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Anziani e fame d'amore: anche una casa di riposo può donare un sorriso

Anziani e fame d'amore: anche una casa di riposo può donare un sorriso
12/02/2024

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Conosco la signora da decenni: dolce, attenta, premurosa. Una donna minuta, dal cuore grande. Per gentilezza e dedizione, è la figlia che tutti vorrebbero avere. Purtroppo la mamma è colpita da demenza progressiva. Per lunghi anni la figlia l’ha seguita in casa, di fatto murandosi viva con lei, nemmeno più il tempo di una passeggiatina, per non lasciarla sola. Per due anni ha resistito all’idea, che anche il medico di famiglia e la geriatra incoraggiavano, di ricoverarla in una residenza sanitaria assistenziale (RSA). Troppi sensi di colpa, le sembrava di tradirne l’affetto e la fiducia nel profondo, di venir meno ai suoi doveri di figlia. Abbiamo condiviso molte riflessioni sul tema dell’invecchiare, del diventare dipendenti, del perdersi senza ritorno in quella nebbia della mente, da cui a volte solo una canzone antica sembra riuscire a strappare un guizzo di vita negli occhi assenti, e un abbozzo di sorriso.
Quando la mamma non è stata più in grado di camminare e le cure, anche fisiche, erano diventate troppo pesanti, si è arresa. Ora la va a trovare tutti i giorni, conversa con lei e con gli altri anziani nel salottino di visita. La mamma nella sua camera parla da sola. Eppure quando la sente conversare con altre persone nel salottino di visita, diventa più attenta, sembra quasi assorta ad ascoltare e anche questo dà la sensazione di aiutarla ancora. «A casa eravamo solo io e lei, e una signora che mi aiutava per cambiarla, lavarla e vestirla, due ore al giorno. Pian piano ero diventata più triste, due solitudini, quella della mamma e la mia, che tuttavia non riuscivano, insieme, a riportare un po’ di luce in casa. Ora, andando tutti i giorni a trovarla alla RSA, mi sono resa contro che entrambe siamo meno sole. Nel salottino converso anche con gli altri anziani. E lei, sentendo quelle voci, è come se sentisse che c’è ancora vita intorno. Mi sembra a volte che persino sorrida. Sto vedendo tante cose. Alcune donne, e uomini, hanno familiari che li vanno a trovare tutti i giorni, come faccio io con la mamma tutti i pomeriggi, perché al mattino ho trovato un nuovo lavoro fino alle 14. Altri invece sono lasciati lì, come un vecchio pacco dimenticato. Nessuno va a trovarli più, se non due o tre volte l’anno, come se fossero già morti. O appartenessero per sempre al passato. Invece tutti, nell’RSA, hanno bisogno di un sorriso, di uno sguardo gentile, anche di sentirsi chiedere un semplice: “Come sta oggi, signora?”. Se fa freddo, come in questi giorni, quando arrivo e dico: “Mamma mia, ho le mani congelate”, ecco che una signora si avvicina e mi tende le mani, dicendo: “Mi faccia sentire, gliele scaldo un poco”. E capisco che non è solo il gusto di sentire quanto siano fredde, ma il bisogno di un contatto, di un ponte emotivo, di esistere un momento per qualcuno che risponda con gentilezza e un sorriso. Non pensavo che ricoverare la mamma in una RSA diventasse un antidoto alla solitudine sua e mia. Ma anche a quella di tanti altri ospiti, che mi aspettano come se fosse l’unico appuntamento della giornata. L’infermiera mi ha detto che l’ha notato anche lei. Almeno quattro signore si vestono come se fosse domenica, si truccano un po’, si fanno belle, quelle in cui la memoria è debole, ma lo stare insieme e sorridere gentile e parlare con voce affettuosa le fa sentire di nuovo considerate e un po’ più vive. Ho fatto amicizia con un’altra signora che assiste la mamma come me. Parlando ci siamo rese conto che per tutte e due si è aperto un mondo di solitudini immense, un limbo della vita che tutti preferiamo non vedere e non conoscere. Il più doloroso è quello delle persone istituzionalizzate dimenticate dai familiari: affamate d’affetto, a cui basta un sorriso per sentirsi (ancora) vive. Nel salottino ormai abbiamo un gruppo fisso di signore con demenza modesta, con le quali facciamo il gioco dei ricordi: le canzoni, gli eventi, le feste di casa o i pranzi insieme di quaranta o cinquant’anni fa. E’ come “fare filò”, mi ha detto una signora, quando ci si trovava davanti a casa nelle sere d’estate, a chiacchierare e riposare dopo giornate di tanto lavoro. “Penso che sia una vera terapia”, aggiunge la signora. La settimana scorsa con l’altra signora ci siamo messe d’accordo e abbiamo portato i crostoli e le frittelle. Una signora si è commossa alle lacrime, “perché le frittelle le hanno ricordato sua nonna, che le ha voluto più bene di tutti, e faceva dolcetti buonissimi, solo per lei”».
Tutti noi dovremmo andare a fare un po’ dì volontariato nelle RSA. Per intuire come gira la ruota della vita, e curare un po’ di più gli affetti e le persone, e dar loro più tempo e più valore. Per riflettere su quanto la nostra mente sia fragile. E quanto un gesto d’affetto gentile e sincero possa ancora regalare gioia e ancorare alla vita.

Anziani Demenza vascolare / Demenza di Alzheimer Riflessioni di vita Solitudine

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