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Il bivio dopo il tradimento

11/07/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Il dolore (psichico) non ci lascia mai dove ci ha trovati. La sua terribile forza – da vero Principe delle Tenebre – mette a dura prova la nostra forza interiore, le nostre risorse, la nostra capacità di fiducia e di speranza, la nostra capacità di reagire, di individuare vie d’uscita alla sensazione di palude dolorosa che intrappola ogni pensiero. Ci consegna al rinnovamento o alla disperazione.
Uno speciale dolore psichico è quello che nasce dalla consapevolezza di aver tradito: si può tradire un amore, un ideale, un amico, una fede, un partner professionale, perfino un figlio o un genitore. Il tradimento non conosce barriere di età, né di tipo di legame.
Molti rinnegano di aver tradito, o addirittura incolpano l’altro di aver indotto – direttamente o indirettamente, consapevolmente o inconsciamente – il tradimento: “Se tu non mi avessi trascurato, io non ti avrei tradito. Se tu non avessi lavorato troppo, io non ti avrei tradito. Se tu non mi avessi umiliato, o detto troppe volte di no nell’amore, o non avessi guardato troppo le altre, o non mi avessi fatto credere che ... Se tu non avessi asfissiato la nostra coppia con un cumulo di rinunce e negazioni, fino a lasciare due scheletri di quello che è stato un grande amore... Se tu...”.
Altri, invece, sono divorati dal senso di colpa per la gravità del tradimento commesso. Con un dolore tanto più grande quanto più è lucida e profonda la percezione della gravità dell’errore commesso, e quanto più è pervadente l’orrore per l’abisso di insipienza, di superficialità, di vigliaccheria, di paura, che il tradimento implica. Il senso di colpa, tuttavia, può indurre a due atteggiamenti opposti. Ben esemplificati in quel grande paradigma del tradimento che è il rinnegare Cristo che sia Pietro sia Giuda fanno sul Monte degli Ulivi. “La differenza tra i due – scrive Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI, in “Dio e il mondo” (Edizioni San Paolo, pag. 299-300) – è carica di tensione. L’uno trova la strada del pentimento e viene riaccolto. E’ pronto ad accettare il perdono. Non dispera. Soffre (...). L’altro è tanto inorridito dal proprio stesso tradimento da non credere più nel perdono. Questa è la vera differenza. Due diversi tipi di rimorso, di autoaccusa. Uno che non degenera mai nel nichilismo e che non è refrattario a un processo di ricomposizione delle ferite aperte dal male. E uno in cui invece si è spenta la fede nel perdono, che si abbandona all’autoannientamento e annichilisce le possibilità di rinnovamento ancora aperte. Credo che questa sia una lezione importante per tutti coloro che, in modi diversi, hanno consapevolezza della colpa e tentano di elaborarla. Un’autocondanna falsamente dilatata, che degenera nella negazione totale di sé, non è un modo appropriato per rapportarsi alla colpa”.
Più in generale, questi due atteggiamenti ripropongono i meccanismi universali di fronte al dolore psichico in cui riconosciamo una nostra responsabilità e una nostra colpa. Nel primo, in cui Pietro rappresenta il paradigma del traditore – per vigliaccheria e per paura – che alberga insidioso in ognuno di noi, la consapevolezza diventa la spinta per mettersi profondamente in discussione. Per capire le ragioni profonde personali della debolezza, della paura, della mancanza di coraggio, della delusione di sé, della fuga dalla responsabilità, anche di fronte a situazioni che potremmo – impegnandoci – cambiare, e che invece lasciamo andare all’inerzia dello sfacelo. La consapevolezza costruttiva della colpa diventa allora la molla di una crisi evolutiva, di una trasformazione dell’Io e della stessa personalità che attraverso l’errore – e l’appropriato dolore che la persona attraversa, in solitudine come in un deserto – porta a un equilibrio personale più saldo, più generoso di sentimenti e di affetti, più capace di apprezzare l’immensa e irrepetibile bellezza della vita, che il tradimento ha oltraggiato. In Giuda, la consapevolezza della colpa apre l’abisso della paura della irrimediabilità, della disperazione, della perdita di ogni speranza. Che può finire nel suicidio. O in quella “pietrificazione emotiva”, quel congelamente della capacità di amare e di emozionarsi ancora, che più spesso vediamo nella vita reale.
L’amore, nei suoi vari aspetti, contiene intrinsecamente la potenzialità del tradimento. E tuttavia, proprio nell’attraversare fino in fondo il dolore e il senso di colpa che il tradimento ha causato, c’è una straordinaria possibilità trasformativa e di riscoperta di una più alta e grande capacità di amare.

Crisi esistenziale Rapporto di coppia Tradimento

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