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Bambini sedentari: i rischi dell'inattività fisica

15/05/2017

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

I bambini italiani sono i più inattivi d’Europa. Sono amebe, non bambini. Due su tre non sanno fare nemmeno una capriola. La postura è un disastro. Perennemente stanchi, diventano ragazzi col corpo di un vecchio, infortunati al minimo sforzo fisico. Un primato triste, in un Paese dal clima magnifico in cui giocare all’aria aperta è esaltante.
Perché si muovono poco? Perché li teniamo prigionieri delle nostre ansie e delle nostre paure in spazi sempre più ristretti, fino a creare una “sindrome dello spazio confinato”, come la chiamo io, caratterizzata da una compressione patologica e patogena della naturale vocazione al movimento e all’espressione motoria delle emozioni che ogni cucciolo ha. Perché preferiamo parcheggiarli con la baby-sitter dei giochi su tablet, o dei cartoon al televisore, comoda nel breve termine, costosissima sul fronte della salute fisica e mentale nel lungo termine. Perché a scuola l’attività fisica tende a zero. Perché gli insegnanti di educazione fisica dovrebbero aver praticato sport, meglio se agonistico, e continuare a praticarlo per diletto. Ottimo se si sono diplomati al lodevole ISEF, di storica memoria: ricordo ancora l’abissale differenza a scuola tra quegli insegnanti appassionanti e gli altri, che facevano fiction di attività fisica. Perché chi ama e continua a praticare lo sport ne trasmette la passione in modo molto più convincente dell’insegnante di educazione fisica che non fa un passo. E questo vale in primis per i genitori. Perché «verba volant, exempla trahunt».
Le conseguenze dell’inattività sono molteplici. Sul fronte fisico, facilita sovrappeso e obesità: i bambini italiani sono i più grassi d’Europa, con una tendenza peggiorativa preoccupante. L’inattività fisica riduce l’armonia dello sviluppo motorio, premiata invece da attività fisiche variate e amate. Riduce il raggiungimento del picco di massa ossea, riduce la massa e l’elasticità muscolare, tendinea e articolare: ne risultano bambini più fragili che si feriscono, si strappano, si fratturano al minimo trauma o caduta. Non viene allenata la prontezza di riflessi, che previene incidenti e salva da piccoli e grandi guai. Non vengono stimolate l’intelligenza motoria e l’intelligenza emotiva, pilastri dell’intelligenza sociale. Di conseguenza i bambini inattivi sono molto meno felici dei bambini che giocano, corrono e fanno sport, a parità di altre condizioni esistenziali. Manifestano sintomi inquietanti, come il disturbo dell’attenzione e dell’iperattività (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, ADHD), sempre più diagnosticato, che ha come cofattore trascurato proprio l’inattività fisica. Sono più depressi, irritabili e aggressivi, perché non scaricano nel movimento le energie negative, le tensioni, le paure, le inquietudini e le ansie abbandoniche che oggi li abitano forse più di ieri, in famiglie lacerate da tensioni e separazioni, spesso ad alto tasso di conflittualità. Sono più tristi perché non hanno quei picchi di endorfine, le nostre molecole della gioia, che ad ogni età premiano il gusto di fare un gioco o uno sport amato. Endorfine che aumentano la gioia di vivere, la voglia di uscire, di sorridere, di entusiasmarsi a sperimentare sé e gli altri nel gioco condiviso.
E allora? Facciamo giocare i nostri bambini, possibilmente all’aria aperta. Incoraggiamoli a correre, a giocare a palla, a nascondino, a guardie e ladri, a saltare la corda. Mandiamoli a scuola a piedi, accompagnati in piccoli gruppi, se possibile. In bicicletta, se ci sono piste ciclabili su cui potersi muovere in sicurezza. Mandiamoli a nuoto, se c’è una piscina disponibile. Ripensiamo i nuovi quartieri con spazi ampi davanti alle case, come alcuni progetti intelligenti prevedono, perché possano giocare tra loro come vogliono e in sicurezza, senza mamme ansiose e ansiogene a marcarli stretti. Garantiamo più sicurezza nelle strade e nelle piazze, con più vigili urbani visibili. Valorizziamo la frequenza a gruppi scout e spazi parrocchiali. A scuola attiviamoci perché le ore di “educazione fisica” siano vive e vivaci. Resuscitiamo i defunti Giochi della Gioventù, che mobilitavano oltre 2 milioni di ragazzi. Se amano uno sport, incoraggiamoli a praticarlo, senza ambizioni agonistiche. Che sia e resti un gioco.
Ho giocato tanto fin da piccola, con grinta e allegria. Faccio sport perché mi rende felice. Si può giocare e studiare: si impara meglio e di più. Si può fare sport e lavorare: ne guadagniamo calma, concentrazione, rapidità di pensiero, freschezza di sguardo sui progetti, forma fisica e mentale, gusto di sorridere e gioia di vivere, efficacia professionale. Perché vivere da amebe tristi, se si può vivere più felici, muovendosi? Cominciamo da bambini!

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