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Dirsi addio, con un sospiro

05/12/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Preparalo, come per un concorso». O’Dooley, vecchio e malato, era fuori, nel prato. Aveva la sua coperta, la sua capannetta, ma era infinitamente triste. Ancora di più perché pioveva, quella pioggia malinconica, sottile e uggiosa, che sembrava Irlanda. Ma non era la sua Irlanda, dove era nato e cresciuto, con un’ottima scuola. Perfetto in dressage. Nel prato c’era tanto pantano e faceva freddo. Più di tutto gli mettevano tristezza quelle gambe che non si muovevano quasi più. Ogni passo, una fatica tremenda. E ancora più tristezza gli metteva non lavorare nella scuola e restare solo. Non aveva più il gusto di una volta, a stare nel prato. Una volta gli piaceva, era bello dopo il lavoro. Ora non più. Sì, c’erano altri cavalli negli altri recinti, ma nessuno con cui potersi strofinare e coccolare. Gli occhi erano tristi, quasi assenti. Si rianimavano, e mi sorrideva, quando andavo a trovarlo, ogni giorno in cui andavo al maneggio, e gli portavo zuccherini, mele e carote. Aveva un cuore grande, O’Dooley. Coraggioso, allegro, attento, affettuoso. Con una pazienza misteriosa che era fatta di intuizione, di incoraggiamento e di ascolto: un vero professore, come si dice dei cavalli che hanno cuore e cervello, e un grande passato. Finiti i concorsi, era diventato un cavallo della scuola. Ci siamo piaciuti subito, tanti anni fa, per quei feeling misteriosi che scattano in un secondo, anche con gli animali, e non basta una vita a spiegarsi perché. Intuiva quello che volevo fare, e anche se lo chiedevo in modo impreciso, mi aiutava a farlo sempre meglio. Sapeva rendermi felice dei piccoli progressi, dei dettagli. Da giovane era stato un grande cavallo. Ora gli piaceva insegnare. «Coraggio – mi diceva – riprova!». Mi consolava e mi ridava fiducia. «Dai, riprova…».
«Preparalo, come per un concorso», dice l’istruttore. Parte lesta la ragazza, va a prendere O’Dooley nel prato, in quel giorno torvo e grigio. Lo lava con dolcezza, lo asciuga, lo striglia bene. Il bel muso baio si riaccende di luce. Lo mette in un box luminoso col truciolo tenero e il fieno profumato e fresco. O’Dooley si guarda intorno, soddisfatto. Gli piacciono tanto quelle cure, quanti bei ricordi… C’è un bel tepore e la luce e gli altri cavalli e i suoni familiari. Il profumo del fieno è ancora più buono. Il cuore è contento, ma le gambe non rispondono più. Con fatica si stende. «Guarda che O’Dooley non è più nel prato, è nel box in fondo», mi dice la ragazza quando la incontro perché lo sto cercando. Mi illudo per un attimo, quando lo vedo. Così pulito, col pelo brillante e lucido, è ringiovanito. E’ ancora così bello, penso. Non può essere il suo ultimo giorno. Il bel muso intelligente mi guarda intenso. E’ sdraiato, ora. Non riesce ad alzarsi. Ha capito. Mi accuccio e gli porgo gli zuccherini, le mele, le carote, il fieno. Intanto lo accarezzo piano piano. E’ lui che mi sorprende, ancora una volta. Pian piano, con gentilezza per non farmi male, lui che è così grande, appoggia la testa sulle mie ginocchia. «Fammi ancora una carezza», sembra mi dica. Lo sguardo è intenso. Risento una dolcezza acquietata e antica. Lascio andare il tempo. Il suo respiro diventa lento e profondo, quasi un sospiro. Si abbandona, con la stessa fiducia, fatta di amore e nostalgia, che ho sentito in mia madre quando mi è morta tra le braccia. Mi scorre tra le mani la stessa commozione, mentre sento la tristezza irreparabile di un altro addio. Ha capito. Non sarà un concorso. E’ arrivato il momento di portarlo in clinica. Si alza con fatica, lentamente va verso il trailer. Vanno e vengono i cavalli, in una scuderia dove si fanno tanti concorsi. Chi non è in gara, se ne sta tranquillo nel suo box. Quel giorno esce solo lui. Prima di salire, guarda un’ultima volta la scuderia. E lancia un nitrito, basso e lungo. La voce di O’Dooley, sempre così calma, dice qualcosa di particolare, di speciale. Tutti i cavalli alzano la testa attenti. E nitriscono. Un brivido ci prende. Non succede mai. Tutti gli hanno detto addio, in quel giorno grigio e senza più tempo. Addio O’Dooley. Un ultimo zuccherino e una sedazione serena, senza più dolore. Penso che tutti dovremmo morire così, accompagnati, con una carezza dolce e un sospiro. Non soli e disperati nelle rianimazioni. Forse dovremmo avere le stanze affettuose degli addii, anche negli ospedali. Come a casa, per chiudere gli occhi abbracciati a chi ci ama. Se Dio esiste, e avrà misericordia, forse mi farà ritrovare anche i dolci cavalli che ho amato, per correre e ridere felici, nelle immense praterie dell’infinito.

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