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Diversamente coraggiosi

20/03/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Diversamente dotati”? O, addirittura, persone che hanno ricevuto altri doni, come recita l’inglese con il suo “otherwise gifted”, al posto di “handicappati”? Per una volta non si tratta di un inutile eufemismo politicamente corretto, ma di un cambio sostanziale di sguardo sull’esistenza e sulle potenzialità – anche di realizzazione personale e di felicità – di chi ha avuto dalla vita uno scacco drammatico. Può trattarsi di una malattia genetica, come la distrofia muscolare. O degli esiti di un parto disastroso, che ti lascia con un’emiplegia o addirittura con una tetraparesi spastica. Oppure di un incidente che ti ruba per sempre l’uso delle gambe, o che ti lascia amputato. O di una malattia acquisita, come la sclerosi multipla, che può derubarti piano piano della tua autosufficienza.
Per ben due milioni e mezzo di italiani, la perdita di componenti preziose della salute – dall’autonomia fisica all’integrità corporea, dalla piena funzionalità dei sensi all’integrità neurologica – non comporta necessariamente un destino di infelicità o di emarginazione, come superficialmente si è portati a credere. E nemmeno di dipendenza dall’assistenzialismo degenerato che può sfamare il corpo ma lasciar morire di fame la mente e il cuore. Rappresenta invece una sfida all’intelligenza e alle risorse dell’anima, un sesto grado che richiede coraggio immenso, fiducia, nonostante tutto, capacità di creare reti di affetto diverse. E che esprime un amore per la vita che ha saputo resistere anche a bastonate da lasciare senza fiato, un entusiasmo e un gusto di sentirsi vivi che hanno saputo rinascere più forti dalle ceneri di un’integrità mai avuta, e solo sognata, o gustata e perduta. Gli atleti in gara a Torino, in questi giorni di Paralimpiadi, ci stanno aprendo gli occhi su un mondo parallelo su cui dovremmo riflettere molto. Eppure loro sono solo la punta dell’iceberg.
Sì, perché c’è un vento nuovo, in Italia e nel mondo. Una crescita di consapevolezza su una rivoluzione copernicana che si sta compiendo, gradualmente ma con passione e convinzione profonda, nella nostra società. E i rivoluzionari sono proprio loro, i diversamente dotati. Persone che non si sono arrese a limiti anche spaventosi, a diagnosi lapidarie, a destini di dolore e di solitudine. E’ la più pacifica delle rivoluzioni, quella che sta avvenendo. Quando i cosiddetti normali pensano solo a protestare contro qualsiasi cosa distruggendo l’ambiente e se stessi, loro pian piano costruiscono. Costruiscono opportunità nuove, per sé e per gli altri compagni di una vita che è diventata una grande sfida a come ritrovare la pienezza di sé per strade mai battute prima. Una rivoluzione così garbata che molti di noi non se ne sono nemmeno accorti, chiusi nella cecità del loro essere “normodotati gravi”, mai contenti, pronti a lamentarsi di tutto e tutti, schiavi del conformismo della normalità, inconsapevoli di quanto sia straordinario già l’essere ancora nel possesso di tutte le proprie capacità, fisiche ed intellettuali, così spesso sprecate.
“Ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andando via”: questo sosteneva Proust, e moltissimi di noi si sono trovati, troppo tardi, in questa tragica situazione, fisica e/o emotiva. E invece sarebbe straordinario ripensare alle nostre vite, finché sono piene, uscendo da egoismi compiaciuti, per rileggerci in una dimensione più consapevole e generosa, aprendo i nostri occhi chiusi. Cominciando proprio dai nostri bambini, dai nostri ragazzi, a scuola. Aiutandoli a riflettere su che cosa significhi trovarsi a ripensare la vita da un’altra prospettiva, riuscendo a trovarla comunque meravigliosa. Aprendo le scuole a dialoghi che valgono più di qualsiasi libro di testo. Incontrare gli atleti delle Paralimpiadi può costituire per un ragazzo, per una ragazza, spesso in crisi adolescenziale, un’occasione straordinaria per ripensarsi. Per ritrovare il gusto di esistere.
C’è anche un libro che suggerirei agli insegnanti di considerare come lettura formativa, già dalle medie in poi. Si intitola “E li chiamano disabili” ed è di Candido Cannavò (Rizzoli). Un libro originale che è un viaggio attento ed empatico in vite “difficili, coraggiose, stupende”, di cui racconta la forza, e non le debolezze, il coraggio e la tenacia, e non le impossibilità. Un mosaico di racconti in cui anche la commozione si affaccia in punta di piedi, quasi con pudore. I protagonisti, che hanno le ragioni più diverse per essere stati catapultati nel mondo della disabilità, hanno un denominatore comune che è il motore profondo di questa rivoluzione silenziosa: la voglia di essere ancora protagonisti della loro vita, e non esseri passivi a rimorchio della società. L’impegno a essere persone attive, che hanno qualcosa di prezioso da dare agli altri, nel lavoro, nell’arte, nell’amore e nella vita. Che riescono a essere non solo mariti o mogli, e padri e madri, e figli, in famiglie di grande cuore, ma anche professionisti eccellenti: chirurgo, scultore, ballerina, pianista o batterista, scrittore, scienziato, giornalista... Che sanno catalizzare intuito, volontà, fede, fermezza, sensibilità. Che non hanno ceduto alla malattia la qualità della loro vita. Che sono riusciti a far sbocciare l’aiuto preziosissimo ricevuto da famiglie coraggiose, da madri e padri che nei limiti di un figlio hanno colto la spinta ad amare la loro creatura comunque, senza incertezze e senza rimpianti, con un affetto ancora più grande e più forte, capace di cercare con tenerezza infinita un altro approdo, un’altra possibilità di esistere pienamente.
E’ confortante trovare nelle vite di cui si fa portavoce Cannavò anche la solidità di chi, “normale”, non ha visto nella tragedia che ha colpito l’amico o il figlio una ragione di fuga o di disperazione, ma la spinta a rileggere la propria vita. E l’entusiasmo di donne e uomini che si sono innamorati proprio di chi è stato sfidato dal destino, e sono capaci di un amore solidissimo, che resiste a prove difficili, con una tenacia e una forza ormai sconosciute alle coppie normali che saltano al primo sassolino nella scarpa.
In questo mondo che va così sconsolatamente alla deriva, ci sono in ognuno di noi possibilità inespresse di una vita più alta, più luminosa, più generosa, più appagante. E molto potremmo apprendere da chi, dopo un colpo bieco del destino, è riuscito a trovare una misura straordinaria.
Perché non aprire su questo mondo, che ci sta parlando con voce sempre più alta e chiara, gli occhi e le antenne della mente e del cuore?

Autorealizzazione Giochi olimpici e paralimpici Handicap e disabilità Riflessioni di vita

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