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Come abiti il tuo tempo?

Come abiti il tuo tempo?
15/09/2025

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Come abiti il tuo tempo? Da protagonista, da comparsa, o da spettatore o spettatrice, più o meno passivo? Con quali sogni e con quali progetti abiti il tuo tempo? E quanto la salute, la famiglia, il lavoro, la situazione economica e ambientale condizionano e hanno modificato il tuo modo di abitare, in meglio o in peggio, il tuo tempo?
Conversando con molte pazienti, dopo la diagnosi e la cura per tumori diversi, emerge con forza un denominatore comune che rivoluziona il modo di abitare il tempo: il confrontarsi seriamente, e a fondo, con la possibilità di morire. Pensiero che scatena angosce profonde. Ma può essere rivoluzionario. La morte, nella nostra società laica ed edonista, è quasi un tabù. Impone la sua presenza quando ci tocca da vicino: per la morte di una persona davvero molto cara o, appunto, quando ci sfiora, per un incidente serio o un tumore. Il modo di viverla ci dice molto su chi siamo, su quali siano i nostri valori, su quale sia il senso che diamo alla nostra vita, prima e dopo l’evento traumatico.
Ecco una testimonianza emblematica: «La diagnosi di tumore al seno, molto aggressivo, è stata uno shock. Le cure dopo la mastectomia sono state un calvario durato più di un anno. E anche adesso le terapie sono pesanti. In tutto questo inferno, mi sono trovata a confrontarmi con un pensiero difficile da accettare: che forse mi restava poco tempo. Ho cominciato ad accorgermi della bellezza della vita, prima offuscata da mille corse quotidiane, fra un lavoro impegnativo, i figli, la famiglia (sono separata da anni), la casa e tutte le incombenze che ha una donna oggi. Mi sono resa conto che in una giornata i momenti “veramente per me” erano pochi. Il tempo era frenetico, mi alzavo presto e in un baleno era notte. Perché? Per chi? Di carattere sono una combattente, una donna da trincea, come mi sono sempre sentita. Ho combattuto come un leone anche il tumore. E sono ancora qui. Ma ho cominciato a pensare che quel brutto cancro poteva essere una ribellione del mio corpo, come se avesse deciso una misura estrema: “Questa qui, se non la gambizzo, non cambierà mai!”. Ho cominciato a trovare il tempo per fare la camminata tutte le mattine, come mi raccomandava la mia oncologa, anche per scaricare lo stress e ridurre il rischio di recidive. Ho riflettuto molto e ho scritto una lettera a ciascuno dei miei figli, due ragazzi di 15 e 18 anni, che avevo troppo viziato. In casa due principini, non facevano nulla; a scuola, il minimo. Ho scritto che avevo una malattia molto seria, che il tempo davanti a me poteva essere breve e che desideravo parlare con loro di come mi sentivo, di come vedevo la mia vita, ma anche la loro. Di come abitare il tempo, anche il tempo insieme, ora che forse ne era rimasto così poco. E che era una grande opportunità, in positivo, per ripensare la mia vita, ma anche la loro. Il primogenito ha avuto una risposta sorprendente. Anche lui mi ha scritto una lettera, davvero commovente. Non avrei mai creduto che sotto quell’apparente superficialità ci fosse un giovane uomo che aveva bisogno di uno scossone vero, per rimettersi al volante della sua vita con tutt’altro senso di responsabilità. Con il secondo è stato più difficile, perché si è chiuso in un mutismo inquieto. Un bravo psicologo lo ha aiutato bene, per fortuna. E il come abitare il tempo, e cosa conta davvero nella vita, è diventata una conversazione a telefoni spenti, la sera a cena, come non avevamo mai avuto. Eravamo tre persone sole, ognuno con la sua vita. Due sconosciuti chiamati figli. Ho ridotto il lavoro. Con la mia amica Morte converso tutti i giorni. Non è un’angoscia, come la viveva Cesare Pavese: “Insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo” (dalla lirica “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”). No, lei è diventata una compagna di viaggio positiva. Mi ha aiutato a migliorare su un binomio cardinale della vita: come far convivere passione e distacco, come assaporare ogni giorno, come trovare il positivo anche quando i dolori articolari, causati dalle terapie, sono più pesanti. Ho vissuto con più consapevolezza, e gioia anche, quest’ultimo anno e mezzo che tutti gli anni prima. Assaporare la vita, adesso, è il mio mantra. Ed è vero che il dolore, affrontato bene, aiuta anche i nostri ragazzi a svegliarsi e uscire da quel nirvana tossico che noi adulti abbiamo creato, credendo di fare il loro bene. No, avevo proprio sbagliato. Ne parli, dottoressa. Tutti dovremmo riflettere di più sulla morte, sulla nostra, creda. E chiederci: se avessi davanti ancora un anno, un solo anno, come abiterei il mio tempo? Ma anche il tempo con le persone che amo. Credo che tanta superficialità, tanta fuffa, se ne andrebbe. Non è facile. Ma ringrazio ogni giorno la mia amica Morte, perché mi ha insegnato ad abitare molto meglio il tempo, e la vita».

Malattia Senso della vita e della morte Tempo

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