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Che cosa rende ladro un uomo

13/12/2010

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Da confessore laico, ascolto tante storie. Di passioni, di solitudini, di piccoli o di atroci veleni. Storie di amori. Alcuni felici, tanti finiti male. Storie di abusi, di tanti tipi. Non solo quello sessuale, di cui oggi tanto si parla. Non solo quello fisico, tristezza di sempre, ieri forse più violento e diffuso di oggi. Non solo quello verbale, che non si riduce con l’educazione, né con l’istruzione. Ma anche quello economico. E alcune storie pesanti e drammatiche di furti “contro fiducia”, ossia all’interno di rapporti affettivi e di stima, mi hanno fatto riflettere su alcune caratteristiche del rubare che esulano dalle storie individuali per diventare paradigma di un atteggiamento più generale, diffuso nel pubblico quanto nel privato.
Ci sono figli che, falsificando la firma, svuotano i conti dei genitori mentre sono malati. Ci sono uomini che prima conquistano la fiducia della propria compagna con atteggiamenti dediti e irreprensibili, e poi le svuotano i conti, magari sperando che muoia senza accorgersene prima, visto che è malata di cancro. Ci sono amici che progettano un affare insieme, e l’uno poi scopre che l’altro si è mangiato tutto il denaro investito. Magari in modi studiati così bene che la vittima del furto sembra non poterci far niente, o quasi. In questi casi, l’abuso della fiducia, dell’amore – filiale, di coppia o amicale –, la violenza pervasiva e orrenda implicita nell’approfittarsi dell’altro quando si fida, quando è malato o comunque più vulnerabile, rendono ancora più cinici e abbietti questi comportamenti. E ci sono moltissimi uomini che prima conquistano la fiducia e il rispetto degli elettori e poi, avuto un incarico pubblico, rubano con disinvoltura consumata e scaltra.
Che cosa rende ladro un uomo, in un rapporto di fiducia? (Della donna, parleremo un’altra volta). Ladro proprio di denaro, oltre che di oggetti, di contratti, di opportunità? Ci sono, innanzitutto, alcune caratteristiche di personalità: l’ambizione, l’avidità, il desiderio di potere e di visibilità. In sé molto diffuse, predipongono al furto – contro fiducia – quel sottogruppo particolare di uomini in cui queste caratteristiche sono unite a un tratto molto specifico: la voglia di emergere senza fatica, “facendo i furbi”, magari sfruttando “una faccia perbene”. Quindi non per merito né per impegno, non per competenza né per disciplina, e nemmeno per sacrificio o dedizione a una causa di qualità: il furbo cerca di ottenere il massimo con il minimo sforzo. E quindi anche il massimo del denaro, con il minimo impiego dell’unico mezzo per ottenerlo in modo lecito: lavorare bene. E quando si impara ad avere denaro facile, non ci sono più limiti né orizzonti: si ruba a livello personale, professionale, pubblico. Anche perché il furto “contro fiducia”, come lo chiamo io, risulta particolarmente facile.
Il punto è che, in questa “furbizia”, c’è un disprezzo sistematico degli affetti e delle regole, una banalizzazione totale del settimo comandamento, “Non rubare”, cui concorrono una generale deriva delle norme, un lassismo morale crescente e trasversale, e il consolidarsi di un principio inquietante: maggiore è il furto, maggiore è la possibilità di farla franca, o comunque di non essere puniti. Con la complicità di un atteggiamento sociale che ha categorizzato il furto come “peccato veniale”, anzi venialissimo, anzi (quasi) inesistente. Anche perché, al di là di tanti proclami elettorali, la sua perseguibilità tende a zero. E nel derubato compaiono l’avvilimento, la rabbia e la rassegnazione, anche quando il furto avviene da parte di una persona che si credeva amica o amata, o da parte di amministratori pubblici. Che derubano tutti quelli che li avevano eletti, oltre che gli altri, quindi comunque con la violazione e l’abuso di un patto di fiducia che a livello simbolico non è meno importante degli affetti privati. Per cui al danno si unisce anche la beffa di sentirsi alla ricerca di un principio di giustizia non più esistente, deriso e demolito dall’interno. La tendenza al furto si ipertofizza con il concorso di altri fattori: l’anestesia del senso morale e di ogni etica (anche se spesso tra questa tipologia di ladri ci son quelli che di etica parlano in ogni momento della vita pubblica e privata, perché sanno che questo tende ad aumentare la fiducia nei loro confronti e a far abbassare la guardia); l’acquisto delle coscienze che il denaro consente, con ulteriore corruzione; e la gestione del potere per crearsi piccole o grandi corti, con un uso sapiente di benefit, mance e regali.
L’arroganza di essere impunibili, per ruolo o professione o posizione sociale, o la presunzione di aver fatto le cose così bene e a lungo da credersi intoccabili e veramente furbi alfa, può tuttavia portare al punto di non ritorno: perché il furto può essere scoperto quando si pensava di averla fatta franca del tutto; perché il senso di giustizia del derubato/a può portare ad azioni sottili non calcolate dal ladro; perché il vento politico è cambiato e alcune connivenze improvvisamente diventano un boomerang; perché anche nei sistemi più corrotti, ogni tanto, ci sono dei cortocircuiti di verità. E allora tutto il male fatto, tutto il rubato, tutto l’abuso di fiducia pubblica e privata, perpetrato per anni, diventa un’onda che può travolgere tutto: vita personale e professionale, ambizioni e relazioni. Ogni tanto, pensa il confessore laico, ride bene chi ride ultimo.

Etica e bioetica Furto / Ladrocinio Legislazione e giustizia Riflessioni di vita Tradimento

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