioni sociali sul comportamento femminile, di per sé negative, facevano sì che la progressione dell’intimità fosse molto graduale. L’immaginazione, il sogno, la fantasia avevano uno spazio immenso: l’altro era intuito, assaporato, fantasticato in quella dimensione squisitamente individuale che è il mondo interiore. Lo scriversi, il parlarsi, il conoscersi pian piano nel carattere, nei moti dell’animo, nelle aspirazioni, nelle paure e anche nelle difficoltà, consentiva di costruire una maggiore stabilità di sentimenti, una più strutturata capacità di progetti, d’amore e di famiglia. Forse anche per questo la coppia era meno vulnerabile a quelle illusioni d’amore che tanta parte hanno oggi nel rapido dissolversi delle coppie.

Si dice spesso che la gelosia sia uno dei volti dell'amore: è vero?

La gelosia non è amore, è paura. Entro certi limiti, è un sentimento consapevole ed esprime il comprensibile timore che ognuno ha di perdere la persona amata. Ma quando chi teme di perdere il proprio partner arriva al delirio e alla violenza, è segno che qualcosa davvero non va. La gelosia può esplodere anche in chi se ne sentiva immune, quando la persona amata ha, per ragioni diverse, un’unicità che la rende preziosa e insostituibile. E’ un sentimento che può esplodere, per esempio, quando c’è una forte differenza di sentimenti in gioco. Quando l’altro è molto più giovane, più bello, più ricco, più attraente, più libero, più corteggiato. La gelosia è caratterizzata da dolore emotivo, da senso di perdita e da forti reazioni neurovegetative, che variano dalla collera alla rabbia, dall’eccitazione al pianto. E che variano anche a seconda della personalità, del sesso e dei meccanismi di difesa prevalenti nei confronti del dolore e degli scacchi della vita.

Quanti tipi di gelosia ci sono?

Freud riconobbe nella coppia tre tipi di gelosia (per i quali la rimando agli articoli sotto indicati), tutti caratterizzati da ambivalenza, ossia dalla coesistenza di sentimenti di segno opposto, quali amore e aggressività distruttiva, nei confronti della persona amata. In realtà questi tre tipi si muovono lungo un “continuum” di sentimenti e di reazioni emotive e neurovegetative che vanno dalla gelosia minima, spesso percepita solo interiormente e di cui il partner non ha quasi sentore, alla gelosia distruttiva e devastante che può arrivare all’omicidio, reale o simbolico, della persona amata e/o del rivale. Pensiamo all’ondata di femminicidi che caratterizza la nostra epoca.

Secondo alcune inchieste, gli ultracinquantenni sono più ottimisti dei giovani. Può l'ottimismo fare bene alla vita, correggendo gli effetti dell'invecchiamento?

Gli ottimisti vivono meglio, non c’è dubbio. Vivono anche più sani e più a lungo. Molti studi avevano già approfondito il rapporto tra depressione e salute globale, dimostrando come l’umore depresso porti con sé stili di vita meno salutari e una maggiore vulnerabilità a malattie dismetaboliche, diabete in primis, e cardiovascolari. Soprattutto a causa di queste, ma non solo, aumenta poi il rischio di una maggiore morbilità complessiva e di una vita tendenzialmente più breve. Ora, nuovi studi condotti sul fronte opposto ci dicono che gli ottimisti per temperamento veleggiano sereni non solo nel quotidiano ma anche verso l’età più avanzata, grazie a una più luminosa salute. E che l’ottimismo li protegge nei confronti di tutte le cause di mortalità – anche accidentali, oltre che legate alle malattie – con un vantaggio più forte sul fronte cardiovascolare.

Che cosa traduce l'ottimismo in salute? E cosa possiamo apprendere dallo stile di vita degli ottimisti?

Ereditarietà genetica e ambiente si intrecciano, nell’arco della vita, nel modulare l’atteggiamento emotivo che ognuno di noi ha verso l’esistenza. Innanzitutto, l’ottimista naturale è nato sorridendo. Probabilmente grazie a buoni geni, ereditati da almeno uno dei genitori, ma anche grazie a un ambiente uterino favorevole in gravidanza. Una mamma serena e una gravidanza fisiologica garantiscono infatti l’ambiente biochimico e affettivo ottimale per affacciarsi sul mondo con lo sguardo e la salute giusti. Di converso, le gravidanze difficili costituiscono uno stress di varia gravità per il bambino già in utero, aumentandone la vulnerabilità a disturbi di tipo depressivo, e a malattie cardiovascolari, quali l’ipertensione, specie quando un parto prematuro abbia ulteriormente complicato il quadro di esordio alla vita.
Gli affetti sereni, con familiari e coetanei, aiutano poi a maturare l’intelligenza emotiva, quella capacità immediata che l’ottimista ha di sintonizzarsi con gli altri, che è alla base anche della sua piacevolezza sociale. E che lo aiuta a superare comunque positivamente le prove che la vita non risparmia a nessuno. L’ottimista riesce a vedere un pezzetto di azzurro anche nel cielo più nero. Fin qui, dirà qualcuno, nessun merito: l’ottimista è nato fortunato. In realtà, ascoltando molte pazienti ottimiste, cui erano successe tragedie personali pesanti (da malattie gravi a lutti significativi), mi sono convinta che l’ottimismo, che pure ha una solida base genetica, viene anche coltivato, come stile di pensiero e di comportamento, da un altrettanto solido senso di responsabilità verso se stessi e verso gli altri.

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