Oggi più di ieri, il diventare genitori del primo figlio può costituire una prova che la coppia non riesce a superare: spesso lontana dalle famiglie di origine, può trovarsi ad affrontare in solitudine giorni e mesi molto difficili che possono rivelarsi fatali per la coppia stessa: il cosiddetto “baby-clash”. Lo rivela il picco di separazioni nei primi due anni dopo la nascita del primo figlio. Purtroppo la crisi può segnare anche il futuro del bambino, che vive situazioni di tensione, di aggressività, di urli, se non di percosse, per cui diventa il capro espiatorio di tutti gli aspetti irrisolti dei genitori in crisi, ancor più se è fragile o problematico. I recenti tragici casi di cronaca sono la punta dell’iceberg di un sommerso di violenza e aggressività che nascono, anche, dall’impreparazione e dall’incapacità di diventare genitori in modo adeguato.
Un corposo filone di ricerca americano, iniziato da Jay Belsky e John Kelly, ha studiato la “transition to parenthood”, il diventare genitori, analizzando centinaia di coppie seguite per tre anni dopo la nascita del primo figlio. Dopo il parto, i cambiamenti riferiti dai partner studiati sono più negativi che positivi, e ugualmente dirompenti per lui, per lei e per la coppia. Interessante: vengono analizzati molti fattori psicologici, relazionali e contestuali, ma non viene considerato alcun fattore biologico, più facile da prevenire e da curare, che può concorrere alla crisi, lasciando così azzoppate anche le soluzioni e le terapie. Aveva ragione Alexander Lurjia, grande neurologo russo: «Dobbiamo ricomporre la frattura che ha percorso tutto il Novecento tra una medicina senz’anima e una psicologia senza corpo».
Tre gli aspetti relazionali più colpiti. Primo, la componente romantico-erotica è in asfissia: non ci sono più tempo ed energie per i rapporti. Ne soffrono di più gli uomini, forse perché la donna ha una soddisfazione maggiore, nel rapporto con il figlio, rispetto al partner. La percentuale di mariti che giudicano “buona” la qualità della relazione di coppia passa dall’84 per cento al 48 per cento dopo la nascita del primo figlio, con un crollo ancora più deciso per la qualità della vita sessuale, giudicata buona dal 69 per cento degli uomini prima della nascita e solo dal 28 per cento di loro, dopo: dati da allarme rosso. Secondo: la componente di complicità amicale, libera e giocosa, nei viaggi, nello sport, nelle serate allegre in discoteca con gli amici, tipica delle coppie attuali, si perde, con una sensazione di “autonomia ingabbiata” che rende i partner insofferenti e proni alle evasioni, nel troppo lavoro e nello sport, o a più carnali fughe in avventure o nuove relazioni. Terzo: solidarietà e condivisione nell’accudimento e nelle cure della casa aumentano, soprattutto se entrambi lavorano. Tuttavia, più aumenta la sensazione di essere non una coppia ma una “società di servizi”, come mi ha detto un marito in crisi, più erotismo e complicità amicale vengono smarriti. Sono fattori di allarme: l’impoverimento qualitativo e quantitativo nel dialogo di coppia; il disaccordo sul come condividere i compiti, anche di accudimento del piccolo; stress e crisi nel matrimonio o nella convivenza prima della nascita.
L’avere un figlio non unisce di più una coppia in crisi: la fa esplodere definitivamente. E allora? E’ essenziale prepararsi ai cambiamenti da coppia a famiglia, per cui (quasi) nulla sarà più come prima. In parallelo, vanno ben curati tre fattori biologici che rendono ancora più problematica la transizione: l’anemia da carenza di ferro, la depressione e le cause fisiche di dolore ai rapporti (che colpisce il 43% delle donne a 6 mesi dal parto e il 23% dopo 18 mesi). La recessione procreativa in atto nasce anche dalla crisi dopo il primo figlio. E «al secondo non ci pensiamo proprio più!».
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