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In famiglia: come proteggere l'amore

21/12/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Che atmosfera vibra oggi in famiglia? Quali emozioni dominano di più? Sono l’ansia, la collera, l’irritazione, la noia, la paura, o i conflitti continui che segnano il colore di fondo? O ci sono gioia, allegria, tenerezza, passione, gentilezza, gusto di stare insieme, preoccupazioni anche, ma condivise per il desiderio di trovare conforto e, se possibile, una soluzione positiva comune? (Quasi) tutto si può comprare, oggi, ma non una vita affettiva di qualità. Questo è il sogno di tutti, che si scontra tuttavia con una realtà sempre più deludente. Anzi, proprio quando i bisogni primari sono soddisfatti, le famiglie esplodono nei modi peggiori, le coppie si lacerano, silenzi e conflitti segnano i rapporti umani con cicatrici indelebili.
Davanti al Natale, c’è un modo per rileggere i nostri affetti e i nostri amori che non sia finzione di intesa, ma che riapra l’impegno di ciascuno sulla qualità della propria vita affettiva? Sì, purché ci sia chiarezza sulle priorità. Se l’equilibrio emotivo personale è il pilastro portante del nostro dialogo quotidiano con il resto del mondo, se la coppia è la base sicura su cui fondiamo il nostro benessere, se la famiglia è davvero il centro della nostra vita, allora c’è spazio per un forte salto di qualità. Che può realizzarsi se questa priorità è condivisa da almeno un’altra persona. Perché l’amore umano vive di reciprocità: cresce quanto più il sentimento si rispecchia negli occhi, nelle parole, nei toni, nei sentimenti e nei comportamenti della persona amata. Ovvio, si dirà. Sarà ovvio, ma nei comportamenti che possiamo osservare c’è sempre meno attenzione alla reciprocità. Il diritto ad esprimere i propri sentimenti, le proprie emozioni ed opinioni sempre e comunque, con impulsività non frenata, se non quasi con urgenza, senza riflessione né mediazione, uccide il prerequisito della reciprocità che è il rispetto dell’altro e dei suoi sentimenti. «Se io fossi lei/lui, mi piacerebbe sentirmi trattare così? Insultare così?». Questo dovremmo chiederci sempre, prima di parlare, lasciando andare a briglia sciolta le nostre emozioni più distruttive. Spesso, sostituendo la sostanza argomentativa con urla, insulti e volgarità, si ferisce irreversibilmente, e si creano in realtà le condizioni per lacerazioni sempre più profonde che allontano e paralizzano ogni possibilità ulteriore di recuperare rispetto e reciprocità di sentimenti.
Quali sono i nemici più frequenti di un dialogo quotidiano che, anche nella diversità di opinioni, mantenga la capacità di costruire affetto e amore, invece di distruggerli? Facile individuarli: basta ascoltare una coppia o una famiglia media quando litiga. Alla terza battuta, il tono di voce è già diventato aggressivo, più alto e tagliente. Il linguaggio volgare si esaspera: in questo, purtroppo, le donne hanno rapidamente raggiunto – e a volte superato – il livello di volgarità dei maschi. Pensando forse che sia una conquista che dia più forza argomentativa. Errore: ogni insulto – dell’uno o dell’altra – in realtà riduce drasticamente l’informazione di merito su quello che si sta discutendo ed esaspera l’interlocutore/trice, che immediatamente si arrocca sulle proprie idee. La possibilità di un dialogo è già finita: si scontreranno allora due monologhi, che lasceranno due persone irritate se non furiose, due cuori più o meno gravemente lacero-contusi, due solitudini più profonde di quando il litigio era iniziato. Certo, ci si può riappacificare. Ma dopo le frasi violente e le volgarità, la cicatrice resta. E resta nel cervello la vocina che ripete l’insulto ricevuto, specie quando ci si vorrebbe riappacificare. Come un semaforo rosso che dice: «Non ti fidare più». Passo dopo passo, la coppia si allontana. Ma si allontanano anche padre e figlio, madre e figlia. Si allontanano i fratelli e gli amici. Non è vero che il degrado corrente del linguaggio azzera il suo impatto sull’individuo. No. L’impatto resta e come, anche se è tanto maggiore quanto più sensibile è la persona e migliore la sua educazione.
«Con garbo e gentilezza si fa tutto nella vita», mi insegnava mia mamma. E mi piace ricordarla per questo invito a un tratto gentile verso gli altri e verso la vita. Che non significa essere deboli, né arrendevoli, né, men che meno, diventare vittime. No. Anzi si può essere tostissime/i e fare della gentilezza una scelta di vita, che richiede calma, autodisciplina, riflessione, allenamento a moderare la propria impulsività ma anche a controllare l’umana tendenza a imitare il linguaggio e i modi correnti. E richiede attenzione ai bisogni e alle vulnerabilità dell’altro o altra, amico, figlio o amore che sia. Se so di poter ferire e fondo con una battuta, faccio meglio a scegliere di non dirla, anche se in quel momento mi può consentire di chiudere in modo feroce e apparentemente vincente una discussione. Perché vinco ora, ma mi taglio i ponti alle spalle. Non è facile. Ma la gentilezza è la via regia per mantenere in casa e fuori – almeno con chi sa apprezzare – un’oasi di benessere emotivo, che nutre e fa crescere immensamente l’affetto e l’amore e la sensazione, sempre più rara, di essere amati e di saper amare.

Amore e relazioni affettive Famiglia e rapporti familiari Rapporto di coppia Riflessioni di vita

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