Il coniglio, si sa, non è un modello di eroismo. Sopravvive perché la sua strategia millenaria è una vivace riproduzione: moltiplicarsi come conigli è infatti un lampante detto popolare. Preda per definizione, in caso di attacco il coniglio maschio cerca di salvare il gioiello di famiglia, che gli consente di riprodursi. Nello scroto ha infatti un muscolo, il cremastere, presente anche negli umani, ma fortissimo in questo animaletto. Se il coniglio è attaccato, da un altro maschio dominante o da un predatore, con riflesso fulmineo il cremastere si contrae e oplà, in una frazione di secondo, porta i testicoli all’interno della cavità addominale. Lì staranno ben più protetti dagli attacchi che non nel sacco scrotale, anche se come temperatura testicoli e spermatozoi vivono meglio all’esterno del corpo, come negli umani.
La strategia del coniglio è salvare il salvabile: non solo se stesso, ma anche il futuro, nella prole. Con un grande “se”. Questa strategia funziona nel breve termine in ogni situazione di emergenza, anche per gli umani. Chiudersi in casa, a causa del Covid-19, evoca la strategia del coniglio. In mancanza di armi, la scelta è stata difesa serrata e arrocco a oltranza. In emergenza, con un nemico invisibile, rapidissimo, imprevedibile e con aggressività selettiva (vecchi più dei giovani, poveri più dei ricchi, ora afroamericani molto più dei bianchi), amplificata da comorbilità e disparità socio-ambientali, la chiusura in casa è stata scelta per limitare sia le infezioni gravi e le morti, sia il sovraccarico degli ospedali e delle unità di emergenza respiratoria. Tuttavia, ciò che in emergenza può funzionare nel breve termine, può diventare autodistruttivo nel medio-lungo termine. Se l’amico coniglio continuasse a tenersi i testicoli in addome, come prevenzione permanente, diventerebbe sterile, perché la più alta temperatura corporea della cavità addominale è nefasta per gli spermatozoi. Questa condizione è ben nota negli umani: quando i testicoli non scendono nello scroto, prima della nascita, ma restano ritenuti in addome (“criptorchidismo”) si ha sterilità, se il riposizionamento chirurgico nello scroto è tardivo.
Che cosa ci insegna il coniglio? Tempestività nelle risposte, ma anche dinamicità dell’adattamento, invece che arroccarsi nella risposta di emergenza, è essenziale perché la prevenzione non sia peggiore e più lesiva dell’attacco o della malattia. Pensare di azzerare una qualsiasi infezione senza vaccini e senza diagnosi precoci, è impossibile. Limitarla, con strategie intelligenti, è un obiettivo perseguibile. Se poi mettiamo il Covid all’interno dello scenario delle patologie italiane, diventa indispensabile uscire dall’arrocco. Non esiste solo il Covid-19. In Italia, e nel mondo, ci si ammala e si muore di tante altre cose. La vita è per tutti una condizione fatale: perché, come e dove si muore, questo fa differenza nel vissuto individuale e degli affetti. Non sul fronte della morte, che è una e definitiva.
Guardiamo tre scenari italiani. I dati ACI-ISTAT degli incidenti stradali nel semestre gennaio-giugno 2019 mostrano 82.048 incidenti = 453 al giorno, con 1.505 morti = 8 al giorno, e ben 113.765 feriti = 628 al giorno. La proiezione annua (dati non ancora disponibili) sarà di circa 3.000 morti e 225.000 feriti, di cui molti con lesioni permanenti. Morti per infarto e ictus: 240.000 all’anno. Morti per diabete: circa 20.000 nel 2019; 3.270.000 italiani dichiarano di avere il diabete, un altro milione (ancora) non lo sa. Tra le persone diabetiche, una ogni 7 minuti ha un attacco cardiaco, una ogni 30 minuti ha un ictus, una ogni 90 minuti subisce un’amputazione di un arto per complicanze vascolari. Queste tre cause da sole provocano oltre 263.000 morti l’anno in Italia, il doppio – su proiezione annua – di quante ne causerebbe il Covid-19 se il suo tasso di letalità mantenesse il trend di questi primi due mesi, e infinite comorbilità. Nei confronti di queste tre cause di malattia e morte ci sono efficaci strategie di prevenzione e cura: eppure la maggioranza della popolazione le segue poco e male.
Che cosa possiamo apprendere dall’esperienza Covid-19? La prevenzione primaria, ossia non contrarre una malattia (o non avere un incidente) è la strategia più efficace. L’assunzione di responsabilità personale per rallentare un’infezione o il peggiorare di una malattia è la base della protezione collettiva. Le regole negli stili di vita vanno rispettate da tutti. Se le mettessimo in pratica su ogni fronte, potremmo sia uscire di casa in ragionevole sicurezza, sia prevenire molte più morti da altre patologie, prolungando per tutti la longevità in salute: fisica, emotiva ed economica.
La strategia del coniglio è salvare il salvabile: non solo se stesso, ma anche il futuro, nella prole. Con un grande “se”. Questa strategia funziona nel breve termine in ogni situazione di emergenza, anche per gli umani. Chiudersi in casa, a causa del Covid-19, evoca la strategia del coniglio. In mancanza di armi, la scelta è stata difesa serrata e arrocco a oltranza. In emergenza, con un nemico invisibile, rapidissimo, imprevedibile e con aggressività selettiva (vecchi più dei giovani, poveri più dei ricchi, ora afroamericani molto più dei bianchi), amplificata da comorbilità e disparità socio-ambientali, la chiusura in casa è stata scelta per limitare sia le infezioni gravi e le morti, sia il sovraccarico degli ospedali e delle unità di emergenza respiratoria. Tuttavia, ciò che in emergenza può funzionare nel breve termine, può diventare autodistruttivo nel medio-lungo termine. Se l’amico coniglio continuasse a tenersi i testicoli in addome, come prevenzione permanente, diventerebbe sterile, perché la più alta temperatura corporea della cavità addominale è nefasta per gli spermatozoi. Questa condizione è ben nota negli umani: quando i testicoli non scendono nello scroto, prima della nascita, ma restano ritenuti in addome (“criptorchidismo”) si ha sterilità, se il riposizionamento chirurgico nello scroto è tardivo.
Che cosa ci insegna il coniglio? Tempestività nelle risposte, ma anche dinamicità dell’adattamento, invece che arroccarsi nella risposta di emergenza, è essenziale perché la prevenzione non sia peggiore e più lesiva dell’attacco o della malattia. Pensare di azzerare una qualsiasi infezione senza vaccini e senza diagnosi precoci, è impossibile. Limitarla, con strategie intelligenti, è un obiettivo perseguibile. Se poi mettiamo il Covid all’interno dello scenario delle patologie italiane, diventa indispensabile uscire dall’arrocco. Non esiste solo il Covid-19. In Italia, e nel mondo, ci si ammala e si muore di tante altre cose. La vita è per tutti una condizione fatale: perché, come e dove si muore, questo fa differenza nel vissuto individuale e degli affetti. Non sul fronte della morte, che è una e definitiva.
Guardiamo tre scenari italiani. I dati ACI-ISTAT degli incidenti stradali nel semestre gennaio-giugno 2019 mostrano 82.048 incidenti = 453 al giorno, con 1.505 morti = 8 al giorno, e ben 113.765 feriti = 628 al giorno. La proiezione annua (dati non ancora disponibili) sarà di circa 3.000 morti e 225.000 feriti, di cui molti con lesioni permanenti. Morti per infarto e ictus: 240.000 all’anno. Morti per diabete: circa 20.000 nel 2019; 3.270.000 italiani dichiarano di avere il diabete, un altro milione (ancora) non lo sa. Tra le persone diabetiche, una ogni 7 minuti ha un attacco cardiaco, una ogni 30 minuti ha un ictus, una ogni 90 minuti subisce un’amputazione di un arto per complicanze vascolari. Queste tre cause da sole provocano oltre 263.000 morti l’anno in Italia, il doppio – su proiezione annua – di quante ne causerebbe il Covid-19 se il suo tasso di letalità mantenesse il trend di questi primi due mesi, e infinite comorbilità. Nei confronti di queste tre cause di malattia e morte ci sono efficaci strategie di prevenzione e cura: eppure la maggioranza della popolazione le segue poco e male.
Che cosa possiamo apprendere dall’esperienza Covid-19? La prevenzione primaria, ossia non contrarre una malattia (o non avere un incidente) è la strategia più efficace. L’assunzione di responsabilità personale per rallentare un’infezione o il peggiorare di una malattia è la base della protezione collettiva. Le regole negli stili di vita vanno rispettate da tutti. Se le mettessimo in pratica su ogni fronte, potremmo sia uscire di casa in ragionevole sicurezza, sia prevenire molte più morti da altre patologie, prolungando per tutti la longevità in salute: fisica, emotiva ed economica.
Link correlati:Coronavirus: siamo in cura, non in guerra