«Io e mia sorella eravamo due gocce d’acqua. Nel fisico. E nel carattere. Lei era più grande di me di tre anni. Eravamo due gemelle, nate in differita di 1000 giorni, come dicevamo scherzando. Lei mi ha voluto bene fin da quando sono nata. Voleva sempre farmi le carezzine, ricordava mia mamma, e coccolarmi. Gelosia zero. Complicità tanta. E’ stata il mio apripista, nei giochi e nella vita. Era la mia confidente, l’unica persona di cui mi fidassi. Una sua critica mi faceva riflettere tanto. Un suo apprezzamento mi faceva sorridere dalla punta dei piedi ai capelli. E mi rendeva felice per giorni. I nostri mariti sono sempre stati gelosi di questa intesa. Per grazia di Dio non i nostri figli, che adesso sono grandi. Purtroppo…».
La voce s’incrina, la signora fatica a trattenere le lacrime.
«Purtroppo mia sorella ha avuto un infarto secco, senza preavviso. Quasi. Da qualche giorno aveva un po’ di dolore alla schiena, tra le scapole. Si sentiva debole, lei che era una forza della natura. “Ti stressi troppo – le dicevo – ti chiedi troppo! Prenditi una pausa!” Ma chi pensava all’infarto, a sessant’anni? Non riesco a perdonarmi. Ci avessi pensato, forse ora sarebbe ancora viva… Sa, mia sorella lavorava tantissimo, aveva una sartoria su misura che andava a mille. Aveva occhio e gusto. Solo che lavorava 12-14 ore al giorno. Tempo per lei poco. Il resto delle energie le dedicava alla famiglia. Dormiva niente. Per riuscire a fare tutto bene rosicchiava il sonno. Sport zero. Magra, perché si dimenticava di mangiare. Fatica e sacrifici tanti».
«Intuisco quanto sia stato tremendo perderla...».
«Mi sento come un vaso andato in pezzi. Sono qui con i cocci in mano… Sono devastata. La morte di mia sorella è stata uno shock, non solo per la voragine di affetto che mi si è aperta sotto i piedi. Non faccio che pensare che adesso ho davanti solo mille giorni. Anch’io lavoro tanto, sono commercialista. Lei era l’artista, io la contabile, dicevamo ridendo. La sua morte è così ingiusta, così prematura. Alterno la rabbia alla disperazione. E ho davanti solo mille giorni».
«Perché insiste sui mille giorni?».
«Eravamo così uguali che anch’io morirò a sessant’anni…».
«Meglio evitare le profezie negative che si autoverificano – dico piano – E in positivo?».
«Vorrei rimettere insieme i cocci della mia vita. Vivere meglio questi ultimi mille giorni. Vorrei vivere per me e per mia sorella. Vorrei lasciare quello che ha fatto il suo tempo, ora che ho toccato con mano che la vita può finire in un giorno. Finché qualcosa di tragico non ti colpisce da vicino, non lo capisci. Mi è caduto dagli occhi il velo dell’ottusità. Quel velo che ci fa correre come automi, per andare più in fretta nella cassa».
«Quali erano i sogni nel cassetto che avevate tutte e due, e che non avevate realizzato?».
Mi guarda sorpresa e pensosa. Una pausa di silenzio commosso. Poi un sorriso: «Ah, sì! Suonare il pianoforte. Da piccole ci sarebbe piaciuto tanto, ma la nostra era una famiglia modesta. Non potevamo permettercelo». «Perché non prende lezioni di piano? Realizzerà un sogno condiviso, fatto di bellezza e di poesia. L’aiuterà a rimettere insieme i cocci. Con un filo d’oro, come insegna l’arte giapponese del kintsugi. Per sentirla ancora vicina».
«Magari…».
«E i momenti belli, che vi piaceva condividere?».
«Camminare nei boschi, insieme, fin da piccole. La nostra casa era sulle Prealpi feltrine. Era un regalo grande prenderci una giornata per andare per boschi noi due».
«Torni a camminare nei boschi, per gli stessi sentieri. Nuotare nel verde, in silenzio, dà un sollievo grande al dolore. Si prenda un giorno infrasettimanale, per continuare il dialogo interiore con sua sorella. Il bosco l’aiuterà. Camminando nel verde sentirà la tensione andare via. Pian piano, pensando a sua sorella, la sentirà vicina. Le tornerà il sorriso».
Tace un po’.
«Mia sorella direbbe: ricomincia dal bosco. Poi il pianoforte. Puoi sempre spostare in avanti i mille giorni… ora abbiamo tempo».
La voce s’incrina, la signora fatica a trattenere le lacrime.
«Purtroppo mia sorella ha avuto un infarto secco, senza preavviso. Quasi. Da qualche giorno aveva un po’ di dolore alla schiena, tra le scapole. Si sentiva debole, lei che era una forza della natura. “Ti stressi troppo – le dicevo – ti chiedi troppo! Prenditi una pausa!” Ma chi pensava all’infarto, a sessant’anni? Non riesco a perdonarmi. Ci avessi pensato, forse ora sarebbe ancora viva… Sa, mia sorella lavorava tantissimo, aveva una sartoria su misura che andava a mille. Aveva occhio e gusto. Solo che lavorava 12-14 ore al giorno. Tempo per lei poco. Il resto delle energie le dedicava alla famiglia. Dormiva niente. Per riuscire a fare tutto bene rosicchiava il sonno. Sport zero. Magra, perché si dimenticava di mangiare. Fatica e sacrifici tanti».
«Intuisco quanto sia stato tremendo perderla...».
«Mi sento come un vaso andato in pezzi. Sono qui con i cocci in mano… Sono devastata. La morte di mia sorella è stata uno shock, non solo per la voragine di affetto che mi si è aperta sotto i piedi. Non faccio che pensare che adesso ho davanti solo mille giorni. Anch’io lavoro tanto, sono commercialista. Lei era l’artista, io la contabile, dicevamo ridendo. La sua morte è così ingiusta, così prematura. Alterno la rabbia alla disperazione. E ho davanti solo mille giorni».
«Perché insiste sui mille giorni?».
«Eravamo così uguali che anch’io morirò a sessant’anni…».
«Meglio evitare le profezie negative che si autoverificano – dico piano – E in positivo?».
«Vorrei rimettere insieme i cocci della mia vita. Vivere meglio questi ultimi mille giorni. Vorrei vivere per me e per mia sorella. Vorrei lasciare quello che ha fatto il suo tempo, ora che ho toccato con mano che la vita può finire in un giorno. Finché qualcosa di tragico non ti colpisce da vicino, non lo capisci. Mi è caduto dagli occhi il velo dell’ottusità. Quel velo che ci fa correre come automi, per andare più in fretta nella cassa».
«Quali erano i sogni nel cassetto che avevate tutte e due, e che non avevate realizzato?».
Mi guarda sorpresa e pensosa. Una pausa di silenzio commosso. Poi un sorriso: «Ah, sì! Suonare il pianoforte. Da piccole ci sarebbe piaciuto tanto, ma la nostra era una famiglia modesta. Non potevamo permettercelo». «Perché non prende lezioni di piano? Realizzerà un sogno condiviso, fatto di bellezza e di poesia. L’aiuterà a rimettere insieme i cocci. Con un filo d’oro, come insegna l’arte giapponese del kintsugi. Per sentirla ancora vicina».
«Magari…».
«E i momenti belli, che vi piaceva condividere?».
«Camminare nei boschi, insieme, fin da piccole. La nostra casa era sulle Prealpi feltrine. Era un regalo grande prenderci una giornata per andare per boschi noi due».
«Torni a camminare nei boschi, per gli stessi sentieri. Nuotare nel verde, in silenzio, dà un sollievo grande al dolore. Si prenda un giorno infrasettimanale, per continuare il dialogo interiore con sua sorella. Il bosco l’aiuterà. Camminando nel verde sentirà la tensione andare via. Pian piano, pensando a sua sorella, la sentirà vicina. Le tornerà il sorriso».
Tace un po’.
«Mia sorella direbbe: ricomincia dal bosco. Poi il pianoforte. Puoi sempre spostare in avanti i mille giorni… ora abbiamo tempo».
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