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Cyberbullismo: autoprotezione e prevenzione

26/09/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Un’immagine sessualmente appetitosa sul web diventa subito virale. E’ infettiva, incontrollabile, imprevedibilmente dannosa. A volte fatale, come dimostrano i recenti casi di suicidio di ragazze di cui erano state messe on line foto e filmati espliciti. Curiosi, voyeuristi, guardoni, perditempo, frustrati, sessuali e non, oppure gli “ex” vendicativi, sono gli untori che la propagano. La metafora del virus è efficace per discutere meglio come proteggersi e come insegnare ai nostri ragazze e ragazze una diversa consapevolezza dei pericoli del web quando l’oggetto è l’esibizione del proprio corpo e della propria intimità.
In medicina si parla di prevenzione primaria, quando l’obiettivo è evitare che un dato evento patologico si verifichi; secondaria, quando si fa una diagnosi precoce di un problema già iniziato, per limitarlo; terziaria quando si è in fase avanzata di malattia e si cerca di ridurre i danni più gravi, con variabile efficacia.
Nei confronti dell’esibizione della propria intimità sessuale sul web dovremmo usare le stesse strategie: la prevenzione primaria è non farsi filmare/filmarsi, per evitare il problema prima che insorga. Perché è così difficile non farlo? Perché a molte la visibilità sul web, con un crescendo di eccitante esibizionismo sessuale, sembra l’unico modo di esistere. Una sirena potente, la visibilità, tanto seduttiva quanto pericolosa. E la libertà di fare quello che si vuole? La mia libertà finisce non solo dove inizia quella dell’altro, ma quando non posso più controllare le conseguenze della mia libertà. Mai armare la mano di chi può umiliarci e ucciderci, in senso metaforico e, purtroppo, anche reale. Vuoi far sesso in cento modi, cinquanta sfumature o tre partner? Maggiorenni e consenzienti, oggi, uomini e donne possono fare quello che vogliono nell’intimità del segreto e della riservatezza. Con una barriera di protezione, che è fatta di silenzio o di confidenze verbali. Quando invece tutto viene filmato nei particolari della promiscuità, dell’esibizione o dello stupro, si è creato un palcoscenico reale, e non solo virtuale, fatto delle realissime persone che guardano e diffondono, e da migliaia di spettatori che possono entrare in azione.
Perché tuteliamo la nostra privacy, di cui siamo così gelosi, nelle sciocchezze, e non lo facciamo nella sostanza, fino a farci divorare vivi sul web per leggerezza, per superficialità, per “gioco”? Possibile che ancora oggi ragazze e ragazzi non abbiano capito che il gioco di esibirsi può devastare la loro vita? E che la ricerca affamata dei “like”, tramite le immagini sexy, è un boomerang veloce e feroce? In nome della libertà sessuale, del gusto e del diritto alla trasgressione, neghiamo un fatto evidente: anche in una società che si dichiara laica e ipermoderna, i codici di “giudizio morale” sul comportamento di una donna sono rimasti arcaici e feroci. Tanto vale prenderne atto e proteggersi in modo radicale e sostanziale: tolleranza zero a immagini e filmati hard. Punto. E spiegarlo a figli/e e allievi/e, discutendo in classe le storie drammatiche che periodicamente ci interrogano sul linciaggio mediatico e reale cui si espongono le protagoniste dei filmati. Con un caveat in più: ragazze, attente all’alcol! In condizioni di ebbrezza alcolica e ancor più di ubriachezza, possiamo essere usate e violentate nei modi peggiori. Oggi il “social drinking” furoreggia? Il fatto che sia “social” non lo fa affatto diventare né “normale”, né innocuo, anzi. Sempre sulla linea della prevenzione primaria, il non bere consente di divertirsi ma anche di sentire, con le antenne iperlucide della consapevolezza, quando la situazione, in discoteca, per esempio, sta diventando pericolosa, quando sta sfuggendo al controllo, quando è meglio andarsene in tempo. E il partner (o l’amica) che filma e fa circolare, usa quel corpo ma non ama quella donna. Chi ama davvero, ama il segreto, l’esclusività, la riservatezza. Un oggetto di sesso non è più un soggetto d’amore intimo. Mostrato, esibito, quel corpo che si abbandona al piacere diventa di tutti, del volgo, e in questo senso “volgare”. Diventa un oggetto umiliato e degradato. E’ questo che porta all’inferno quotidiano della derisione e dello scherno pubblici, reali e non solo virtuali. Fino al suicidio o comunque all’emarginazione, alla depressione, all’autosvalutazione, all’uso e all’abuso da parte di partner occasionali più o meno famelici di eccitazioni che si esaltano con la profanazione del corpo.
La prevenzione secondaria, in questo gusto del filmarsi, sarebbe di tenere la registrazione solo per sé. Idea vulnerabile e fragile. La prevenzione terziaria, sul web, è del tutto illusoria. Va detto con chiarezza: un’immagine, un filmato hard, spedito agli amici e captato da un internauta, può essere eliminato con sentenza da un sito, ma resta nel suo computer. E’ una minaccia eterna. L’immagine, come un cancro, si è metastatizzata. Può restare silenziosa per mesi e può essere riattivata, per impulsività, vendetta, gelosia, cattiveria, sadismo. E’ un terrorista in casa, che può seminare in differita la morte interiore, per umiliazione, prima di diventare fatale nella vita reale. E i cyberbulli, che filmano, aggrediscono, deridono e si esaltano a condividere i “like” di un’eccitata sorpresa usano questa violenza virtuale e reale per sentirsi più forti, più maschi. E la cercano, per sostenere un Io spesso frustrato e debole, incapace di affermarsi nel mondo con talenti più adeguati e vincenti.
Queste storie drammatiche, iniziate “per gioco”, sono la prova di un fallimento educativo, ma anche della superficialità con cui trattiamo i pericoli del web, se usato male. Il conformismo dell’ostentazione sessuale virtuale è una sirena pericolosa: se l’hai capito, evitala.

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