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Dove abita il mal d'amore

14/12/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Dove abita il dolore d’amore? Quell’angoscia di essere abbandonati, o il terrore di aver già perduto la persona amata, abita tutto il nostro corpo. A torto pensiamo che essendo un dolore “psicogeno”, causato da una perdita affettiva, sia una sorta di nuvola nera posta al di sopra della nostra testa. No. Il dolore dell’abbandono, reale o temuto, è un potentissimo fattore di stress, innanzitutto fisico. Lo vive il neonato, lo vivono i cuccioli allontanati dalla madre. Lo riviviamo da adulti e, in modo ancora più straziante, da anziani. La lacerazione nel sentirci abbandonati causa innanzitutto una primordiale reazione di allarme: perché viviamo l’abbandono, e la solitudine che ne consegue, come una minaccia per la nostra stessa vita, psichica se non fisica, come invece succede nei più piccoli. Ed ecco che aumentano per giorni e settimane gli ormoni dello stress: sono loro che rendono inquieto il sonno, fino a causare l’insonnia più feroce. Ma la carenza di sonno, a sua volta, aumenta ancora di più i glucocorticoidi, che frenano progressivamente le cellule nervose che producono dopamina: un neurotrasmettitore importante, che nel nostro cervello media funzioni diverse, a seconda della regione in cui agisce. E’ la dopamina che aumenta l’energia vitale, il desiderio di amare, di conquistare, di esistere facendo: ed ecco l’“inquieta inerzia”, come già la definì Lucrezio, quello state fermi inquieto e sofferente, in cui stiamo male dappertutto, e nulla più ci dà gioia (“anedonìa”), o ci solleva dalla nostra voragine di dolore. Ma la dopamina è anche il neurotrasmettitore principe del movimento, e questo ci aiuta a capire la parallela tendenza all’immobilità fisica, come se una ruggine di dolore bloccasse ancor di più la voglia di muoversi. Ed è anche, interessante, il mediatore del pensiero logico lineare. Ed ecco l’alterazione del giudizio, quando si teme di aver perduto la persona amata, o che questa ci abbia tradito. Un’alterazione che può arrivare al delirio paranoico tipico di certe forme di gelosia, non a caso definita delirante, così ben personificata nell’Otello di Shakespeare. Ma il dolore d’amore riduce anche la serotonina, il mediatore che regola il tono dell’umore: ed ecco la malinconia, la nostalgia – non a caso “il dolore del ritorno” –, la tristezza fino alla disperazione, l’angoscia, il pianto, il dolore “viscerale”. Le parole comuni, il linguaggio della vita, hanno già descritto da secoli in modo perfetto una verità di cui solo oggi cominciamo a capire la base neurobiologica. Perché la serotonina è contenuta nel cervello solo per il 5%. Tutto il resto abita il corpo e in particolare il sistema gastrointestinale, il nostro “cervello viscerale”. Ecco perché “somatizziamo” a livello fisico: non perché ci “inventiamo” il dolore, come alcuni ignoranti minimalisti pensano, ma perché il dolore, anche psicogeno, abita tutto il nostro corpo: ed ecco il mal di stomaco, la perdita di appetito, i dolori migranti addominali che partono dal colon (“il grande mimo” biologico), che può simulare dolori al fegato, alla milza, all’utero, alle ovaie o alla vescica solo perché la sua distribuzione anatomica, e l’irradiazione del dolore nato dall’attivazione delle fibre nervose che riccamente lo percorrono, si sovrappongono alla proiezione del dolore proveniente da questi altri visceri. Si abbassa la soglia del dolore fisico, perché lo stato di allarme che accompagna il violento stress dell’abbandono affina le antenne verso gli altri possibili segnali di danno fisico. Ma succede anche un’altra cosa importantissima: lo stress fisico, pur scatenato da cause psichiche, attiva uno stato infiammatorio, specificamente gastrointestinale, oltre che generale, che causa la liberazione massiccia di interleuchina 1, il grande mediatore delle infiammazioni: è lei che ci fa sentire esausti come se avessimo la febbre, che ci fa sentire o esaspera i dolori alle articolazioni, ai muscoli, alle ossa. Quando è violento il dolore d’amore, quando è atroce l’angoscia di aver perso la persona amata, sia esso un compagno di vita o un figlio, possono infine dare una vasocostrizione così rapida e violenta da bloccare le coronarie, fino alla morte per crepacuore.
Il dolore d’amore abita dunque tutto il nostro corpo: in acuto, subito dopo un abbandono reale o temuto, quando abbiamo paura di non essere più amati o quando ci tormenta la gelosia, sia essa per un nuovo fratellino o un temuto rivale in amore. O in modo cronico, quando non riusciamo a superare la perdita, quando non riusciamo a ritrovare fiducia nella possibilità di amare e di essere ricambiati ancora. Oppure quando, come nell’anziano, l’abbandono lo consegna alla tremenda irreparabile solitudine delle case di riposo.
Spesso il dolore d’amore si ripresenta bruciante, anche quando ci sembrava di stare un po’ meglio, in occasione di un anniversario. A volte è proprio il corpo che, ripiombando nel dolore violento di allora, ci ricorda la persona e l’amore che abbiamo perduto. In questo senso il Natale è tremendo: per definizione festa della famiglia e degli affetti, ferisce con un nuovo colpo al cuore tutti quelli che hanno sofferto per amore. Quando silenziosamente ci si conta e manca quell’uno che più di tutti ci era caro. Ricordiamocene, perché stare vicini, proprio a Natale, a chi ha sofferto per amore, sia esso un amico, un fratello, un figlio, un genitore, è la cura migliore per il suo corpo e per il suo cuore.

Dolore acuto / Dolore cronico Riflessioni di vita Solitudine Stress

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